Nel 2017, l’Assemblea della Generalitat catalana, il governo catalano, era stata sciolta causa “l’affronto referendario (dichiarazione di indipendenza)” dal Premier reazionario di Madrid, Mariano Rajoy. Finito, nel maggio 2018, il commissariamento della Catalogna voluto da Madrid, l’amministrazione catalana ha provato a dotarsi di un governo. Le elezioni avevano prodotto una maggioranza indipendentista anche se molto esigua in termini di numeri: 66 favorevoli, 65 contrari e l’astensione dei 4 deputati della CUP (Candidatura di Unità Popolare).
Il Presidente della Generalitat, proposto da Carles Puigdemont (presidente deposto in esilio), Quim Torra, ha avuto comunque breve vita politica. La Corte Suprema spagnola ha deciso, infatti, di condannarlo all’esclusione per un anno dalle cariche istituzionali accusandolo di “disobbedienza” per essersi rifiutato di oscurare, durante il periodo elettorale, alcuni striscioni di solidarietà per gli indipendentisti imprigionati.
L’assenza di una maggioranza stabile, sommata alla questione Torra, hanno indotto le istituzioni a convocare nuove elezioni per il 14 febbraio del 2021, ma un nuovo ostacolo si è presentato di fronte al popolo catalano. Infatti, il 15 gennaio, il governo spagnolo (col sostegno di gran parte dei partiti catalani) ha deciso di posticipare le elezioni al 30 maggio causa emergenza Covid. A distanza di circa due settimane, la Corte Superiore di Giustizia della Catalogna, ha rigettato la decisione di Madrid di spostare le elezioni facendo una vera e propria inversione ad “U”, confermando la data originaria del 14 febbraio e avviando così la campagna elettorale più “breve e intensa” della storia: poco meno di due settimane.
IL RISULTATO DEL VOTO
Un'astensione imponente è stata la reale vincitrice di queste elezioni. Solo il 53,56% dei catalani ha espresso il suo voto, circa 25 punti di percentuale in meno rispetto alle ultime elezioni. Sicuramente va evidenziato che la questione pandemica ha inciso negativamente in questo dato, disincentivando la popolazione ad esprimere il proprio giudizio politico sulla scheda elettorale, ma la paura del Covid non è sufficiente a spiegare una così bassa affluenza. Basta comparare il dato catalano con quello degli USA (affluenza da record, circa 150 milioni di votanti), ove la pandemia ha corso non meno velocemente che in Catalogna. La verità è che il disagio sociale indotto dall’emergenza Covid, unito all’incapacità da parte della povera gente di vedere una reale via d’uscita alla disoccupazione hanno prodotto questo distacco.
Un altro aspetto importante da sottolineare è il congelamento, la cristallizzazione della divisione in blocchi della società in una sorta di bipolarismo. Da un lato la destra ‘liberaleCiudadanos,V istituzionale’, con la formazione liberale Ciudadanos che sino alle precedenti elezioni era la spina nel fianco nel Partido Popular (il centro cattolico), adesso invece si è vista scalzare dall’estrema destra di Vox che cresce polarizzando l’attenzione sullo centralità dello stato (la nazione Spagna), avverso all’indipendentismo. Dall’altro lato invece il vento del separatismo continua a soffiare, sospinto dalla Junts di Carles Puigdemont, il leader “deposto”, ed Esquerra Republicana.
I “vincitori”, il partito che ha preso più voti, sono stati i socialisti di Salvador Illa, in passato ministro della salute durante la pandemia. È proprio nel distretto cittadino di Barcellona che il Partit dels Socialistes de Catalunya ha raccolto i maggiori consensi, raggiungendo il 23%, 33 seggi, 16 in più che nell’ultima legislatura, un buon successo ma non sufficiente per il partito di Illa per avere la maggioranza necessaria a governare.
Le formazioni separatiste radicate in particolar modo nelle province di Girona, Lérida e Tarragona hanno raccolto il 51% per la prima volta (raggiungendo una crescita in termini di seggi, 74 deputati). L'ERC ha ottenuto un ottimo risultato, il miglior da decenni, superando anche la JxCat e divenendo così la prima forza di indipendentista con 33 parlamentari. Nonostante la perdita della presidenza della Generalitat, Puigdemont resiste, la JxCat mantiene un alto consenso con 32 deputati, e solo per poco si è vista detronizzare dalla forza più grande dell’indipendentismo catalano. Sarebbero infatti bastati solo altri 76mila voti per impedirlo.
In questo contesto è, ahimè, da registrare la crescita di consenso dell’estrema destra di Vox, con 215.000 voti e 11 deputati. Questa vera e propria piaga reazionaria, molto pericolosa, è stata capace d’inserirsi nelle contraddizioni di una società lacerata da tempo, in una situazione sempre più complessa e dal futuro incerto e irto di difficoltà. L’estrema destra di Vox con la sua propaganda franchista, anti-catalana, razzista, machista e ultracattolica ha puntato il dito contro i migranti, le femministe e i musulmani artefici del “male della Catologna”.
Lo schema è sempre lo stesso come per tutte le destre, e Vox non è dissimile: populismo becero e intolleranza, questi sono gli ingredienti che hanno fatto gonfiare il suo consenso elettorale. La crescita del trogloditismo reazionario di Vox è anche il frutto dei fallimenti della sinistra sempre più incapace di dare una risposta di classe alla crisi pandemica, e sempre meno capace di dare una prospettiva di classe al popolo catalano.
LA CUP
La coalizione della CUP, blocco elettorale delle forze anticapitaliste e indipendentiste catalane, ha raggiunto un grande risultato, il 6,6% con 9 seggi. La CUP è dunque fondamentale per la formazione di un governo della sinistra indipendentista, i loro seggi porterebbero gli “indipendentisti” ad avere una maggioranza assoluta, necessaria per governare.
Le pressioni riformiste hanno già in parte caratterizzato la campagna elettorale della CUP che ha evidenziato palesi contraddizioni, una dicotomia sempre più ampia tra vertici e base. Da un lato abbiamo leader come Dolors Sabater che non sembrano disdegnare l’ingresso della CUP al governo, e dall’altro abbiamo le risoluzioni votate nei territori dai militanti che chiedono di non tradire le loro aspettative, e quindi di "non entrare in nessun governo, né dare un sostegno esterno” [1].
Una situazione per la CUP instabile come è instabile in questi giorni la situazione a Barcellona, una Barcellona avvitata nella protesta in nome della solidarietà a Pablo Hasel, rapper catalano. Qualche giorno fa, dopo essersi barricato nell'università di Lleida, Hasel è stato braccato e arrestato dalle forze dell'ordine con la doppia accusa di sostegno al terrorismo e di calunnia contro la monarchia. Dovrà scontare nove mesi in carcere. Ad Hasel, come PCL e come trotskisti, va tutta la nostra solidarietà, siamo sempre al fianco di chi dissente da sinistra contro il potere.
La CUP, dunque, si trova di fronte ad un scelta, un dilemma amletico: essere la ruota di scorta di un governo riformista o mettersi al servizio della classe operaia, rilanciando una proposta anticapitalista. Una scelta che solo un partito marxista rivoluzionario ben radicato può risolvere.
Nota:
1 - "La Cup-g no debe de entrar en el gobierno de la generalitat", UIT.