♠ in 6 luglio,Aboubakar Soumahoro,Conte,governo,patrimoniale,Piazza San Giovanni,precarizzazione,riduzione dell’orario di lavoro,Stati popolari at 07:05
Il Partito Comunista dei Lavoratori ha portato la sua presenza agli "Stati popolari" convocati da Aboubakar Soumahoro perché, coerentemente con la propria natura, ritiene opportuno prendere parte a quelle iniziative di carattere democratico e progressista che rivendicano posizioni che hanno alla base ragioni sociali concrete, per portare tali rivendicazioni sull'unico piano in grado di soddisfarle realmente: il piano di una prospettiva rivoluzionaria e socialista.
Le testimonianze che si sono succedute sul palco di Piazza San Giovanni stanno a dimostrare la forte sofferenza sociale e il livello di sfruttamento del lavoro che c’è in Italia. In questo contesto, quindi, abbiamo portato le nostre posizioni politiche in modo critico rispetto a quelle presentate dai promotori dell’iniziativa “Stati popolari”.
Tutte le ragioni sociali democratiche che sono state esposte dal palco di Piazza San Giovanni si possono rivendicare solo in opposizione al governo, e non con la logica della sostituzione della “protesta” per passare alla “proposta” (cioè ponendo e rivendicando l’interlocuzione con il governo come leva di cambiamento). Non c’è nessuna positività nel cercare un contatto con chi ha risposto agli accorati appelli di Confindustria e del capitalismo italiano per far sì che la produzione non si fermasse nel momento della chiusura totale. Questo, in altre parole, è il governo del capitalismo e delle grandi imprese. È il governo che ha tenuto in piedi tutti i provvedimenti ereditati da quello precedente, persino sul versante reazionario, come i decreti Salvini. È il Governo che ha ridotto l’IRAP e che, anzi, la vuole cancellare, quando la tassa in oggetto rappresenta la principale fonte di finanziamento della sanità, per di più in questa fase di pandemia da cui il paese sta uscendo con molta fatica.
La collocazione di opposizione chiara e netta nei confronti di questo governo è, in altre parole, imprescindibile.
LA PROSPETTIVA GENERALE
C’è bisogno, poi, di dare una piattaforma e una prospettiva generale all’insieme delle ragioni sociali e democratiche che sono state rivendicate dalla piazza, che ponga la questione principale della rottura col quadro della compatibilità capitalistica.
Stiamo parlando della:
1) Cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro che si sono susseguite nei decenni. Il concetto deve essere chiaro e semplice: “pari lavoro, pari diritti”. È la prima rivendicazione da avanzare.
2) Ripartizione tra tutte e tutti del lavoro che c’è, attraverso la riduzione progressiva dell’orario di lavoro: è assurdo che ci siano milioni di disoccupati, anzi, ci saranno nuovi milioni di disoccupati annunciati per l’autunno, per cui l’altra faccia della medaglia è l’allungamento dell’orario di lavoro degli occupati, o addirittura vedersi eliminate le ferie che essi hanno pur maturato. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario rappresenta, contestualmente con il primo punto, la questione principale su cui costruire una rivendicazione complessiva.
3) L’ultimo punto va introdotto con una domanda: chi paga i costi della crisi? Non è una domanda che può rimanere senza risposta: questo governo, insieme a tutti quelli dell’Unione Europea, vuole scaricare gli oneri e i costi della crisi attraverso l’indebitamento pubblico, direttamente o indirettamente, nel portafoglio di lavoratori e sfruttati. Rivendichiamo, dunque, il concetto “paghi chi non ha mai pagato”. Che è l’ideale risposta alla domanda che ponevamo all’inizio del terzo punto.
Come fare tutto questo? Patrimoniale progressiva sulle grandi ricchezze, abolizione del debito pubblico verso il capitale finanziario, le banche italiane e fondi finanziari europei.
Il grosso del debito pubblico italiano sta nella pancia delle banche italiane, non delle banche tedesche. I tagli alla sanità per pagare gli interessi sul debito sono stati dettati da Unicredit e Banca Intesa, ben più che dalla Bundesbank tedesca.
Queste sono rivendicazioni fondamentali, e su queste portiamo, in ogni sede, anche in questa piazza come in ogni altra occasione di movimento che si sviluppi, le nostre ragioni e posizioni politiche.
In conclusione va detto anche che il concetto di “Stati popolari” avrebbe potuto funzionare molto bene se a partire da essi si fosse subito partiti con l’opposizione al governo Conte e al capitalismo. In altre parole: quando si deve “tagliare la testa al re” non si chiede il permesso di dialogare con lui.
Le testimonianze che si sono succedute sul palco di Piazza San Giovanni stanno a dimostrare la forte sofferenza sociale e il livello di sfruttamento del lavoro che c’è in Italia. In questo contesto, quindi, abbiamo portato le nostre posizioni politiche in modo critico rispetto a quelle presentate dai promotori dell’iniziativa “Stati popolari”.
Tutte le ragioni sociali democratiche che sono state esposte dal palco di Piazza San Giovanni si possono rivendicare solo in opposizione al governo, e non con la logica della sostituzione della “protesta” per passare alla “proposta” (cioè ponendo e rivendicando l’interlocuzione con il governo come leva di cambiamento). Non c’è nessuna positività nel cercare un contatto con chi ha risposto agli accorati appelli di Confindustria e del capitalismo italiano per far sì che la produzione non si fermasse nel momento della chiusura totale. Questo, in altre parole, è il governo del capitalismo e delle grandi imprese. È il governo che ha tenuto in piedi tutti i provvedimenti ereditati da quello precedente, persino sul versante reazionario, come i decreti Salvini. È il Governo che ha ridotto l’IRAP e che, anzi, la vuole cancellare, quando la tassa in oggetto rappresenta la principale fonte di finanziamento della sanità, per di più in questa fase di pandemia da cui il paese sta uscendo con molta fatica.
La collocazione di opposizione chiara e netta nei confronti di questo governo è, in altre parole, imprescindibile.
LA PROSPETTIVA GENERALE
C’è bisogno, poi, di dare una piattaforma e una prospettiva generale all’insieme delle ragioni sociali e democratiche che sono state rivendicate dalla piazza, che ponga la questione principale della rottura col quadro della compatibilità capitalistica.
Stiamo parlando della:
1) Cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro che si sono susseguite nei decenni. Il concetto deve essere chiaro e semplice: “pari lavoro, pari diritti”. È la prima rivendicazione da avanzare.
2) Ripartizione tra tutte e tutti del lavoro che c’è, attraverso la riduzione progressiva dell’orario di lavoro: è assurdo che ci siano milioni di disoccupati, anzi, ci saranno nuovi milioni di disoccupati annunciati per l’autunno, per cui l’altra faccia della medaglia è l’allungamento dell’orario di lavoro degli occupati, o addirittura vedersi eliminate le ferie che essi hanno pur maturato. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario rappresenta, contestualmente con il primo punto, la questione principale su cui costruire una rivendicazione complessiva.
3) L’ultimo punto va introdotto con una domanda: chi paga i costi della crisi? Non è una domanda che può rimanere senza risposta: questo governo, insieme a tutti quelli dell’Unione Europea, vuole scaricare gli oneri e i costi della crisi attraverso l’indebitamento pubblico, direttamente o indirettamente, nel portafoglio di lavoratori e sfruttati. Rivendichiamo, dunque, il concetto “paghi chi non ha mai pagato”. Che è l’ideale risposta alla domanda che ponevamo all’inizio del terzo punto.
Come fare tutto questo? Patrimoniale progressiva sulle grandi ricchezze, abolizione del debito pubblico verso il capitale finanziario, le banche italiane e fondi finanziari europei.
Il grosso del debito pubblico italiano sta nella pancia delle banche italiane, non delle banche tedesche. I tagli alla sanità per pagare gli interessi sul debito sono stati dettati da Unicredit e Banca Intesa, ben più che dalla Bundesbank tedesca.
Queste sono rivendicazioni fondamentali, e su queste portiamo, in ogni sede, anche in questa piazza come in ogni altra occasione di movimento che si sviluppi, le nostre ragioni e posizioni politiche.
In conclusione va detto anche che il concetto di “Stati popolari” avrebbe potuto funzionare molto bene se a partire da essi si fosse subito partiti con l’opposizione al governo Conte e al capitalismo. In altre parole: quando si deve “tagliare la testa al re” non si chiede il permesso di dialogare con lui.