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Lotta di classe in Francia

 


Al fianco del proletariato francese

“Non finiremo come in Italia”. Così titolava un lungo striscione a Parigi nelle manifestazioni contro l'aumento dell'età pensionabile. È ciò che esprime la combattività della classe operaia francese e il rifiuto della resa.

Lo scontro di classe in Francia sta affrontando un passaggio cruciale. Macron non dispone di una maggioranza assoluta in Parlamento. La mobilitazione prolungata apertasi il 19 gennaio contro il progetto del governo ha esercitato un'enorme pressione sui parlamentari. Un settore della destra gollista ha minacciato di non votare la legge, e dunque di provocarne la bocciatura. A questo punto Macron è ricorso ad un dispositivo reazionario previsto dalla Costituzione della Quinta Repubblica (l'articolo 49-3) per imporre la legge senza approvazione parlamentare. Una soluzione provocatoria dopo mesi di scontro frontale, e a fronte di un'opinione pubblica largamente ostile all'aumento dell'età pensionabile.

L'articolo 49 prevede tuttavia la possibilità di mozioni parlamentari di censura, l'equivalente di mozioni di sfiducia verso il governo. Il governo conta sul fatto che le mozioni di censura delle sinistre riformiste (NUPES) e quelle dell'estrema destra di Le Pen non siano sommabili, e che la destra gollista non possa congiungersi a tali mozioni. È un calcolo fondato, seppur affidato alle sabbie mobili di un Parlamento scosso.

Lunedì sarà la prova del nove. Se il soccorso gollista dovesse franare, il governo Borne sarebbe costretto a dimettersi, e Macron dovrebbe provare a mettere in piedi un nuovo governo nelle condizioni di massima debolezza. Difficilmente a quel punto il suo progetto di legge sulle pensioni potrebbe risorgere. Se invece il soccorso gollista dovesse tenere, la legge tecnicamente passerebbe senza la foglia di fico del voto parlamentare, ma dovrebbe affrontare la prova d'urto di uno scontro sociale frontale, aperto a ogni esito. Nel 2006 una legge di precarizzazione del lavoro varata dal governo Villepin fu revocata per effetto di una mobilitazione prolungata e radicale di tre settimane.

Seguiremo nei prossimi giorni lo sviluppo dello scontro in Francia, come già abbiamo fatto nei mesi scorsi. Ci limitiamo qui ad alcune considerazioni di fatto.

La classe lavoratrice rigetta la legge. Gli scioperi hanno registrato livelli di partecipazione obiettivamente differenziati tra pubblico e privato, ma le manifestazioni di piazza e di strada sono state nel loro insieme imponenti. Il tentativo del governo di aizzare l'opinione pubblica contro gli scioperanti e i manifestanti è miseramente fallito. Tutti i sondaggi d'opinione testimoniano l'allargamento del rigetto della legge, non la sua riduzione.

Le principali direzioni sindacali continuano la mobilitazione ma temono che vada fuori controllo. Per questo evitano di indire lo sciopero generale, continuando ad affidarsi a giornate nazionali di azione tra loro separate nel tempo. Gli scioperi a oltranza in corso in alcuni settori, in particolare nei servizi (ferrovieri, netturbini, elettricisti...) rinnovati dalla assemblee di base dei lavoratori, non vengono ricondotti ad un'azione generale. Questo è un rischio per il futuro della lotta, come dimostra la vicenda della lotta contro la legge El Khomri (il Jobs Act francese) nel 2017.

Le sinistre riformiste (Mélenchon e NUPES) fanno battaglia parlamentare e sostengono le manifestazioni di piazza. Ma evitano di avanzare parole d'ordine e indicazioni alternative alla linea delle burocrazie sindacali. Il loro scopo è unicamente quello di capitalizzare elettoralmente lo scontro, a futura memoria. La stessa ipotesi di referendum sulla legge (in Francia peraltro assai complicato per ragioni normative, e possibile solo per leggi non ancora promulgate) è il tentativo di dirottare lo scontro sul terreno istituzionale e "legale".

I compagni e le compagne del nuovo NPA sono i soli ad avanzare correttamente la parola d'ordine dello sciopero generale, puntando all'unificazione del movimento di massa al livello più alto di azione ed autorganizzazione. E al tempo stesso inseriscono nel movimento forti rivendicazioni salariali unificanti, oggi osteggiate dalle burocrazie, e lavorano per il massimo coinvolgimento degli studenti al fianco dei lavoratori.

Di certo la parola d'ordine del governo dei lavoratori e delle lavoratrici, quale unica vera alternativa, è il corollario naturale della lotta per lo sciopero generale, l'autorganizzazione di massa, la cacciata di Borne e Macron.

Per quanto ci riguarda siamo e saremo al fianco dei marxisti rivoluzionari in Francia e più in generale del proletariato francese. Se i lavoratori francesi giustamente non vogliono finire come in Italia, è bene che d'altra parte i lavoratori italiani e le loro avanguardie apprendano il meglio dai lavoratori francesi e dal loro esempio. Fare come in Francia è più che mai oggi una parola d'ordine del Partito Comunista dei Lavoratori.

Partito Comunista dei Lavoratori