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Sul contratto istruzione e ricerca


Un brutto accordo con pochi soldi, che ingloba i principi competitivi della "Buona scuola" e della riforma Gelmini

Cinguettano felici i governanti e i sindacalisti complici e concertativi dopo la firma del contratto del comparto scuola, università, ricerca e Afam (istituti artistici e musicali). Apre la kermesse del ridicolo Madia, twittando che è «giusto e doveroso» essere arrivati a concludere; segue Fedeli affermando che «valorizzare chi lavora nei settori della conoscenza è un investimento per il futuro»; e ancora Castellana (CISL), sottolineando che ci sono volute 15 ore per ottenere questo risultato; chiude in bellezza la CGIL gioendo per aver restituito «dignità a più di un milione di lavoratori».

Così, senza ritegno né vergogna. Il nuovo contratto, infatti, al di là dei roboanti annunci alla stampa, e delle stentate difese nelle assemblee, nella scuola recepisce i commi fondamentali della Legge 107 sul Bonus (dal 126 al 128, quelli che stabiliscono la finalizzazione del premio al merito, i criteri del Comitato di Valutazione ed il pieno potere nel distribuirli al Dirigente scolastico), portando a contrattazione solamente a livello di singola scuola dei vaghi criteri generali.
Nell’università, istituisce in pieno "stile Brunetta” superpremi per pochi eccellenti, e rilancia la differenziazione di stipendi e condizioni di lavoro tra ateneo e ateneo, degradando secondo la logica della riforma Gelmini il sistema universitario nazionale.
Tutto questo per portarsi inoltre a casa pochi soldi e mal distribuiti. Gli aumenti conquistati sono solo del 3,48 %: intorno ai 75 euro medi, a confronto dei circa 300 persi in quasi dieci anni di congelamento dei salari e che dovrebbero esser recuperati solo per riguadagnare il potere d’acquisto (senza contare la remunerazione dei nuovi compiti e delle diversità intensità di lavoro, oggi richieste in tutti i settori della conoscenza). Quindi, per gli insegnanti e gli ATA meno pagati dell’OCSE (sotto, solo i greci) non si recupera nemmeno il 5,5 %, che corrisponderebbe all’indicizzazione della vacanza contrattuale.

Ma perché sorprendersi? Era già avvenuto per altri comparti della pubblica amministrazione, e venduto come grasso che cola. E i docenti stiano zitti e muti, perché sono l’unica categoria che ha conservato gli scatti di anzianità! Nella scuola (ma non negli atenei) gli aumenti diventano più o meno gli 85 euro che erano stati promessi, grazie alla distribuzione di un’indennità aggiuntiva (però solo su 12 mesi e senza TFR). Inoltre nei prossimi mesi tutti vedranno in stipendio almeno 80 euro (anche quelli con gli stipendi più bassi, come i collaboratori scolastici, i docenti neoassunti o i CEL e B1 negli atenei): è solo un temporaneo artificio contabile, un piccolo imbroglio. Erogando gli aumenti a regime da marzo, con i soldi risparmiati dei primi due mesi dell’anno si è inventata una perequazione “a scadenza” per gli stipendi inferiori, che porta per tutti gli aumenti appunto intorno agli 80/85 euro: una perequazione (su 12 mesi e comunque senza TFR) costruita con i soldi dei lavoratori e delle lavoratrici (che si vedono gli aumenti slittati di due mesi) che scompare nel nulla dopo il 31 dicembre, portando alla luce gli aumenti reali (ad esempio, un collaboratore scolastico avrà aumenti lordi mensili di circa 51 euro, che però sino a fine 2018 saranno magicamente aumentati di 29 euro, per arrivare a circa 80: dal primo gennaio 2019, però, il suo stipendio perderà questa componente, ed il suo aumento tornerà stabilmente ad essere di 51 euro).

È un contratto che conferma il solco tracciato dal precedente accordo natalizio delle Funzioni centrali (Ministeri ed enti) e tutta la stagione contrattuale dal 2015 (che con metalmeccanici, chimici e commercio ha scambiato pochi soldi, il semplice recupero di una bassissima inflazione, con l’ingabbiamento della contrattazione aziendale, le flessibilità su orario e organizzazione del lavoro).

È questo, allora, un accordo che restituisce dignità e valorizza chi lavora nella scuola? Suvvia, non scherziamo! Quindici ore di strenuo combattimento verbale per ottenere ciò che già si sapeva dal 30 novembre 2016 che si sarebbe ottenuto?
La dura lex dell’ARAN non poteva concedere di più, e così è stato. E lo squallido teatrino terminato alle 7.15 del 9 febbraio è servito solo ad allungare i tempi. E meno male che ci sono le elezioni, altrimenti si poteva restare nel limbo per altri dieci anni. Ma se questa è la mossa elettorale più astuta studiata dalle agili menti che attorniano Renzi, viene il dubbio che la cricca del PD abbia poche idee ma ben confuse. I voti della scuola Renzi se li è giocati con l’arrogante “me ne frego” di fronte allo sciopero del 5 maggio 2015 contro la Buona scuola. Ed ora spera di riconquistarli così? Concedendo un aumento dovuto e rinviando altre tematiche scottanti (aumento dell’orario di servizio, codice etico, sanzioni disciplinari) ad una seconda fase della contrattazione?
Forse qualcuno dovrebbe avvertirlo che l’unica cosa giusta e doverosa sarebbe togliersi di torno, e far sì che i sindacati difendano di nuovo e davvero i lavoratori.
Perché ci poteva essere un’altra la conclusione. Se si fosse deciso di portare in piazza centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, si sarebbe potuta aprire una nuova stagione conflittuale, in grado di proseguire e rilanciare il grande sciopero del 2015, in grado di irrompere nella campagna elettorale, ribaltare i rapporti di forza e conquistare un vero contratto acquisitivo. Perché, nonostante loro, nonostante tutto, c’è ancora chi combatte per una scuola pubblica, gratuita e democratica, che non calpesti la dignità di nessuno.

Il PCL è con questa parte della scuola e dell’università. Per difendere veramente diritti, salari e condizioni di lavoro, bisogna ora respingere questo accordo, bocciandolo nelle assemblee e nelle consultazioni, e soprattutto riprendere una stagione di mobilitazione. Perché i contratti si conquistano nelle lotte, e non intorno ai tavoli. La lotta contro la “Buona scuola” e tutte le controriforme liberiste deve quindi proseguire, oltre e contro questo contratto sbagliato.

Partito Comunista dei Lavoratori