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La verità che emerge all'Ilva

La nazionalizzazione dell'azienda è l'unica soluzione per il lavoro e per la salute

27 Giugno 2019
Né chiusura dell'Ilva né immunità giudiziaria per i padroni: non si può chiedere agli operai di scegliere tra morire di fame o morire di cancro. Basta coi ricatti padronali su lavoro e salute!

 Come volevasi dimostrare. Emerge in queste ore in tutta la sua portata il risvolto della vendita dell'Ilva alla ArcelorMittal. Di Maio lo aveva presentato come accordo storico dovuto al suo genio. CGIL, CISL, UIL, USB lo avevano benedetto agli occhi dei lavoratori come accordo migliorativo e di svolta rispetto al precedente piano Calenda. I partiti della sinistra, da Sinistra Italiana a Potere al Popolo, passando per il PRC, hanno coperto su tutta la linea Maurizio Landini. Ora la verità viene a galla, come il PCL aveva denunciato e previsto, sia sul versante del lavoro che della salute: 1400 lavoratori in cassa integrazione a zero ore, minaccia di chiusura dello stabilimento tarantino il 6 settembre se l'azienda non avrà immunità penale sul fronte ambientale.
Intendiamoci. L'accordo tra azienda, governo e sindacati era già in origine un accordo a perdere: 3000 operai di fatto espulsi dall'azienda, taglio dei salari dei lavoratori rimasti attraverso il meccanismo delle riassunzioni, cacciata dalla fabbrica di molti lavoratori sindacalmente combattivi con un criterio di epurazione, dilazione dei tempi dell'"ambientalizzazione" dell'azienda, peraltro rimasta ancora al palo. Erano le condizioni poste dai capitalisti di ArcelorMittal per comprare Ilva, condizioni generosamente concesse. Occorreva davvero una faccia di bronzo per presentare questa soluzione come svolta. Al punto che persino l'ex ministro Calenda si congratulava con Di Maio per l'attuazione... del piano Calenda.

Ora semplicemente l'azienda ha gettato la maschera. Una volta comprata la fabbrica, e rimosso il pericolo di un concorrente, i capitalisti indiani procedono, come nel resto d'Europa, al taglio della produzione. Il mercato mondiale dell'acciaio è saturo da diversi anni, anche per via dell'espansione cinese. Tutti i capitalisti del settore, gli uni contro gli altri armati, si disputano il mercato tagliando i costi: i costi del lavoro (salari e occupazione) e i costi ambientali (salute degli operai e delle loro famiglie). Arcelor pratica in Italia ciò che pratica nel resto del mondo. L'eterna favola di un capitalista buono, salvatore degli operai, cui mostrare riconoscenza, trova l'ennesima clamorosa smentita.

I fatti dimostrano una volta di più che c'è una sola soluzione per la questione Ilva che possa rispondere agli interessi del lavoro e della salute: la nazionalizzazione dell'azienda, senza indennizzo per ArcelorMittal, e sotto il controllo dei lavoratori, nel quadro della nazionalizzazione di tutta la siderurgia. L'unica soluzione che può garantire ad un tempo la ripartizione del lavoro a parità di paga attraverso la riduzione generale dell'orario, e un investimento pubblico immediato e adeguato per la riorganizzazione della produzione a fini ambientali e per la bonifica vera dei territori.

Né chiusura dell'Ilva né immunità giudiziaria per i padroni: non si può chiedere agli operai di scegliere tra morire di fame o morire di cancro. Basta coi ricatti padronali su lavoro e salute! Solo l'esproprio della fabbrica sotto controllo operaio può garantire i lavoratori.

Ilva, Whirlpool, Pernigotti, Alitalia... è ora di unificare in una lotta sola le centinaia di vertenze aperte per la difesa del lavoro, attorno all'obiettivo della nazionalizzazione senza alcun indennizzo per i grandi azionisti di tutte le aziende che licenziano, o inquinano, o calpestano i diritti sindacali.

Nessuna fiducia nel governo e nei padroni! Solo la forza degli operai può imporre una svolta vera.
Partito Comunista dei Lavoratori