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Le mobilitazioni in USA e nel mondo contro il razzismo e il capitalismo

L’omicidio di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio è stato l’innesco di una situazione esplosiva che covava da tempo. Le diseguaglianze di classe e razziali, la corruzione, i diritti democratici affossati in molti stati in USA sotto forma di violenta repressione poliziesca, e le conseguenze contro i più deboli della pandemia, sono stati la spinta per enormi mobilitazioni di massa in tutto il paese, portate avanti con una determinazione che non si era vista nemmeno nelle proteste degli anni '60 e '70.

In centinaia di metropoli e centri urbani la risposta contro il governo dello stato capitalista più potente al mondo, gli Stati Uniti, non si ferma da quel giorno. Le settimane di mobilitazioni hanno iniziato a rompere la diga messa come argine dal sistema per impedire che le proteste in difesa degli elementari diritti democratici si legasse a una sollevazione sociale anticapitalista.
Nei primi giorni la risposta poliziesca è stata pesantissima. L’uso sistematico della violenza militarizzata della Guardia Nazionale, l’uso di nuove armi antisommossa contro le manifestazioni di massa anche pacifiche, la minaccia di utilizzare l’esercito, l’utilizzo della sigla "Antifa" come capro espiatorio, hanno gettato altra benzina sul fuoco. Da una parte la sovraesposizione mediatica da parte dei mezzi di informazione dei momenti di rabbia della gioventù afroamericana emarginata contro negozi e supermarket, e l’inserimento delle provocazioni delle organizzazioni dell’ultradestra dall’altra, non hanno impedito che questa ondata di mobilitazioni si fermasse. Le parole della portavoce di Black Lives Matter Tamika Mallory "enough is enough (quando è troppo è troppo)” o slogan come “No justice, no peace (Niente pace senza giustizia)”, utilizzato già nel 1986 quando il giovane afroamericano Michael Griffith venne massacrato a New York da razzisti bianchi, sono stati la colonna sonora in ogni corteo.
Persino all’interno del Partito Democratico si sono alzate voci inneggianti alla repressione e al possibile uso dell’esercito contro le mobilitazioni di massa. Ma ben presto l’atteggiamento è parzialmente cambiato. Con le proteste che invece di placarsi si infiammavano in tutti gli stati e nelle metropoli come New York, Los Angeles, Detroit, Chicago, le autorità, alti gradi militari e lo stesso Pentagono hanno per ora scaricato limitatamente le polizie locali promettendo riforme, limitazioni dei budget e dell’uso della forza.

Questa rivolta negli USA è un segnale di una nuova fase storica, e non è solo la rabbia nera verso secoli di omicidi razzisti o di poliziotti impuniti per l'assassinio di afroamericani disarmati. È l’espressione della sofferenza sociale di intere comunità e delle enormi differenze sociali tra ricchi e poveri, di una classe media sempre più in via di proletarizzazione, di decine di milioni di disoccupati, dello sfruttamento capitalistico dei lavoratori sempre più pianificato scientificamente, della disperazione delle popolazioni rurali e native per i territori depredati e desertificati dall’estrazione di fonti energetiche fossili, e infine del dolore e della rabbia per l’emergenza Covid-19 che ha salvaguardato solo la classe dominante. È il segnale di una coscienza di classe che si sta risvegliando lentamente dal suo torpore. È la sempre maggiore consapevolezza che il sogno di un nuovo modello di società, il famoso “sogno” di Martin Luther King, può essere raggiunto solo attraverso la lotta di classe.

Questo si è visto molto bene in diverse situazioni dove i lavoratori si sono uniti alle parole d’ordine di BLM condividendo enormi mobilitazioni di massa. Lo sciopero generale del 12 giugno a Seattle ha visto la partecipazione di studenti e lavoratori con una marcia di protesta di almeno 60.000 persone, nella quale le rivendicazioni anticapitaliste erano chiarissime, come quelle per la difesa di posti di lavoro in tutta l’area industriale e contro la pesante realtà della disoccupazione.

Anche lo sciopero generale lanciato in diversi stati per il Juneteenth – 19 giugno, storica data dell’abolizione della schiavitù – ha avuto una riuscita sbalorditiva. Uno dei maggiori scioperi del Juneteenth è stato indetto dall'International Longshore and Warehouse Union (ILWU), che ha bloccato il lavoro per otto ore in tutti i 29 porti lungo la costa occidentale degli Stati Uniti. Come tutti gli scioperi generali indetti da BLM, coinvolgono i lavoratori di qualsiasi etnia. Dopo 4 settimane di proteste ininterrotte, il 19 giugno sono scese in piazza in centinaia di migliaia di persone ad Atlanta ed a Oakland, in California, unendo nella lotta la costa est e la costa ovest degli Stati Uniti.


LOTTA DI CLASSE AL RAZZISMO E INTERNAZIONALISMO

Le battaglie contro il razzismo negli Stati Uniti hanno avuto l’appoggio e la solidarietà dei rivoluzionari di tutto il mondo. Le proteste che stanno avvenendo al di fuori degli Stati Uniti, dall'Europa all'Australia, dal Giappone all'Africa, dal Messico al Brasile hanno unito le proteste contro l'uccisione di George Floyd alle risposte contro la brutalità razzista delle polizie locali verso le popolazioni native, verso i migranti e verso le minoranze etniche e religiose, come in Brasile ed Australia.
In Australia, in particolare, enormi marce di protesta hanno attraversato tutto il continente da Perth a Wollongong, da Sydney a Melbourne, e in migliaia hanno legato la lotta americana con la difesa dei diritti della popolazione nativa aborigena, ricordando le sofferenze del post-colonialismo britannico e le discriminazioni contro il popolo LGBT. In Australia la brutalità della polizia e del sistema giudiziario assume forme diverse rispetto agli Stati Uniti, forme che non possono essere facilmente documentate. Ma la violenza è evidente nelle ferite sui corpi e nelle anime degli aborigeni, nelle loro storie di vita.
"Black lives matter" è diventato quindi un richiamo radicale per gli aborigeni e gli abitanti delle isole dello Stretto di Torres e in tutto il paese, ma non è una novità. La novità di queste proteste è quella di molti lavoratori australiani bianchi che hanno deciso di unirsi ai nativi per richiamare l'attenzione su tutta questa violenza.
In Europa, l’appello di Black Lives Matter ha percorso con manifestazioni enormi tutte le principali capitali, in particolare Berlino, Londra e Parigi.

I rivoluzionari sanno che la lotta per la democrazia e per la difesa dei diritti marciano insieme con la lotta di classe. Le parole di Malcom X sono chiarissime: “non esiste il capitalismo senza il razzismo”. La lotta contro la violenza degli stati capitalisti e il razzismo possono avere successo solo con un profondo progetto e programma rivoluzionario.
I rivoluzionari si stanno battendo contro il capitalismo sempre più in crisi che distrugge il pianeta, discrimina gli esseri umani per genere, razza, orientamento sessuale e identità, che ci sfrutta, e il cui unico obiettivo è l'aumento permanente del profitto a scapito delle nostre vite e dei nostri corpi.

In queste settimane il Partito Comunista dei Lavoratori, in una logica di fronte unico, è impegnato in iniziative di difesa dei lavoratori immigrati, di denuncia della loro condizione e di condanna delle violenze subite, per unire le proprie ragioni con le ragioni della mobilitazione in corso negli USA e nel mondo.
Ruggero Rognoni