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Contro lo squadrismo bolsonarista

 


Nessuna fiducia nel governo Lula. Per una iniziativa indipendente del movimento operaio brasiliano

10 Gennaio 2023

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A due anni esatti dall'assalto trumpiano alla sede del Congresso USA, una massa fascistoide ha attaccato e invaso a Brasilia i palazzi presidenziali, del Parlamento, della Suprema Corte.
Non mancano le differenze – di contesto e di dinamica – tra le due vicende.

Differenze di contesto innanzitutto. Gli USA sono la più grande potenza imperialista, il Brasile lo Stato più esteso tra i paesi dipendenti dell'America Latina. La democrazia borghese liberale americana ha secoli di storia alle proprie spalle. Il Brasile ha attraversato dittature militari sanguinose negli anni '60, e ha completato la transizione alla democrazia borghese in tempi recenti, alla fine degli anni '80.

Le differenze riguardano anche la dinamica concreta degli accadimenti. Negli USA l'operazione squadrista si produsse con un presidente Trump ancora formalmente in carica, seppure per poco; in Brasile Bolsonaro ha perso il ballottaggio presidenziale il 30 ottobre scorso, e il nuovo presidente Lula è già insediato e operante.

E tuttavia l'analogia è profonda. In entrambi i casi un blocco sociale reazionario, prodotto di una estrema polarizzazione politica, si è espresso attraverso l'azione diretta, scavalcando ogni canale istituzionale, in contrapposizione al governo dello Stato.

Intendiamoci. Contrariamente alle leggende metropolitane secondo cui tutto si svolge sempre secondo scenari prestabiliti dall'alto, in nessuno dei due casi l'azione diretta è stata guidata dai grandi capi reazionari. Trump ha sicuramente aizzato con la sua demagogia chi ha attaccato Capitol Hill, ma non ha ordinato l'irruzione di massa nel palazzo del Congresso, che semmai lo ha politicamente indebolito. Così l'ultrareazionario Bolsonaro è sicuramente la bandiera e il nume tutelare di chi ha assalito il palazzo presidenziale a Brasilia, ma non è stato il comandante in capo dell'operazione. Non a caso ha pensato bene di dissociarsi, dalla lontana Florida.

E tuttavia limitarsi a queste osservazioni sarebbe oltremodo superficiale e consolatorio. Bolsonaro ha perso le elezioni di ottobre per appena due milioni di voti. Il suo blocco sociale è rimasto sostanzialmente intatto. Si tratta della metà del Brasile. Un blocco nazional-popolare estremamente variopinto, presente nelle città e nelle campagne. Un impasto assortito di nazionalismo, integralismo religioso, xenofobia, gang giovanili e curve calcistiche, latifondismo agrario e business commerciale, piccola e grande criminalità e insieme domanda popolare di polizia e “sicurezza”. Non è un caso se tutto questo ha trovato espressione in Bolsonaro, un populista fanatico no vax che rivendica il peggior militarismo reazionario della recente storia brasiliana. Né è un caso che Bolsonaro abbia cercato appoggi e sponde proprio nelle gerarchie militari .

Ciò che è accaduto ha qui la sua radice. Larga parte della militanza attiva del bolsonarismo non è affatto rassegnata al risultato elettorale del 30 ottobre. Di più: rifiuta la legittimità del risultato gridando all'inganno dei brogli, esattamente come fece a suo tempo il trumpismo USA.
Per due mesi gli ambienti più radicali del bolsonarismo hanno attivato proteste di piazza, blocchi stradali, presidi, per opporsi alla caduta del loro Capo, e dunque al passaggio istituzionale di consegne tra Bolsonaro e Lula. Non solo: hanno sperato che Bolsonaro in persona facesse appello alle Forze Armate brasiliane perché impedissero con un'azione di forza l'insediamento di Lula. Bolsonaro non li ha assecondati. Non ha riconosciuto la vittoria elettorale di Lula, non si è presentato al suo insediamento, ma non ha fatto appello a rovesciarlo. L'invasione dei palazzi del potere da parte dello squadrismo bolsonarista è sicuramente la risultante della spinta reazionaria di Bolsonaro, è stata incoraggiata dalla sua politica, è stata consentita dalla sua macchina organizzativa e finanziaria (a partire dai pullman), è stata coperta dalle compiacenze e complicità di polizia ed esercito. Al tempo stesso non ha trovato direzione e sbocco.

Ma il monito di quanto accaduto va ben al di là del suo esito. Dimostra che il livello di scontro politico è esondato dai binari della democrazia borghese. Interroga da un lato il nuovo governo Lula, dall'altro il movimento operaio brasiliano.

Lula si è affrettato a capitalizzare lo scampato pericolo, ha incassato il sostegno unanime delle diplomazie imperialistiche mondiali, da Biden a Putin, ha deciso la destituzione del governatore regionale di Brasilia e nuove nomine ai vertici della polizia, ha infine decretato il divieto di manifestazioni in tutto il Brasile sino al 31 gennaio, ciò che significa affidarsi all'apparato statale e militare brasiliano, chiamandolo a “difendere la democrazia”, e soprattutto a bloccare ogni iniziativa indipendente del movimento operaio contro la reazione e la destra.

La preoccupazione principale di Lula è che il fallimento del tentativo golpista faccia da stura a una risposta di classe e di massa, in una dinamica di scontro aperto con la reazione.
È facile prevedere che il divieto di manifestare e lo stato di emergenza verrà applicato contro il movimento operaio, a partire dalla sua avanguardia. Lula chiede “ordine”, come la stampa borghese brasiliana, la Borsa, le organizzazioni padronali. Nessuna di queste è affiliata a Bolsonaro. Ognuna teme ora come la peste il rischio di un conflitto sociale e politico ingovernabile. Il governo Lula raccoglie questa domanda d'ordine. La stessa composizione del governo, che coinvolge anche ambienti e personalità della destra, è indicativa del suo corso politico liberale. È il governo più a destra tra quelli diretti dal PT negli ultimi vent'anni.
Ora l'azione sovversiva abortita dell'8 gennaio consolida una volta di più il suo corso liberale. Lula fa leva sugli avvenimenti per rafforzare la propria legittimazione agli occhi della borghesia quale unico possibile argine al caos. Fermare ogni possibile risposta di classe ai golpisti diventa la misura della propria credibilità.

Il movimento operaio ha l'esigenza esattamente opposta: quella di mobilitare unitariamente le proprie forze contro la reazione bolsonarista, in piena autonomia dal governo Lula e dall'apparato dello Stato. È l'ora dello sciopero generale, delle manifestazioni di massa, della organizzazione diretta dell'autodifesa. È l'ora della contrapposizione attiva della classe operaia a questa ondata squadrista.
Al di là del loro esito immediato, i fatti dell'8 gennaio dimostrano le potenzialità del blocco sociale reazionario e la radicalità delle forze organizzate che lo compongono. Solo un movimento indipendente dell'enorme classe operaia brasiliana può disgregare quel blocco sociale e aprire dal basso uno scenario nuovo. Opporre alla reazione una prospettiva anticapitalista è la via più sicura per sbarrarle la strada. Per l'oggi e per il domani.

Partito Comunista dei Lavoratori