La riforma Renzi-Giannini
della scuola «è una grande riforma di centrodestra fatta governando con
il centrosinistra». Queste parole di Renato Schifani, ex presidente del
Senato di Forza Italia ed ex luogotenente berlusconiano di lungo corso,
ora schierato con Renzi, coronano al meglio la prima approvazione
istituzionale della "Buona scuola", giovedì al Senato.
I diversivi tattici del governo, e di Renzi in persona, sull'opportunità del "confronto" e dell'"ascolto" di opposizioni e parti sociali, non hanno in realtà minimamente intralciato il percorso del ddl in parlamento. Allo stesso modo, sono caduti inevitabilmente nel vuoto tutti i tentativi di convincimento o di sponda con questo o quell'esponente delle "minoranze" del PD, messi in atto allo scopo di frenare la riforma o quantomeno ridurre i danni: l'insignificanza delle cosiddette modifiche è ulteriore riprova dell'estraneità e dell'impermeabilità di un partito come il PD alle esigenze degli insegnanti e dei lavoratori in generale.
La larga ricomposizione interna al PD sul ddl, d'altra parte, è essa stessa un segno della vera natura e delle ragioni sociali di quel partito, che la mordacchia e le forzature del nuovo corso renziano rendono solo più evidenti e immediati, anche a chi si sforza di non vedere (Camusso in testa).
La lotta contro la riforma e contro il governo Renzi è giunta alla fine di una prima battaglia. Ma è una lotta appena iniziata. Il peso del suo isolamento e le conseguenze che ne sono derivate in termini di incisività e di estensione non devono costituire un'ipoteca negativa per il proseguimento della mobilitazione e per la sua radicalizzazione. La continuità della lotta in autunno, con il pieno coinvolgimento degli studenti e dell'intero mondo dell'istruzione, è questione di primaria necessità. Sarà il banco di prova principale sul quale si deciderà lo scenario sociale e politico dei prossimi mesi. Solo una lotta di massa esemplare come quella della scuola può, a differenza dei riti minoritari e ormai esausti dell'antagonismo, riaprire una prospettiva più ampia al conflitto di classe nel paese.
I diversivi tattici del governo, e di Renzi in persona, sull'opportunità del "confronto" e dell'"ascolto" di opposizioni e parti sociali, non hanno in realtà minimamente intralciato il percorso del ddl in parlamento. Allo stesso modo, sono caduti inevitabilmente nel vuoto tutti i tentativi di convincimento o di sponda con questo o quell'esponente delle "minoranze" del PD, messi in atto allo scopo di frenare la riforma o quantomeno ridurre i danni: l'insignificanza delle cosiddette modifiche è ulteriore riprova dell'estraneità e dell'impermeabilità di un partito come il PD alle esigenze degli insegnanti e dei lavoratori in generale.
La larga ricomposizione interna al PD sul ddl, d'altra parte, è essa stessa un segno della vera natura e delle ragioni sociali di quel partito, che la mordacchia e le forzature del nuovo corso renziano rendono solo più evidenti e immediati, anche a chi si sforza di non vedere (Camusso in testa).
La lotta contro la riforma e contro il governo Renzi è giunta alla fine di una prima battaglia. Ma è una lotta appena iniziata. Il peso del suo isolamento e le conseguenze che ne sono derivate in termini di incisività e di estensione non devono costituire un'ipoteca negativa per il proseguimento della mobilitazione e per la sua radicalizzazione. La continuità della lotta in autunno, con il pieno coinvolgimento degli studenti e dell'intero mondo dell'istruzione, è questione di primaria necessità. Sarà il banco di prova principale sul quale si deciderà lo scenario sociale e politico dei prossimi mesi. Solo una lotta di massa esemplare come quella della scuola può, a differenza dei riti minoritari e ormai esausti dell'antagonismo, riaprire una prospettiva più ampia al conflitto di classe nel paese.