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Non vicino al camino. Na rua com Marielle!



Marielle Franco, una vita contro

Tutti adesso si sono accorti di Marielle. Se ne sono accorti ora che è morta, crivellata da un lotto di munizioni vendute nel 2006 alla polizia di Rio de Janeiro, in un’esecuzione precisa, senza minacce precedenti. Un’esecuzione istituzionale.
Adesso è partita la santificazione postuma, da parte dei media borghesi occidentali che prima ignoravano lei, le sue lotte e il suo angolo di terra proletaria, le favelas del Maré, un agglomerato di slums in cui il presidente Temer, finita la vetrina dei mondiali, aveva destituito il governatore dando il potere alla polizia militare.
Adesso, nell’ondata di costernazione ipocrita del mondo capitalista, si evita accuratamente di dire che era nera, lesbica, madre di una figlia cresciuta da sola, che aveva una compagna, che oltre alla lotta politica anticapitalista era attiva contro le discriminazioni LGBT, che stava conducendo una battaglia per l’accesso all’aborto. Ed era anche femminista, Marielle. E militante del PSOL.
Si filtrano le caratteristiche del santino come meglio si confà alla narrazione, in modo da renderlo innocuo o più o meno digeribile al pubblico occidentale. Ancora più schifosamente si fanno illazioni. Sì, perché hanno pure provato a infangarla Marielle, dicendo che “era coinvolta con i criminali” (1).
Marielle era la voce di un risveglio, quello meticcio, femminile e proletario, che ora è evidente quanto impensierisse i padroni del disordine. Quando il potere capitalista non riesce più a contenere la propria paura del proletariato, la propria consapevolezza che solo il proletariato, le donne, i lavoratori possono spazzarlo via, quando vede la ribellione serpeggiare nei ghetti in cui rinchiude gli sfruttati, non esita ad usare anche l’assassinio alla luce del sole, senza paura e senza vergogna.

L’esecuzione di Marielle Franco avviene infatti in un clima politico, quello brasiliano, avvelenato da un’ondata di populismo razzista, che criminalizza la povertà e giustifica la violenza di stato. La destra cavalca l’emergenza droga e povertà, generando ad arte un clima di odio, tensione e paura, non tanto diverso nei metodi da quello che ha determinato l’avanzamento della destra xenofoba e razzista in Europa e in Italia. Un clima fomentato in Brasile da personaggi come Jair Bolsonaro, dato dai sondaggi al secondo posto per le elezioni presidenziali di ottobre, che ha appoggiato la dittatura militare, che si è espresso a favore della tortura e che ha liquidato una deputata dicendole che non l’avrebbe stuprata dato che non ne valeva la pena.
Quattro giorni prima di morire Marielle Franco aveva denunciato l’ennesima uccisione da parte della polizia militare; la vittima si chiamava Matheus Melo, ed era l’assistente di un parroco.

La continua ed instancabile azione di denuncia di Marielle pesava ed aveva una risonanza preoccupante, dato che era stata eletta a capo di una commissione per monitorare proprio l’attività della polizia nelle favelas di Rio. Marielle è stata uccisa per questo, per aver denunciato ciò che comportava l’intervento della polizia nelle favelas, ossia la morte della democrazia, repressione, violenza e brutalità, con una descrizione perfetta e profetica “o acirramento da violência nos corpos nossos de favelados” (l’incitamento alla violenza sui nostri corpi di abitanti delle favelas) (2).

Nelle favelas l’esercito abbatte cancelli e steccati, entra nelle case, fruga, perquisisce, intimidisce, minaccia e stupra. Ogni giorno. E uccide. Sono 1275 i casi di omicidi commessi dalla polizia tra il 2010 e il 2013 in Brasile, un paese che ha un tasso di morte violenta superiore alla Siria. Le vittime erano di colore nel 79% dei casi. E per il 99% uomini. Solo per caso e per inciso, alla fine dell’anno scorso è stato approvato un disegno di legge in base al quale gli omicidi della polizia contro i civili non sono più soggetti alla giustizia ordinaria, ma ai tribunali militari. Nessun controllo civile quindi sull’operato delle Forze Armate brasiliane, che nelle favelas rispondono direttamente a Temer.
Il proletariato delle favelas, in particolare “negro” e donna, già inginocchiato dallo sfruttamento del capitale e tiranneggiato dai narcos, ha tutto da temere e niente da guadagnare dal pugno di ferro di Temer.

Marielle dice: “o barulho dos tanques, de tanque blindado, o barulho do tanque ainda é muito latente que ficava na porta de um dos prédios que eu morei até pouco tempo. Esse medo, esse desespero é onde a gente chora porque corta na nossa carne” (“Il frastuono dei carri armati, dei blindati, il frastuono dei carri è ancora presente all’ingresso di uno dei palazzi in cui abitavo fino a poco tempo fa. Questa paura, questa disperazione si trova ancora nel pianto della nostra gente perché lacera la nostra stessa carne.”) (3)

Perché Marielle? Semplice. Perché donna. Perché femminista. Perché anticapitalista. Perché lesbica. Perché proletaria. Perché madre. Perché nera. Perché ascoltata.
Questo assassinio politico non è che l’ultimo atto di una guerra di genere e di classe che si compie sul corpo delle donne tutti i giorni in tutto il mondo. Una guerra condotta con ogni mezzo dalla classe dominante, maschia, bianca e ricca, sulla pelle degli sfruttati e delle sfruttate.
I poveri devono stare al proprio posto, nei ghetti delle città e delle periferie del capitale, da noi come a Rio, in Libia e in Nigeria. Così le donne, anch’esse “vicino al camino”, come si diceva negli anni Settanta.
In un paese come il Brasile in cui le donne subiscono uno stupro ogni 11 minuti e 12 donne vengono uccise ogni giorno (4), essere donna e lottare per la propria autodeterminazione e per quella della propria classe è ancora un delitto imperdonabile. In Italia i numeri sono inferiori, ma il principio è lo stesso.

La vicenda di Marielle Franco dovrebbe far aprire gli occhi a tutti coloro che pensano che il cambiamento culturale sia sufficiente, che basti migliorare un po’ l’educazione scolastica, che servano “riforme” e piccole lotte particolari su questo o quel provvedimento. Che tutto ciò che riguarda le donne non abbia nulla a che fare con il sistema economico, ma che sia una questione di mentalità, di maggiore parità. Ciò dovrebbe far riflettere anche gli impenitenti legalisti che a casa nostra davanti a ogni femminicidio sbraitano di misure repressive, ergastoli, castrazioni e ghigliottina.
Quando è la polizia a giustiziare chi chiede diritti, cosa c’è rimasto da salvare? Non deve essere palese solo per noi rivoluzionari che la democrazia borghese non esiste e non è mai esistita, che esiste solo l’oppressione degli sfruttatori sugli sfruttati. La parità di trattamento Marielle l’ha avuta. Assassinata dallo stato come un boss dei narcos. Con quattro colpi alla testa. Come un uomo. Scomodo.
Che ci uccida la polizia in un’esecuzione sommaria, o un fidanzato in preda ai “fantasmi della gelosia”, o un datore di lavoro perché non in regola con le norme di sicurezza, o che ci uccida il lento logorio di un lavoro di cura infinito, per tutti, bambini, adulti o anziani, che ci stupri un carabiniere “maschietto” o che ci uccida il taglio dello screening in un sistema sanitario ormai privatizzato, dobbiamo prendere coscienza che solo combattendo per abbattere alla radice patriarcato e capitalismo potremo disporre di quella libertà che oggi ci manca. Come donne e come sfruttate, lavoratrici, precarie, disoccupate, madri o meno, giovani o vecchie.

Migliaia di persone sono scese in piazza per esprimere la propria tristezza e rabbia per l’omicidio di Marielle. È ancora presto per dire se queste proteste prenderanno una forma più strutturata e di lungo corso.
La combattività era il suo marchio di fabbrica, e la strada politica e personale che aveva percorso lo testimoniava. Avrebbe potuto correre per le presidenziali, acquisire ancora più influenza. Andava fermata. E con lei tutti coloro che ne condividono le battaglie. Come rivoluzionari, dobbiamo fare sì che questo omicidio ottenga l’effetto opposto. E che tante voci come quella di Marielle si levino dalle periferie del capitale.
“Hoje a gente tem o temor e aí, quem aqui vigia os vigias? Quem presta contas? A gente vem para ocupar a rua, sim” (Oggi la gente ha paura e quindi, chi ci protegge dalle guardie? Chi ne risponderà? La gente scenderà a occupare le strade, sì!”) (5).




(1) https://veja.abril.com.br/brasil/desembargadora-diz-que-marielle-estava-engajada-com-bandidos/

(2) https://brasil.elpais.com/brasil/2018/03/15/politica/1521140804_564612.html

(3) https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=h9oC94oOAdA

(4) https://www.newstatesman.com/world/south-america/2018/03/marielle-franco-s-death-emblem-violence-against-brazil-s-poor-and-black

(5) https://brasil.elpais.com/brasil/2018/02/16/politica/1518803598_360807.html

MG - Commissione oppressioni
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI