Il 7 aprile tutte e tutti a Firenze, alle 9.30 presso la Corte d'appello del tribunale.
Il PCL presente
«La chiamata al pronto soccorso è delle 7,10 (racconta la madre di Martina Rossi). Se si fossero allertate subito, se c'era una piccola possibilità di salvare mia figlia, loro gliel'hanno negata».
Chi era Martina Rossi? Una studentessa di appena vent'anni, scomparsa all'alba del 3 agosto 2011 in Spagna, a Palma di Maiorca, durante una vacanza estiva con due amiche. Nel tentativo di fuggire dall'aggressione sessuale di due ragazzi, Martina precipitò dal 6° piano dell'hotel dove alloggiava, poiché scavalcò il muretto del poggiolo in preda alla paura e all'affanno.
Le indagini spagnole si erano concluse con l'archiviazione e l'ipotesi di suicidio, ma con il tempo e ulteriori indagini è venuta a galla la verità.
Dopo sette anni, il 14 dicembre 2018, è stata emessa la sentenza: i due imputati sono stati condannati a sei anni di carcere, per i reati di “tentata violenza sessuale di gruppo” e “morte come conseguenza di altro reato”.
Nel verdetto di condanna i giudici scrivono che qualcuno la spogliò per abusarne, sottolineano la sparizione dei pantaloncini mai rinvenuti (Martina fu ritrovata con gli slip e la maglietta). Gli evidenti graffi sul collo di uno degli imputati erano il segno che Martina aveva subito un’aggressione e aveva provato a difendersi.
Il processo di appello arriva un anno dopo e il 28 novembre 2019 viene prescritto il primo reato. Il 9 giugno 2020 in appello i due imputati vengono prosciolti perché “il fatto non sussiste”.
Siamo al 21 gennaio 2021, la Suprema Corte annulla l'assoluzione dei due imputati, decidendo un nuovo appello bis. I giudici della Cassazione spiegano che hanno impugnato l'assoluzione per “l'illogicità” e “l'incompletezza della sentenza”, che non spiega le prove che dimostrano l’aggressione sessuale, su cui si era basato il verdetto di condanna.
Ciò che è accaduto a Martina è l'ennesimo caso di femminicidio.
In Italia nei primi tre mesi del 2021 si contano già quindici femminicidi: Clara Ceccarelli uccisa a Genova con 115 coltellate, Deborah Saltori con un colpo d'accetta, Ilenia Fabbri uccisa addirittura da un sicario, a loro si aggiungono Sharon Barnie, Victoria Osagie, Roberta Siragusa, Tiziana Gentile, Teodora Casasanta, Sonia Di Maggio, Piera Napoli, Luljeta Heshta, Lidia Peschechera, Rossella Placati, Edith (una bambina di due anni), Ornella Pinto, Carolina Bruno e Lorenza Addolorata Carano.
Donne uccise dagli uomini, ma in primis dalla società: la cultura patriarcale nella quale siamo immersi a braccetto con il sistema capitalistico pretende che le donne vivano tra le mura domestiche come oggetti di soddisfazione sessuale e uteri dediti alla riproduzione e al lavoro di cura. Il lockdown ha aggravato la situazione, con un'escalation di violenze: gelosia, rifiuto della separazione, stupro, relazioni tossiche...
A fronte di questi numeri, crediamo che sia giusto domandarsi: perché il femminicidio è ancora difficile non solo da riconoscere ma anche da ammettere? Perché le sentenze spesso negano e cancellano le violenze subite. Chi può alleviare il dolore immenso di genitori o familiari?
Le donne in difficoltà hanno molta difficoltà a chiedere aiuto. Sporgere denuncia o rivolgersi ad un centro antiviolenza non è un'operazione semplice: le donne sono sotto il costante controllo del partner abusante e spesso si vergognano benché non abbiano colpa. I centri preposti all'accoglienza delle donne maltrattate sono in grande difficoltà a causa delle politiche insufficienti messe in atto dai governi borghesi. Tante cerimonie e pochi finanziamenti.
C'è molto da fare. Nel mondo del lavoro e nella società in generale, esiste purtroppo ancora un sistema discriminatorio nei confronti delle donne. È necessario continuare a lottare per abbattere questo sistema fondato sulla supremazia fallica e capitalistica.
Per tornare alla vicenda di Martina, in una delle tante interviste rivolte ai genitori, i giornalisti rivolgendosi al padre domandano quale sia il senso di continuare a lottare per la verità, pur sapendo che la loro Martina non potrà più esserci. Il padre sottolinea l'importanza che non accada mai più ciò che è successo a loro.
Intanto sono passati dieci lunghi anni di attesa, dolore e speranza.
Il prossimo appuntamento sarà il 7 aprile 2021 alle 9.30 presso la Corte d'appello del tribunale di Firenze dove ci sarà la sentenza della Cassazione.
Invitiamo tutte e tutti ad esprimere la propria solidarietà alla famiglia di Martina e accogliamo questa occasione per ricordare tutte le vittime di femminicidio.