La riapertura di Draghi al servizio del padronato
Il Presidente di Confindustria Macerata lo aveva detto qualche mese fa: “Bisogna riaprire, poi certo ci saranno dei morti, ma...”. Per questa cinica battuta fu esecrato dall'opinione pubblica e dalla grande stampa, al punto di doversi dimettere. Ma cosa sta facendo oggi il governo Draghi se non seguire il cinismo di Confindustria?
La riapertura accelerata è un rischio ragionato, secondo Draghi. Si tratta solo di capire a quale “ragione” risponde il rischio. Centomila nuovi contagiati a settimana, diverse centinaia di morti al giorno, un aumento del contagio in sedici provincie del sud d'Italia, la variante inglese del virus – più contagiosa – ormai largamente dominante, una copertura vaccinale della popolazione anziana ancora dopo mesi scandalosamente insufficiente e arbitrariamente diversa da regione a regione. In queste condizioni la riapertura non è solo avventurosa, ma criminale. Non a caso i migliori epidemiologi, da Galli a Crisanti, la denunciano giustamente come tale. Il matematico del CNR, Giovanni Sebastiani, che nell'ultimo anno non ha mai sbagliato previsioni sulle linee di tendenza del contagio, dichiara che i contagi torneranno a salire e nel giro di tre cinque settimane ci costringeranno a nuove chiusure. La previsione è di 8000-10000 decessi aggiuntivi entro fine maggio determinati dalle riaperture. In particolare la riapertura generalizzata delle lezioni in presenza nelle scuole, in assenza oltretutto di qualsiasi modifica delle condizioni materiali del servizio (spazi, trasporti, protezioni individuali...) rischia di presentare un conto assai salato, e in tempi relativamente brevi.
Dunque la riapertura è senza “ragione”? Niente affatto. La ragione esiste eccome. È la stessa che ha dettato la rinuncia a un vero lockdown: rispondere agli interessi di Confindustria e delle imprese. Riaprire, riaprire, riaprire: la parola d'ordine del padronato di tutte le taglie è unanime. “Dopo il lockdown dell'anno passato, non possiamo richiudere ed anzi dobbiamo riaprire”. Del resto sono gli stessi padroni della bergamasca e del bresciano che un anno fa si erano opposti alla zona rossa ad Alzano e Nembro nel nome di “Bergamo is running”. Gli stessi che anche quando “tutto era chiuso” tenevano aperte le proprie fabbriche con la copertura di protocolli sanitari finti gentilmente offerta dalle direzioni sindacali. Chi può meravigliarsi se oggi sono i capofila della riapertura? Ristoratori e albergatori sono per lo più il loro ostaggio e la loro clava, lo strumento di pressione sul governo per sbloccare la riapertura generale del mercato.
Il governo accontenta i padroni, col plauso della grande stampa o qualche imbarazzato silenzio. Del resto i conti tornano. I licenziamenti sono sbloccati per il 30 giugno, con il tragico effetto annunciato di una valanga sociale, dopo che quasi un milione di lavoratori e lavoratrici precari/e sono stati gettati in mezzo a una strada nel corso del 2020, a partire da donne e giovani. In compenso viene prolungata sino a fine anno la moratoria sui debiti aziendali, a garanzia delle banche e delle imprese, che si aggiunge ai 32 miliardi destinati ai padroni a gennaio, e ai nuovi 40 miliardi annunciati per finanziare il decreto sostegni di fine aprile.
Le imprese intascano di tutto: aumento della soglia di accesso da 5 a 10 milioni di fatturato, pagamento dei costi fissi, rafforzamento della patrimonializzazione, allungamento dei tempi di restituzione dei debiti coperto dall'erario pubblico... Il “Sussidistan” non è quello denunciato da Bonomi ma quello che incassa Confindustria, mentre nel solo 2020 la massa salariale cala di 40 miliardi a seguito di cassa integrazione ed espulsione di manodopera.
La classe che calpesta la salute è la stessa che sfrutta il lavoro. Un governo dei lavoratori e delle lavoratrici è l'unica vera soluzione.