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Prodi e Acerbo in singolar tenzone

29 Aprile 2021

Breve storia vera del PRC di governo, contro le storie riscritte a proprio uso e consumo

Un passaggio polemico di questi giorni tra Romano Prodi e Maurizio Acerbo getta un fascio di luce su vicende passate, ma anche sul presente e sul futuro (1).

L'episodio è noto. Romano Prodi ha accusato Salvini di essersi «bertinottizzato», cioè di aver assunto un ruolo di lotta e di governo simile a quello usato dal Partito della Rifondazione Comunista tra il 1996 e il 1998 verso il suo esecutivo. Bertinotti risponde attraverso un'intervista al Fatto Quotidiano dicendo che quella di Prodi è un'ossessione compulsiva nei suoi confronti, e che in ogni caso la vicenda riguarda un'altra era geologica e non è il caso di tornarci. Maurizio Acerbo sente invece il bisogno di intervenire da segretario del PRC in difesa della «storia collettiva di un partito che democraticamente fece una scelta di coerenza andando controcorrente e pagando un prezzo enorme per aver detto la verità forse troppo in anticipo sui tempi». Il riferimento è alla scelta di ritirare il sostegno al governo Prodi nel 1998. Ma verità e coerenza, come vedremo, c'entrano davvero poco con la politica del PRC.

Acerbo (oggi) dichiara: «Se nel 1998 [...] Rifondazione Comunista decise di non continuare a regalare voti a un governo che privatizzava e precarizzava [...] [fu] perché quel governo portava avanti un impianto programmatico che andava contro gli interessi di lavoratrici e lavoratori, di precari e disoccupati, perché si operava una trasformazione liberista del centrosinistra seguendo i dettami dei trattati europei che Rifondazione ha il merito storico di aver criticato in anticipo. E se si vogliono proprio fare paragoni fu il suo governo ad attuare il blocco navale contro i profughi albanesi in maniera altrettanto più cruenta dei porti chiusi del leader leghista. Vogliamo ricordare l'unico caso di affondamento di un barcone di immigrati ad opera della marina militare?».

Nulla da eccepire sugli esempi. Potremmo aggiungerne altri. Ma disgraziatamente compromettono tutta l'impostazione del ragionamento di Acerbo. La prima domanda che essi richiamano non è “perché il PRC ruppe con Prodi?”, ma "perché il PRC sostenne per più di due anni un governo così antioperaio e persino criminale?".

Vediamo allora di ricostruire la vicenda raccontandola tutta e per bene. Anche e soprattutto a chi non l'ha vissuta in prima persona.

Nel 1996 Rifondazione Comunista realizzò un accordo politico di desistenza con il centrosinistra nelle elezioni politiche, con la prospettiva di appoggiare il suo governo. La sinistra rivoluzionaria all'interno del PRC si oppose frontalmente e da subito a questa scelta, denunciandone la natura e prevedendo il suo sbocco. La nostra opposizione a tale prospettiva era semplice. Il centrosinistra a guida Prodi era nato come punto di riferimento della grande borghesia italiana. Il suo programma era il programma del padronato, a partire dalla rivendicazione dei trattati di Maastricht. Un sostegno del PRC all'eventuale governo Prodi avrebbe significato appoggiare il governo del capitale contro le ragioni del lavoro, e ridurre a carta straccia lo stesso programma formale del partito.

Ma la maggioranza del gruppo dirigente tirò dritto. Fausto Bertinotti e Armando Cossutta, con l'attivo sostegno di Paolo Ferrero e Marco Rizzo, entrarono nella maggioranza di governo e ne condivisero le responsabilità per oltre due anni. Due anni pesantissimi. Furono gli anni di massimo scardinamento delle conquiste e diritti del movimento operaio: introduzione del lavoro interinale (pacchetto Treu); record delle privatizzazioni in Europa; drastici tagli alla spesa sociale con finanziarie di lacrime e sangue pagate da sanità, lavoro, istruzione; istituzione dei campi di detenzione dei migranti con la legge Turco-Napolitano; militarizzazione del contrasto all'immigrazione coi barconi affondati dalla marina militare nello stretto di Otranto, come (oggi) lo stesso Acerbo ricorda. Tutto ciò che negli anni e decenni successivi avrebbe dilagato fu introdotto in Italia dal primo governo Prodi tra il 1996 e il 1998, sulla scia dei governi Amato (1992) e Dini (1995).

La domanda cui Acerbo dovrebbe rispondere è semplice: perché il PRC per due anni ha sostenuto la politica dei padroni contro gli operai e le ragioni degli oppressi che (oggi) lo stesso Acerbo denuncia? Perché per due anni la maggioranza dirigente del partito ebbe il coraggio di presentare come “finanziarie di svolta” le politiche di austerità e dei sacrifici che (oggi) lo stesso Acerbo descrive?

Il segretario di Rifondazione non solo ignora questi interrogativi elementari, ma complica ulteriormente la sua situazione con gli argomenti successivi: «Per due anni [Rifondazione Comunista] diede appoggio esterno con fin troppa generosità unitaria votando persino provvedimenti come il pacchetto Treu che andavano contro i suoi principi. Prodi pretendeva che Rifondazione supinamente accettasse un programma che non era il proprio...».

Ma Rifondazione aveva accettato e votato per due anni un programma che era l'opposto del proprio, cioè il programma del capitalismo italiano. L'aveva difeso pubblicamente coprendo la burocrazia sindacale e la concertazione. L'aveva difeso all'interno del partito attaccando frontalmente l'opposizione interna, colpevole di non valorizzare successi e risultati del PRC.
Persino il pacchetto Treu che (oggi) Acerbo scopre come contrario ai principi del PRC fu presentato allora nella Direzione Nazionale del partito come successo del gruppo dirigente a difesa dei lavoratori. Furono solo sette i voti contrari in Direzione, in uno scontro durissimo in cui la maggioranza dirigente di Bertinotti, Cossutta, Ferrero e Rizzo richiamò il dovere della disciplina.

Ciò che Romano Prodi «pretendeva» era semplicemente che il PRC proseguisse il cammino compiuto in due anni. Invece Bertinotti decise la rottura. Ruppe forse per ragioni di principio, dopo averle calpestate per due anni? No. La finanziaria del 1998 su cui si realizzò la rottura era oltretutto acqua e sapone rispetto a quella di lacrime e sangue che l'aveva preceduta, e che il PRC aveva elogiato.
Perché allora la rottura? Perché Bertinotti si era convinto che l'appoggio a Prodi era ormai logorato e che la maggioranza di governo richiedeva un ricambio. Fu l'operazione “Dalemone”, come allora la stampa borghese la chiamò. Era l'illusione che, caduto Prodi, il PRC avrebbe potuto negoziare un accordo più avanzato con un governo D'Alema, e presentare anzi come un proprio successo la nascita di un governo guidato da un ex dirigente del PCI. Ciò che Bertinotti non aveva calcolato era la scissione interna da destra di Cossutta, Diliberto e Rizzo, che privò il PRC della maggioranza del suo gruppo parlamentare, fondò il Partito dei Comunisti Italiani e gestì in proprio l'appoggio a D'Alema (bombardamenti su Belgrado inclusi), rendendo irrilevanti i numeri parlamentari ormai residuali del PRC, costretto per questa via all'opposizione.

Perché allora scaricare su Prodi la responsabilità della rottura del 1998? Prodi faceva il suo mestiere di uomo del padronato, quale era sempre stato, e sarà in seguito. Di certo altri non avevano fatto per oltre due anni i difensori dei lavoratori, figuriamoci quello di comunisti.

Peraltro il passaggio all'opposizione del PRC, obbligato dal fallimento dell'operazione Dalemone, non significò in alcun modo un cambiamento di rotta strategica del partito, come pensavano Maitan e Turigliatto (che giunse a parlare addirittura di una svolta rivoluzionaria del PRC). Tanto è vero che il PRC tornò al governo pochi anni dopo con un ministro (Ferrero), diversi sottosegretari, e un Presidente della Camera (Bertinotti). E tanto è vero che per altri due anni riprese la politica di lacrime e sangue del capitale, inclusa la famigerata riduzione delle tasse sui profitti (IRES) passata in un solo anno dal 34% al 27% con la finanziaria del 2007. Chi era il Presidente del Consiglio? Romano Prodi, naturalmente. La sola differenza col primo governo Prodi fu che il PRC era ancor più coinvolto, ancor più remissivo verso il centrosinistra di dieci anni prima. Anche perché doveva farsi perdonare da Prodi la rottura del 1998.

Qualche compagno del PRC obietterà: "d'accordo, avrete pure ragione, ma il partito ha fatto autocritica, basta rinfacciarci vecchi errori”.
Ma l'obiezione non coglie il punto. In primo luogo non si tratta di errori, ma del sostegno a governi padronali e alle loro politiche. O qualcuno può pensare che il voto a favore del lavoro interinale o delle missioni militari sia un errore sulla via del socialismo?
In secondo luogo, non c'è alcuna autocritica nelle parole di Acerbo. Al contrario. Attribuire a Prodi la responsabilità della rottura è non solo rimuovere il bilancio politico di una propria scelta (peraltro ripetuta), ma confermare indirettamente il canovaccio strategico di prospettiva che la ispirò.

Lo prova in modo incontestabile la parte conclusiva del testo di Acerbo: «[Prodi] rifiutò di accettare proposte come la riduzione d'orario di lavoro a parità di salario che in altri paesi come la Francia governi progressisti stavano approvando. [...] Biden per avere il sostegno di Sanders e Cortez ha dovuto far proprie una parte delle loro proposte e [...] il Portogallo, primo paese europeo a presentare il proprio Recovery Plan in Europa, è governato da un centrosinistra con appoggio esterno dei nostri compagni del PCP e del Bloco de Esquerda. Il centrosinistra italiano ha teso col maggioritario invece a radere al suolo la sinistra radicale negandone persino la legittimità delle ragioni».

Qui davvero il cerchio si chiude. L'esempio evocato da Acerbo dimostra infatti qual è la prospettiva strategica vera del gruppo dirigente del PRC: un governo borghese di centrosinistra che negozi con la sinistra cosiddetta radicale, e che quest'ultima possa appoggiare. Può essere un governo Jospin, che bombardò la Serbia col sostegno dei ministri del Partito Comunista Francese. Può essere l'amministrazione Biden, che gestisce con politiche keynesiane il più grande imperialismo del pianeta, col consenso attivo di Wall Street e (purtroppo) di Sanders. Può essere il governo Costa, che in Portogallo ha tagliato drasticamente gli investimenti pubblici col sostegno del Partito Comunista Portoghese e del Bloco de Esquerda. Non vengono citati il governo Tsipras, che ha gestito le politiche della Troika, o l'attuale governo Sanchez di Spagna, che sta negoziando con Podemos l'aumento dell'età pensionabile, ma sarà sicuramente una dimenticanza.

La verità è che chi non fa il bilancio del passato è destinato a ripeterlo. È sempre accaduto in tutta la storia del movimento operaio. Se l'orizzonte strategico del PRC, nonostante e contro l'esperienza di più di vent'anni, resta quello di un governo borghese progressista in cui compromettersi, un interrogativo di fondo dovrà pur porsi circa la riformabilità di quel partito.




(1) Rifondazione: Gravi dichiarazioni di Prodi, incapace di riflettere sui danni che ha fatto al paese, http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=46646

Partito Comunista dei Lavoratori