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La lingua batte dove il dente duole

 


Prodi e Acerbo in singolar tenzone

29 Aprile 2021

Breve storia vera del PRC di governo, contro le storie riscritte a proprio uso e consumo

Un passaggio polemico di questi giorni tra Romano Prodi e Maurizio Acerbo getta un fascio di luce su vicende passate, ma anche sul presente e sul futuro (1).

L'episodio è noto. Romano Prodi ha accusato Salvini di essersi «bertinottizzato», cioè di aver assunto un ruolo di lotta e di governo simile a quello usato dal Partito della Rifondazione Comunista tra il 1996 e il 1998 verso il suo esecutivo. Bertinotti risponde attraverso un'intervista al Fatto Quotidiano dicendo che quella di Prodi è un'ossessione compulsiva nei suoi confronti, e che in ogni caso la vicenda riguarda un'altra era geologica e non è il caso di tornarci. Maurizio Acerbo sente invece il bisogno di intervenire da segretario del PRC in difesa della «storia collettiva di un partito che democraticamente fece una scelta di coerenza andando controcorrente e pagando un prezzo enorme per aver detto la verità forse troppo in anticipo sui tempi». Il riferimento è alla scelta di ritirare il sostegno al governo Prodi nel 1998. Ma verità e coerenza, come vedremo, c'entrano davvero poco con la politica del PRC.

Acerbo (oggi) dichiara: «Se nel 1998 [...] Rifondazione Comunista decise di non continuare a regalare voti a un governo che privatizzava e precarizzava [...] [fu] perché quel governo portava avanti un impianto programmatico che andava contro gli interessi di lavoratrici e lavoratori, di precari e disoccupati, perché si operava una trasformazione liberista del centrosinistra seguendo i dettami dei trattati europei che Rifondazione ha il merito storico di aver criticato in anticipo. E se si vogliono proprio fare paragoni fu il suo governo ad attuare il blocco navale contro i profughi albanesi in maniera altrettanto più cruenta dei porti chiusi del leader leghista. Vogliamo ricordare l'unico caso di affondamento di un barcone di immigrati ad opera della marina militare?».

Nulla da eccepire sugli esempi. Potremmo aggiungerne altri. Ma disgraziatamente compromettono tutta l'impostazione del ragionamento di Acerbo. La prima domanda che essi richiamano non è “perché il PRC ruppe con Prodi?”, ma "perché il PRC sostenne per più di due anni un governo così antioperaio e persino criminale?".

Vediamo allora di ricostruire la vicenda raccontandola tutta e per bene. Anche e soprattutto a chi non l'ha vissuta in prima persona.

Nel 1996 Rifondazione Comunista realizzò un accordo politico di desistenza con il centrosinistra nelle elezioni politiche, con la prospettiva di appoggiare il suo governo. La sinistra rivoluzionaria all'interno del PRC si oppose frontalmente e da subito a questa scelta, denunciandone la natura e prevedendo il suo sbocco. La nostra opposizione a tale prospettiva era semplice. Il centrosinistra a guida Prodi era nato come punto di riferimento della grande borghesia italiana. Il suo programma era il programma del padronato, a partire dalla rivendicazione dei trattati di Maastricht. Un sostegno del PRC all'eventuale governo Prodi avrebbe significato appoggiare il governo del capitale contro le ragioni del lavoro, e ridurre a carta straccia lo stesso programma formale del partito.

Ma la maggioranza del gruppo dirigente tirò dritto. Fausto Bertinotti e Armando Cossutta, con l'attivo sostegno di Paolo Ferrero e Marco Rizzo, entrarono nella maggioranza di governo e ne condivisero le responsabilità per oltre due anni. Due anni pesantissimi. Furono gli anni di massimo scardinamento delle conquiste e diritti del movimento operaio: introduzione del lavoro interinale (pacchetto Treu); record delle privatizzazioni in Europa; drastici tagli alla spesa sociale con finanziarie di lacrime e sangue pagate da sanità, lavoro, istruzione; istituzione dei campi di detenzione dei migranti con la legge Turco-Napolitano; militarizzazione del contrasto all'immigrazione coi barconi affondati dalla marina militare nello stretto di Otranto, come (oggi) lo stesso Acerbo ricorda. Tutto ciò che negli anni e decenni successivi avrebbe dilagato fu introdotto in Italia dal primo governo Prodi tra il 1996 e il 1998, sulla scia dei governi Amato (1992) e Dini (1995).

La domanda cui Acerbo dovrebbe rispondere è semplice: perché il PRC per due anni ha sostenuto la politica dei padroni contro gli operai e le ragioni degli oppressi che (oggi) lo stesso Acerbo denuncia? Perché per due anni la maggioranza dirigente del partito ebbe il coraggio di presentare come “finanziarie di svolta” le politiche di austerità e dei sacrifici che (oggi) lo stesso Acerbo descrive?

Il segretario di Rifondazione non solo ignora questi interrogativi elementari, ma complica ulteriormente la sua situazione con gli argomenti successivi: «Per due anni [Rifondazione Comunista] diede appoggio esterno con fin troppa generosità unitaria votando persino provvedimenti come il pacchetto Treu che andavano contro i suoi principi. Prodi pretendeva che Rifondazione supinamente accettasse un programma che non era il proprio...».

Ma Rifondazione aveva accettato e votato per due anni un programma che era l'opposto del proprio, cioè il programma del capitalismo italiano. L'aveva difeso pubblicamente coprendo la burocrazia sindacale e la concertazione. L'aveva difeso all'interno del partito attaccando frontalmente l'opposizione interna, colpevole di non valorizzare successi e risultati del PRC.
Persino il pacchetto Treu che (oggi) Acerbo scopre come contrario ai principi del PRC fu presentato allora nella Direzione Nazionale del partito come successo del gruppo dirigente a difesa dei lavoratori. Furono solo sette i voti contrari in Direzione, in uno scontro durissimo in cui la maggioranza dirigente di Bertinotti, Cossutta, Ferrero e Rizzo richiamò il dovere della disciplina.

Ciò che Romano Prodi «pretendeva» era semplicemente che il PRC proseguisse il cammino compiuto in due anni. Invece Bertinotti decise la rottura. Ruppe forse per ragioni di principio, dopo averle calpestate per due anni? No. La finanziaria del 1998 su cui si realizzò la rottura era oltretutto acqua e sapone rispetto a quella di lacrime e sangue che l'aveva preceduta, e che il PRC aveva elogiato.
Perché allora la rottura? Perché Bertinotti si era convinto che l'appoggio a Prodi era ormai logorato e che la maggioranza di governo richiedeva un ricambio. Fu l'operazione “Dalemone”, come allora la stampa borghese la chiamò. Era l'illusione che, caduto Prodi, il PRC avrebbe potuto negoziare un accordo più avanzato con un governo D'Alema, e presentare anzi come un proprio successo la nascita di un governo guidato da un ex dirigente del PCI. Ciò che Bertinotti non aveva calcolato era la scissione interna da destra di Cossutta, Diliberto e Rizzo, che privò il PRC della maggioranza del suo gruppo parlamentare, fondò il Partito dei Comunisti Italiani e gestì in proprio l'appoggio a D'Alema (bombardamenti su Belgrado inclusi), rendendo irrilevanti i numeri parlamentari ormai residuali del PRC, costretto per questa via all'opposizione.

Perché allora scaricare su Prodi la responsabilità della rottura del 1998? Prodi faceva il suo mestiere di uomo del padronato, quale era sempre stato, e sarà in seguito. Di certo altri non avevano fatto per oltre due anni i difensori dei lavoratori, figuriamoci quello di comunisti.

Peraltro il passaggio all'opposizione del PRC, obbligato dal fallimento dell'operazione Dalemone, non significò in alcun modo un cambiamento di rotta strategica del partito, come pensavano Maitan e Turigliatto (che giunse a parlare addirittura di una svolta rivoluzionaria del PRC). Tanto è vero che il PRC tornò al governo pochi anni dopo con un ministro (Ferrero), diversi sottosegretari, e un Presidente della Camera (Bertinotti). E tanto è vero che per altri due anni riprese la politica di lacrime e sangue del capitale, inclusa la famigerata riduzione delle tasse sui profitti (IRES) passata in un solo anno dal 34% al 27% con la finanziaria del 2007. Chi era il Presidente del Consiglio? Romano Prodi, naturalmente. La sola differenza col primo governo Prodi fu che il PRC era ancor più coinvolto, ancor più remissivo verso il centrosinistra di dieci anni prima. Anche perché doveva farsi perdonare da Prodi la rottura del 1998.

Qualche compagno del PRC obietterà: "d'accordo, avrete pure ragione, ma il partito ha fatto autocritica, basta rinfacciarci vecchi errori”.
Ma l'obiezione non coglie il punto. In primo luogo non si tratta di errori, ma del sostegno a governi padronali e alle loro politiche. O qualcuno può pensare che il voto a favore del lavoro interinale o delle missioni militari sia un errore sulla via del socialismo?
In secondo luogo, non c'è alcuna autocritica nelle parole di Acerbo. Al contrario. Attribuire a Prodi la responsabilità della rottura è non solo rimuovere il bilancio politico di una propria scelta (peraltro ripetuta), ma confermare indirettamente il canovaccio strategico di prospettiva che la ispirò.

Lo prova in modo incontestabile la parte conclusiva del testo di Acerbo: «[Prodi] rifiutò di accettare proposte come la riduzione d'orario di lavoro a parità di salario che in altri paesi come la Francia governi progressisti stavano approvando. [...] Biden per avere il sostegno di Sanders e Cortez ha dovuto far proprie una parte delle loro proposte e [...] il Portogallo, primo paese europeo a presentare il proprio Recovery Plan in Europa, è governato da un centrosinistra con appoggio esterno dei nostri compagni del PCP e del Bloco de Esquerda. Il centrosinistra italiano ha teso col maggioritario invece a radere al suolo la sinistra radicale negandone persino la legittimità delle ragioni».

Qui davvero il cerchio si chiude. L'esempio evocato da Acerbo dimostra infatti qual è la prospettiva strategica vera del gruppo dirigente del PRC: un governo borghese di centrosinistra che negozi con la sinistra cosiddetta radicale, e che quest'ultima possa appoggiare. Può essere un governo Jospin, che bombardò la Serbia col sostegno dei ministri del Partito Comunista Francese. Può essere l'amministrazione Biden, che gestisce con politiche keynesiane il più grande imperialismo del pianeta, col consenso attivo di Wall Street e (purtroppo) di Sanders. Può essere il governo Costa, che in Portogallo ha tagliato drasticamente gli investimenti pubblici col sostegno del Partito Comunista Portoghese e del Bloco de Esquerda. Non vengono citati il governo Tsipras, che ha gestito le politiche della Troika, o l'attuale governo Sanchez di Spagna, che sta negoziando con Podemos l'aumento dell'età pensionabile, ma sarà sicuramente una dimenticanza.

La verità è che chi non fa il bilancio del passato è destinato a ripeterlo. È sempre accaduto in tutta la storia del movimento operaio. Se l'orizzonte strategico del PRC, nonostante e contro l'esperienza di più di vent'anni, resta quello di un governo borghese progressista in cui compromettersi, un interrogativo di fondo dovrà pur porsi circa la riformabilità di quel partito.




(1) Rifondazione: Gravi dichiarazioni di Prodi, incapace di riflettere sui danni che ha fatto al paese, http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=46646

Partito Comunista dei Lavoratori

Coraggiosa?

Dopo la vittoria di Bonaccini in Emilia, sorge una nuova stella a sinistra del PD.
Il risultato riportato dalla lista "Emilia-Romagna Coraggiosa Ecologista Progressista” all'interno della coalizione di centrosinistra è diventato il nuovo irresistibile magnete. Norma Rangeri per Il Manifesto non ha perso tempo per rivendicare in tutta Italia la replica di "Coraggiosa": «Tra le nostre speranze c'è anche quella che altri, a sinistra, prendano esempio dalla lista Coraggiosa» (martedì 28 gennaio). Nicola Fratoianni per Sinistra Italiana si è prontamente accodato il giorno dopo in una lunga intervista sullo stesso giornale dal titolo “Ora una Coraggiosa nazionale, alleata con il centrosinistra”.
Inutile dire che i risultati elettorali riportati dalle tre liste indipendenti a sinistra del PD (1% sommate) sono stati esibiti a riprova dell'operazione, nel nome del realismo, dell'”empatia col popolo della sinistra” e di tutto il tradizionale vocabolario frontista.

Ora, noi abbiamo detto e scritto sui magrissimi risultati delle sinistre indipendenti in Emilia. Vittima, secondo ogni evidenza, della polarizzazione dello scontro con Salvini e del richiamo del voto utile. E non vogliamo soffermarci qui sulle ragioni della nostra critica alla politica di queste formazioni, che va ben al di là dei fatti contingenti e dell'ambito elettorale. Il punto ora è un altro. Fratoianni ripropone a sinistra, come se nulla fosse avvenuto, l'eterna soluzione dell'accordo di governo col PD, la stessa prospettiva che aveva solennemente escluso appena otto mesi fa nella campagna elettorale delle europee. E lo fa col candore di chi rimuove la memoria.

Non è bastato il primo governo Prodi, che col sostegno di Bertinotti, Ferrero e Rizzo, votò l'introduzione del lavoro interninale.
Non è bastato il governo D'Alema, che col sostegno di Cossutta, Diliberto, Rizzo, votò la parificazione tra scuola pubblica e scuola privata tra un bombardamento umanitario e un altro.
Non è bastato il secondo governo Prodi, che col sostegno di Ferrero e Diliberto, votò la più grande detassazione dei profitti del dopoguerra (Ires dal 34% al 27,5%).
Non è bastata, insomma, la distruzione del patrimonio di Rifondazione Comunista, che ha concimato il campo dell'ascesa populista, prima di Grillo e poi di Salvini.

No, ora si vuole replicare la stessa operazione, con forze infinitamente più esigue e in un contesto infinitamente peggiore... E a volerla replicare è quello stesso Nicola Fratoianni che in sodalizio con Gennaro Migliore sostenne in Rifondazione tutte le scelte governiste dei suoi segretari. Ogni volta nel nome del “realismo”, ogni volta per ripudio dell'”estremismo”.

Già, ma perché meravigliarsi? Sinistra Italiana al governo col PD c'è già, con lo strapuntino di un sottosegretario all'Istruzione, nello stesso ministero che non trova un euro per la scuola pubblica e per l'università. Forse spera che la prossima volta, con maggior peso negoziale, possa ottenere dal PD almeno un ministero. È una speranza fondata. Sempre che l'attuale governo non spiani la strada alla destra di Salvini e Meloni, un po' frettolosamente sepolti in Emilia. Come i governi di centrosinistra hanno fatto regolarmente in passato.

E tuttavia la tragica ironia della sorte vuole che nello stesso giorno – 29 gennaio – in cui si rilancia per il futuro semplicemente la continuità del presente, i fatti si incarichino di presentare la realtà. È ufficiale: la ministra degli interni comunica che restano in piedi gli accordi con la Libia presi da Salvini e da Minniti, col loro carico di orrori, torture e stupri; col governo PD-M5S-LeU-Renzi che continua a finanziare una guardia costiera di trafficanti corrotti per riportare nei lager chi cerca la fuga nel mare. Inoltre, nello stesso maledettissimo giorno, il ministero del tesoro annulla “obblighi e sanzioni” per le aziende che delocalizzano (Il Sole 24 Ore, 30/1), mentre gli operai Whirlpool sono gettati su una strada da una proprietà protetta dal governo.
Ora, vedete, governare col PD è legittimo. Ed è legittimo sperare di continuare a farlo negli anni. Ma definirla una scelta “coraggiosa” forse è un tantino azzardato. A meno che per coraggio si intenda la faccia di bronzo. In questo caso indubbiamente abbonda.
Partito Comunista dei Lavoratori

Comunisti e guerra in Kosovo. I crimini non vanno taciuti

20 anni fa la NATO aggrediva la Jugoslavia bombardando Belgrado, con la complicità dell’Italia e del Governo D’Alema. La maschera di una alleanza “difensiva” cadeva definitivamente, dinanzi all'evidenza di una aggressione criminale voluta dai grandi monopoli ma giustificata con il pretesto dei “diritti umani”, come poi sarebbe avvenuto in Iraq, Afghanistan, Libia, ecc. L’Italia non sia mai più complice di una guerra imperialista. Fuori l’Italia dalla NATO, fuori la NATO dall'Italia.” 

Il Fronte della Gioventù Comunista (FGC), organizzazione giovanile del Partito Comunista di Marco Rizzo, con queste parole il 24 marzo ha ricordato l’inizio dei bombardamenti contro la Jugoslavia ad opera della NATO. Vent'anni fa Belgrado veniva bombardata, con aerei italiani che partivano dalla base italiana di Aviano. Un crimine imperialista che i rivoluzionari denunciarono allora e denunciano oggi. 

L’opposizione dei comunisti agli interventi dell’imperialismo è una questione di principio, e non è nostro interesse quindi polemizzare con questa giusta presa di posizione del FGC in merito a quei drammatici eventi. Anzi, siamo perfettamente d’accordo con la dichiarazione delle compagne e dei compagni. 

Tuttavia, ci pare necessario ricordare quale è stata la natura del governo D’Alema: un governo di cui faceva parte, con tanto di ministri, il Partito dei Comunisti Italiani, nato nel 1998 come scissione (di destra!) dal Partito della Rifondazione Comunista, con l’esplicita volontà di continuare a sostenere il primo governo Prodi, al quale Bertinotti era stato costretto a togliere la fiducia. 

Ebbene Marco Rizzo, oggi segretario del Partito Comunista, fu tra i principali organizzatori della scissione del Partito dei Comunisti Italiani, e all'epoca era deputato e coordinatore della segreteria nazionale del PdCI. 

A nulla possono valere i tentativi di giustificazione o rimbalzo di responsabilità riguardo ai fatti di vent'anni fa. La storia parla chiaro. Cossutta, Diliberto, Rizzo hanno rappresentato in Italia la peggiore deriva governista di uno stalinismo italiano che, nell'ottica delle “alleanze contro la destra” e dell’unità con il centrosinistra, è passato dai compromessi storici alla partecipazione criminale ai governi della guerra. 

C’è chi, come Marco Rizzo vent’anni fa, ha rotto con il PRC per appoggiare un governo di centrosinistra che ha bombardato Belgrado, e chi invece, come il Partito Comunista dei Lavoratori, è nato contro i governi di centrosinistra, contro i governi di guerra, per l’opposizione a tutti i governi borghesi. 

Si obietterà: “oggi Rizzo è cambiato, ha ammesso i suoi errori, il PC è alleato del grande KKE greco”. Tralasciando per un istante quali furono i veri motivi della “svolta a sinistra” che Marco Rizzo fece nel 2009, il punto è un altro: non è cambiato il bilancio che è necessario fare riguardo a tutta la storia dello stalinismo internazionale, perché è in questo che risiede l’origine degli errori. Non è forse vero che il KKE greco, oggi partito fratello del PC di Marco Rizzo, dall’alto della fraseologia pseudorivoluzionaria, ben dieci anni prima di Rizzo partecipò al governo di unità nazionale del 1989, a braccetto della socialdemocrazia e della destra postfascista? Può essere, questo, semplicemente un errore di percorso? 

Perché allora il FGC tace sulle responsabilità del segretario del Partito Comunista? Se sostenere un governo borghese è di per sé imperdonabile per i comunisti, sostenere e partecipare ad un governo di guerra non è un semplice errore o una svista, ma un crimine. 

Chiamare i propri dirigenti alle loro responsabilità, riscoprire il marxismo rivoluzionario e studiare con spirito libero la storia del movimento operaio e comunista: è questo l’invito e l’augurio che facciamo alle giovani compagne e compagni del FGC.
Partito Comunista dei Lavoratori

Lo strano "comunista" Marco Rizzo


Dalla NATO a Kim Jong-un

Il dottor Stranamore, ovvero: come ho imparato ad amare la bomba e a non averne paura

“Rizzo pelato, servo della NATO”. Questo lo slogan apparso sui muri di Torino nel lontano 1999. Il motivo era allora chiaro. Marco Rizzo era uno dei principali dirigenti (coordinatore della segreteria nazionale) del cosiddetto Partito dei Comunisti Italiani, diciamo il numero tre, dopo Cossutta e Diliberto. Come tale era stato, nel 1998, uno dei principali organizzatori della scissione del Partito della Rifondazione Comunista. Scissione di destra.
Quando Bertinotti era stato costretto, a malincuore, a rompere col centrosinistra sfiduciando Prodi, i cossuttiani avevano rotto con lui per continuare a sostenere il governo; che in realtà era stato sostituito da quello di D’Alema, in cui i cossuttiani erano entrati a pieno titolo, ottenendo il ministero della Giustizia, affidato a Diliberto, e quello degli affari regionali, a Katia Belillo.
Fu questo il governo che nel 1999 partecipò alla guerra della NATO contro la Jugoslavia, bombardando Belgrado con arei italiani, mentre tutti gli arei NATO partivano dalla base italiana di Aviano. Il buon Rizzo non mosse un dito contro l’appoggio del suo partito al governo di guerra, anche se una minoranza dei delegati del PdCI ad un congresso del partito sollevò obiezioni (salvo poi capitolare con il profondo argomento che tanto la guerra... stava per finire con la vittoria della NATO).

Nella storia del Partito Comunista - che è poi in realtà sostanzialmente la storia del grande capo Rizzo - pubblicata sul sito del partito rizziano si afferma che il rapporto tra lui e gli altri dirigenti del PdCI cominciò ad incrinarsi all’epoca della guerra del Kosovo cui egli «cercò inutilmente di opporsi» (sic!). Nemmeno Sherlock Holmes riuscirebbe a trovare il minimo indizio di tale opposizione, e la sua conclusione rivolta al suo fido assistente non potrebbe essere che una: “Elementare Watson: Rizzo mente”.
Dopo la fine di questa guerra e, successivamente, del governo D’Alema, Rizzo cercò di accreditarsi come il capo della “destra” del PdCI. Nel 2001 si pronunciò contro la partecipazione del PdCI alle manifestazioni contro il G8 a Genova sulla base del motivo per cui non erano presenti i lavoratori (ovviamente la FIOM e il sindacalismo di base non contavano niente).
Nel 2003, mentre si stava discutendo dell’ipotesi della costituzione di un "Partito del Lavoro”, in pieno Comitato Centrale del PdCI Rizzo affermò testualmente: «il Partito del lavoro c’è già, e Cofferati è il suo capo». Questo mentre Cofferati si pronunciava, insieme a governo e Confindustria, per il boicottaggio del referendum per l’estensione dell’art 18.
Nel 2005, al Parlamento europeo, insieme all’astronauta Guidoni si distinse dal resto del gruppo della Sinistra Europea (GUE). Il futuro sovranista, infatti, feroce nemico della UE e dell’euro, votò a favore dei trattati europei, mentre tutto il GUE, con un minimo di dignità, votava contro.

Come mai questo riformista di destra si tramutò pochi anni dopo nel leader di una rottura di sinistra (per quanto sempre nell’ambito di opzioni riformiste quali quelle proprie dello stalinismo)?
La realtà è molto semplice: bagarre tra burocrati ambiziosi. Esautorato progressivamente Cossutta, i dioscuri del PdCI divennero Diliberto e Rizzo. Ma il segretario e il numero uno era Diliberto. Come si dice popolarmente, non possono esistere due galli nello stesso pollaio (riformista). Rizzo diede un'intervista ad un giornale in cui affermava che lui poteva contentarsi di essere un “numero due” (testuale), ma a condizione di essere il “vero numero due”. Sottotraccia era palese che il nostro era adepto della filosofia di Giulio Cesare secondo cui “è meglio essere il primo nel proprio villaggio, che il secondo in Roma”. Ma scalzare Diliberto si rivelò troppo difficile per il pur intelligente, abile e manovriero Rizzo. Di fronte a ciò egli aveva due possibilità: o approfondire le posizioni di destra e rischiare di fare la fine del vecchio Cossutta, del tutto emarginato e poi fuori dal partito e ai margini del PD; oppure seguire la “linea Totò (Antonio De Curtis principe di Bisanzio)”, e quindi buttarsi a sinistra.
E questo è quello che Rizzo fece, cominciando col criticare la coalizione dell’Arcobaleno, proseguendo con uno scontro frontale con il gruppo dirigente del PdCI, e in primo luogo con Diliberto, fino ad arrivare ad accusarlo di essere un massone, e a candidare un suo adepto neofita come il filosofo Gianni Vattimo nelle liste concorrenti di Italia dei Valori. Da ciò la rottura con il PdCI, e la costituzione con gli elementi più critici della linea opportunista del partito - ma anche più stalinisti - di Comunisti-Sinistra Popolare (oggi semplicemente Partito Comunista).

Ma l’isolamento internazionale della esperienza rizziana, lungi dal sottolineare il ruolo del “capo”, lo sminuiva. Per questo il nostro cominciò a guardarsi intorno per trovare la giusta casa. E incontrò così il Partito Comunista Greco (KKE). Questo partito stalinista combina da tempo un sostanziale riformismo, sia pure di sinistra, con una fraseologia rivoluzionaria, ma anche con un assurdo settarismo, in particolare nei confronti delle altre organizzazioni della sinistra (negli anni ’90, pur di combattere il PASOK socialdemocratico, giunse a costituire un governo con la destra).
Da alcuni anni il KKE ha organizzato una lassa unione di partiti stalinisti di sinistra, che ha assunto il nome di Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa. Sufficientemente lassa per non costituire un pericolo per la leadership di Rizzo e, grazie al ruolo del KKE (gli altri partiti sono tutti molto piccoli), sufficientemente prestigiosa per dare una verniciatura internazionalista al suo partito.
Certo, c’erano alcuni problemi di tipo teorico-politico per realizzare l’accordo col KKE. Ma i problemi teorici non sono evidentemente problemi per Rizzo, e del resto, Atene val bene una messa.
Al momento della sua costituzione, il partito rizziano, conformemente alla tradizione stalinista italiana, si era richiamato a Togliatti (correttamente, dal suo punto di vista) e a Gramsci (abusivamente). Ma per il KKE il primo era un revisionista, che aveva anticipato quella tale partito che considera la svolta storica kruscioviana; il secondo un semitrotskista (tesi abbastanza corretta). In obbedienza al nuovo credo, Rizzo non ha esitato un secondo a sbarazzarsi del riferimento ai due.
In particolare, Gramsci era indicato come riferimento nello statuto stesso di Comunisti-Sinistra Popolare. Nondimeno Rizzo, senza aspettare un congresso né convocare almeno un comitato centrale, espulse Gramsci dallo statuto. Un gruppo di militanti di Roma protestò per questa scelta nel merito e nel metodo, e si ritrovò rapidamente fuori del partito, ciò che sottolinea la grande democrazia del partito rizziano.
Allo stesso modo Rizzo, silenziosamente, rinunciò al precedente filoputinismo, visto che il KKE considera (giustamente) la Russia un paese capitalistico in sviluppo e (altrettanto giustamente) la Cina un paese imperialista.
Questo portò Rizzo e il suo partito a considerare ormai come faro del socialismo (oltre Cuba) la Corea del Nord, dinastia ereditaria “rossa” dei Kim, oggi di Kim Jon-Un.

Recentemente il nostro ha parlato di questo e altro alla conferenza stampa elettorale di Rai2, prevista obbligatoriamente per tutte le liste presenti alle elezioni. In questa occasione ha confermato in primo luogo la sua natura di gran contaballe affermando con la più grande faccia tosta che la presentazione per la prima volta alle elezioni politiche del suo partito rappresentava la prima presenza della falce e martello sulle schede elettorali dopo dodici anni, dimenticando pour cause la costante presentazione in questi anni, nella totalità o nella maggioranza del paese, delle liste falcemartellate (accompagnate dal mondo dell’internazionalismo) del nostro PCL.
Nel corso della stessa conferenza stampa si è poi potuto assistere a tutte le ambiguità (e anche peggio) nazionalstaliniste su migranti, lotta ai fascisti, diritti civili, con Rizzo che addirittura si rifiutava di dire cosa avrebbe votato in merito alle unioni civili per gli omosessuali e allo Ius soli. Questioni ovviamente complicate, mica semplici come appoggiare i bombardamenti su Belgrado.
Ma sulla questione della Corea del Nord e del suo regime la faccia tosta ha ripreso il sopravvento. Forse temendo di passare alla cronaca (e alla satira stile Crozza) come il suo quasi omonimo Razzi, Rizzo ha cercato di presentare la sua posizione come una pura - e in questo caso legittima - difesa della nazione nord-coreana dall’imperialismo USA, senza identificazione o sostegno politico al sistema. Peccato che queste non fossero le posizioni espresse al momento della sua visita circa due anni fa in Corea, e soprattutto al momento dell’arresto e messa a morte (con o senza sbranamento dei cani) dello zio di Kim Jong-un che, con l’appoggio dei cinesi, aveva cercato di rovesciare il satrapo di Pyongyang per sostituirlo con uno stalinismo un po’ meno bizzarro. In questa ultima occasione, come avemmo occasione di commentare sul nostro sito all’epoca, egli affermò testualmente ad un giornale che lo intervistava: «Io sono contro la pena di morte, ma bisogna riconoscere che quest’uomo [lo zio, ndr] ha tentato un colpo di stato contro un governo democraticamente eletto» (sic!). Per dirla con Peppino: “e ho detto tutto”. E in questo caso è proprio vero.

Ma noi, che siamo buoni, vogliamo concludere questo testo con un sincero ed accorato appello al voto per le liste del Partito Comunista di Marco Rizzo.
Se pensate, a cento anni dalla rivoluzione russa (“inizio della rivoluzione mondiale” - Lenin), che la soluzione socialista si realizzi sul piano del sovranismo nazionale; che Stalin sia stato un grande dirigente rivoluzionario internazionalista; che il novanta per cento dei dirigenti a tutti i livelli della rivoluzione d’ottobre (che Stalin ha fatto uccidere) fossero solo dei traditori, assassini, terroristi e agenti (da molti anni) delle varie potenze imperialiste e in particolare di Hitler e del Mikado; che il socialismo del futuro debba somigliare, grossomodo, al regime della Corea del Nord, magari con il grande leader dotato di pelata, invece del taglio di capelli di Kim Jong-un; se pensate questo, votate Marco Rizzo e il suo partito.
Ma se invece non condividete quelle affermazioni, e vi considerate comunisti e comuniste, allora l’unica scelta possibile per voi è votare le liste di “Per una sinistra rivoluzionaria".
FG