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Ucrainofobia. Distorsioni ottiche a sinistra

 


I paradossi di un singolare strabismo

Russofobia e ucrainofobia si scontrano all'arma bianca dentro la guerra di propaganda. Purtroppo a volte anche all'interno della sinistra.

La russofobia è sotto gli occhi di tutti. Le odiose misure di ritorsione dei governi occidentali contro sportivi, artisti, uomini di cultura responsabili solo di essere russi è di una tale volgarità ripugnante che non merita commenti. C'è solo da osservare che lo sciovinismo nazionale grande-russo ha tutto da guadagnare da questa forma di isteria xenofoba. Come, del resto, dalla campagna di sanzioni contro la Russia varate dagli imperialismi occidentali. Cioè dall'imperialismo di casa nostra, che è sempre il nemico principale.

L'ucrainofobia invece è molto meno appariscente, ma assai più diffusa. Anche e soprattutto in settori di estrema sinistra. L'accostamento di Zelensky al nazismo, e per questa via l'accostamento del nazismo agli ucraini, segna il senso comune, le semplificazioni del linguaggio, le invettive da social. È un accostamento tanto falso quanto significativo. È falso innanzitutto sul piano dell'analisi più elementare. Un governo borghese, nazionalista e liberista, assume e può assumere misure antioperaie e reazionarie. Ma distinguere un governo borghese nazionalista da un governo fascista dovrebbe essere l'abc per i comunisti. Zelensky e il suo partito dei cosiddetti “servitori del popolo” sono espressione di un populismo borghese di centro, non dissimile per alcuni aspetti dal grillismo della sua prima stagione. Non è un caso che il populismo ucraino di destra (Poroshenko) si sia presentato alle elezioni in contrapposizione a Zelensky, né è un caso che Zelensky abbia raccolto i maggiori consensi proprio nelle regioni russofone, in quanto opposto alla destra nazionalista. Si può solo aggiungere che l'invasione russa, lungi dal detronizzarlo, ha ulteriormente allargato il suo consenso. Purtroppo anche tra i proletari ucraini. A maggior ragione l'accostamento tra ucraini e nazisti, nel sottopancia di non pochi compagni, è obiettivamente grave. Non solo perché assimila un popolo alla natura, per di più falsata, del regime politico che lo domina, ma anche perché riproduce lo stereotipo propagandistico dell'imperialismo invasore. E cioè la rappresentazione della guerra propria dello sciovinismo grande-russo, quella che si maschera da “operazione speciale” per la “denazificazione” dell'Ucraina. Una denazificazione davvero speciale se acclamata da Dugin e dagli ambienti fascisti di Santa Madre Russia.

Vi accorgete ora che c'è la guerra, ma in realtà c'è da otto anni” è una delle osservazioni più ricorrenti. Questa è in realtà una rimozione della guerra attuale. L'attuale guerra, segnata dall'invasione russa dell'Ucraina, non è affatto la continuità della guerra precedente. Ha un'altra natura ed altri fini. Otto anni fa una rivolta reazionaria a piazza Maidan a Kiev rovesciò il governo filorusso di Yanukovich, e diede avvio a un corso politico nazionalista ucraino che ha assunto misure reazionarie contro le popolazioni russofone del Donbass. Per questo come PCL abbiamo difeso per otto anni la resistenza del Donbass e i diritti nazionali delle popolazioni russofone, indipendentemente dalla natura rossobruna dei governi separatisti e dal sostegno militare loro accordato dall'imperialismo russo.

La guerra iniziata il 24 febbraio è un'altra cosa. È la guerra dell'imperialismo russo contro la nazione ucraina. Una guerra mirata al suo assoggettamento e/o alla sua spartizione, secondo le volontà dichiarate dello stesso Putin (discorso alla nazione e al mondo del 21 febbraio). La posta in gioco di questa guerra non sono i diritti di autodeterminazione delle popolazioni russofone, oggi peraltro bombardate dall'imperialismo russo (e non a caso avare di quel consenso agli invasori che Putin credeva scontato), ma i diritti di autodeterminazione della nazione ucraina.

I diritti di autodeterminazione di nazionalità oppresse non sono a geometria variabile. Se l'imperialismo russo promuove una guerra d'invasione e di conquista contro la nazione ucraina, la nazione ucraina ha diritto a difendersi contro la Russia, così come il Donbass aveva diritto a difendersi contro il governo ucraino. Perché usare due pesi e due misure? Presentare la guerra attuale come la continuità di quella degli otto anni precedenti serve solo alla propaganda bellica di Putin, mirata a consolidare il consenso in Russia alla propria guerra di conquista.

L'ucrainofobia trascina con sé distorsioni ottiche profonde nella lettura stessa della guerra in atto. Ad esempio. Sappiamo tutti che l'Ucraina è contesa da imperialismi NATO e imperialismo russo. Sappiamo anche che per noi non c'è alcuna ragione di preferire un imperialismo all'altro da un punto di vista generale e storico. È fuor di dubbio. Ma possiamo dire che oggi vale lo stesso per il popolo ucraino, sottoposto ai bombardieri russi? Dieci milioni di ucraini sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, tre milioni sono coloro che hanno lasciato il paese. Da quale imperialismo sono fuggiti? Secondo ogni evidenza, dall'imperialismo russo che ha invaso l'Ucraina e la bombarda. O no? O dobbiamo dire che siccome per noi dal punto di vista storico un imperialismo vale l'altro, allora gli ucraini si sbagliano a vedere nella Russia oggi il nemico immediato contro cui battersi?
In questa assenza di empatia, di sensibilità elementare per la drammatica sofferenza di un popolo c'è anche la misura dell'arretramento culturale del senso comune. Il fatto che a fronte della guerra d'invasione dell'imperialismo russo non vi sia stata ad oggi alcuna manifestazione di protesta sotto l'ambasciata russa non è meno significativo. Non è mai accaduto per nessuna guerra d'invasione del passato. Non è un'accusa, è un fatto. Come è un fatto che la stessa rivendicazione elementare del ritiro delle truppe russe dai territori occupati con l'invasione di febbraio è la grande assente dalle piattaforme di lotta del sindacalismo di classe, che pur sosteniamo. Come se la sacrosanta opposizione al nostro imperialismo giustificasse la rimozione dell'imperialismo russo.

Una distorsione analoga riguarda la resistenza ucraina. In questo caso la rappresentazione è mutuata dalla comunicazione mediatica borghese. La resistenza viene dipinta unicamente come resistenza dell'esercito e pura espressione del governo ucraino. Così non è. Naturalmente, come sappiamo, il nazionalismo è egemone, e il peso dell'esercito dominante. Ma non tutto si riduce all'esercito, e neppure al governo. Partecipano alla resistenza sindacati operai apertamente critici verso il governo Zelensky e le sue recenti misure antioperaie (come il Sindacato Indipendente per la Protezione del Lavoro). Le manifestazioni contro l'occupazione russa che si sono svolte a Kherson, sotto il fuoco delle truppe occupanti, sono state promosse in larga parte dai sindacati della scuola. Su scala nazionale, diverse decine di migliaia di proletari si sono arruolati come volontari nelle strutture di quartiere e di difesa territoriale. Ad esempio nel sito minerario Dtek in Donbass, di proprietà del capitalista Akhmetov, l'arruolamento volontario ha coinvolto oltre 400 minatori, sorretti dalla solidarietà attiva di chi è rimasto a lavorare in miniera per le esigenze imposte dalla difesa del paese (Le Monde, 4 maggio). Relazioni di solidarietà internazionale con la resistenza ucraina si sono prodotte in Europa nel settore metalmeccanico, tra i lavoratori di ArcelorMittal di Brema e di Gand e i lavoratori della stessa azienda in Ucraina. Organizzazioni e tendenze classiste di diversi paesi già impegnate nel contrasto dei propri governi borghesi, da Conlutas in Brasile a Solidaire in Francia, sostengono la resistenza ucraina, ed in particolare le organizzazioni sindacali in questa impegnate. In Bielorussia il 20 aprile i dirigenti della principale confederazione sindacale (BKDP) sono stati arrestati perché contrari alla guerra della Russia e solidali coi sindacati ucraini. Contro questo arresto si è pronunciato il Comitato Esecutivo della Confederazione del Lavoro della Russia, che rivendica l'immediata liberazione degli arrestati.

Inoltre la resistenza popolare all'invasione si esprime nell'organizzazione della difesa cittadina contro le truppe d'occupazione. Uomini e donne che confezionano bottiglie molotov nella previsione di un possibile ingresso dei carri armati nelle città, come a Kiev e Kharkiv, o che ammassano sacchi di sabbia sulle spiagge di Odessa per contrastare un possibile sbarco di truppe russe, sono a pieno titolo parte della resistenza. Non comprendere questo elemento non è solo una rimozione politica, ma anche un fattore di incomprensione della dinamica militare della guerra. Il fallimento dell'offensiva russa su Kiev nella prima parte del conflitto è stata sicuramente il prodotto di tanti elementi, ma certo anche della deterrenza prodotta dall'annunciata resistenza popolare nelle città, che ha costretto lunghe colonne corazzate russe a rimanerne fuori e a divenire per questo bersaglio dell'iniziativa militare ucraina. Più in generale, chi non coglie la connessione tra tenuta militare e sostegno popolare ha poca dimestichezza con la storia reale delle resistenze di ogni tempo e luogo.

Eppure tutto questo scompare dalla percezione diffusa. Su tutto domina la figura di Zelensky e il battaglione Azov, alfa e omega di tutto. La presenza fascista nella resistenza ucraina, già molto ridotta e oggi tanto più decimata, sembra arruolare miracolosamente l'intera resistenza dietro le proprie bandiere, come vuole la lettura dell'imperialismo russo. Mentre il fascismo russo panslavista, ben insediato nell'apparato imperialista del paese occupante, viene relegato nel migliore dei casi a fatto marginale di folclore, quando non addirittura ignorato.

Il tema delle armi ha occupato lo spazio centrale della discussione, ma in termini profondamente distorti. Si confonde innanzitutto l'invio delle armi col riarmo. Con alcuni curiosi paradossi. La Germania, la più prudente nell'invio delle armi, è quella che investe più di cento miliardi aggiuntivi nel proprio riarmo. Davvero non si coglie la differenza, oltre che il diverso ordine di grandezza? In realtà il criterio spartiacque “sì o no alle armi” è totalmente subalterno a una visione ideologica pacifista, spesso sposata per interesse proprio da ambienti filoputiniani e rossobruni. Col risultato paradossale di consegnare alla NATO e al PD il titolo abusivo di unici difensori della resistenza, e di consentire loro di mascherare dietro “l'invio delle armi” i propri scandalosi piani di riarmo. Assurdo.

Siamo da sempre in prima fila contro il riarmo imperialista, innanzitutto del nostro imperialismo NATO. Denunciamo la preparazione alla guerra che questo riarmo configura, assieme all'espansione della NATO nel Nord Europa, al rafforzamento dei contingenti NATO nei paesi confinanti con la Russia, al crescente coinvolgimento in essi dell'imperialismo italiano. A differenza di altre sinistre che hanno scambiato ministeri e sottosegretariati col voto ai bilanci militari, ci siamo sempre contrapposti all'imperialismo di casa nostra, al suo militarismo, alle capitolazioni ad esso delle sinistre riformiste. E non parliamo solo del passato o del PRC con Prodi. Parliamo del governo Tsipras che in anni recenti ha speso in armamenti il 4% del PIL, il doppio di quanto richiesto dalla stessa NATO. Parliamo di Podemos, che oggi siede con quattro ministri e un vicepresidente del Consiglio nel governo dell'imperialismo spagnolo, e vota i bilanci militari del riarmo. Parliamo dell'Alleanza di Sinistra in Finlandia, che siede in un governo che annuncia la propria richiesta di ingresso nell'Alleanza Atlantica. Parliamo anche, al di là dell'Atlantico, dei ministri "di Sanders" che siedono al governo Biden della più grande potenza imperialista del pianeta, vero capofila del riarmo mondiale e della NATO. (Di Mélenchon possiamo solo dire che ha già cancellato la rivendicazione dell'uscita dalla NATO e che il suo patriottismo di sinistra, unito alla pretesa di una coabitazione con Macron, non promette nulla di buono.)

Eppure tutto questo è rimosso, perché in Italia ciò di cui si discute a sinistra è l'invio o meno di armi alla resistenza ucraina. La montagna si nasconde dietro al topolino. Ed anche qui con molta confusione. Tralasciamo per ragioni di brevità la confusione che si fa sulla stessa natura e portata reale delle armi inviate, e andiamo all'essenziale. L'essenziale è che si confonde la finalità politica dell'invio delle armi da parte dei paesi imperialisti e il diritto della resistenza ucraina ad usarle, quale che sia la loro provenienza.

Le finalità dell'invio, in particolare da parte di USA e Gran Bretagna (i due principali paesi donatori) è naturalmente imperialista. Gli imperialismi NATO usano l'invio delle armi come strumento di condizionamento politico dello stesso governo ucraino. Vogliono preservare il controllo imperialista sull'Ucraina. E una volta vista – contro le loro stesse previsioni iniziali – la capacità di resistenza ucraina, puntano a fare di necessità virtù: spingono cioè per un prolungamento della guerra mirato a indebolire l'imperialismo russo, alleato della Cina, e quindi anche quest'ultima. È la stessa logica imperialista delle sanzioni, che in realtà non solo si scaricano sulle condizioni di vita dei proletari ma rafforzano politicamente la campagna nazionalista dell'imperialismo russo sul proprio fronte interno. Tutto questo, nei limiti delle nostre possibilità, noi lo denunciamo, agli occhi dei lavoratori italiani, russi ed ucraini.

Ma dedurre dalle finalità imperialiste dell'invio delle armi il rifiuto del diritto di resistenza di un popolo invaso è assurdo. “Perché allora non le inviate ai palestinesi, e alle tante resistenze in giro per il mondo?” obietta un qualsiasi Alessandro Di Battista, con diverse sinistre a rimorchio. Come se smascherare l'ipocrisia dell'imperialismo potesse rimuovere la nostra ipocrisia. Gli imperialismi si muovono solo per i propri fini e i propri interessi. Così fanno per l'invio delle armi. Quando fornirono armi e istruttori ai curdi non lo fecero certo perché improvvisamente sensibili alla loro causa nazionale, ma solo perché ritennero conveniente sostenerli militarmente contro l'ISIS. Dovevamo quindi opporci all'invio di armi americane alla resistenza curda, cioè al diritto curdo ad usare quelle armi contro un nemico in quel momento mortale? No. Sostenemmo pienamente il diritto curdo ad usarle, senza per questo smettere di denunciare le finalità degli USA. Perché dovremmo fare diversamente nel caso della resistenza ucraina? Il popolo ucraino è oggetto della guerra d'invasione di un imperialismo enormemente più potente dell'ISIS, che da più di due mesi bombarda case, ospedali, scuole, luoghi di lavoro. La resistenza ucraina non può scegliersi le armi da usare, come non potevano sceglierle i curdi. Una resistenza per una giusta causa ha diritto a difendersi con le armi di cui può disporre. Noi abbiamo il dovere di metterla in guardia dai fini di che gliele offre. Ma non abbiamo alcun titolo per negarle questo diritto.

Dire che l'invio delle armi è in quanto tale il prolungamento della guerra confonde i piani. Come abbiamo detto, denunciamo il tentativo USA e britannico di subordinare la resistenza ai propri fini, cioè di prolungare la guerra. Ma denunciare i fini dell'imperialismo NATO non significa rimuovere quelli dell'imperialismo invasore. Il fine dichiarato dall'imperialismo russo, al piede di partenza della guerra, era quello di cancellare l'Ucraina come “invenzione comunista”. Da qui l'appello pubblico di Putin all'esercito ucraino perché destituisse Zelensky (26 febbraio). La resistenza ucraina ha sconfitto questo primo obiettivo. Senza la resistenza ucraina, necessariamente in armi, la guerra sarebbe finita due mesi fa o poco più. L'imperialismo russo avrebbe celebrato a Kiev la propria “pace”, con la benedizione del Patriarca di Mosca, il trionfo di Dugin, un enorme rafforzamento del regime di Putin sul proprio fronte interno. È questa la pace che il movimento operaio internazionale deve rivendicare in Ucraina? Eppure questo sarebbe stato l'effetto della campagna contro l'invio delle armi (“non ce la possono fare contro i russi”, “prima si arrendono meglio è per tutti”... ecc. ecc.). Si dovrebbe avere almeno l'onestà intellettuale di riconoscerlo.

Noi siamo contro un prolungamento della guerra sulla pelle degli ucraini. Ma anche contro una pace sulla pelle degli ucraini. Rivendichiamo una pace giusta: la cessazione delle ostilità, il ritiro delle truppe russe dai territori conquistati dopo il 24 febbraio, il riconoscimento della Crimea alla Russia, il diritto di libera autodeterminazione delle popolazioni del Donbass. Se si è contrari a questa soluzione – l'unica equa – lo si dica e si entri nel merito. Ma se si sostiene questa soluzione si deve avere l'onestà di ammettere che è incompatibile con la rinuncia alla resistenza.

Un luogo comune diffuso in alcuni settori afferma che l'invio delle armi è partecipazione alla guerra, “dunque” la guerra è direttamente imperialista, “dunque” la posizione da tenere è quella del disfattismo su ogni lato. Soprattutto, in realtà, il disfattismo contro la resistenza ucraina. Questa argomentazione è falsa nei suoi presupposti e sbagliata nelle sue conclusioni. No, l'invio delle armi non equivale ad essere in guerra. Anche quando l'invio è prolungato e massiccio. URSS e Cina sostennero militarmente la resistenza vietnamita contro l'imperialismo USA, ma non per questo erano in guerra con gli USA, ciò che avrebbe equivalso nel contesto d'epoca a una guerra mondiale. Gli USA nei primi due anni dell'ultima guerra mondiale sostenevano militarmente la Gran Bretagna contro la Germania nazista, ma non per questo erano in guerra con la Germania. Vi entrarono dopo l'attacco del Giappone a Pearl Harbour, con un mutamento del quadro del conflitto che fu decisivo per il suo esito. Si possono moltiplicare gli esempi. Oggi le potenze imperialiste NATO sono coinvolte nella guerra ma non sono in guerra. Non è una questione di forma ma di sostanza.

La teoria della “guerra per procura” è popolare a sinistra, ma è falsa. L'Ucraina non è “entrata in guerra per conto degli USA”. Vi è entrata perché attaccata e invasa dall'imperialismo russo. Gli USA, che non credevano alla resistenza ucraina (avevano offerto asilo a Zelensky consigliandogli la fuga dopo 24 ore), ora la sostengono e vogliono subordinarla ai propri scopi (che noi denunciamo). Non è affatto la stessa cosa. La posizione disfattista sul versante ucraino non ha oggi un fondamento oggettivo. La sua unica ricaduta politica è il lasciapassare alla vittoria russa contro l'Ucraina.

Prendiamo l'esempio della resistenza delle repubbliche separatiste del Donbass dopo il 2014. L'imperialismo russo sostenne, nel suo proprio interesse, la resistenza delle popolazioni russofone contro l'aggressione di Kiev, appoggiata dalla NATO. Ma non per questo la Russia era in guerra con la NATO e viceversa. L'elemento centrale dello scontro vedeva contrapposti il governo nazionalista ucraino e i governi separatisti, ognuno coi propri supporti imperialisti. Per questo giustamente difendemmo i diritti nazionali delle popolazioni russofone contro il governo ucraino, indipendentemente dall'invio delle armi dell'imperialismo russo, senza cessare di denunciare gli scopi di quest'ultimo e la natura rossobruna dei governi separatisti. Così oggi difendiamo i diritti nazionali dell'Ucraina contro l'imperialismo russo, senza cessare di denunciare gli scopi degli imperialismi NATO e la natura del governo Zelensky.

Siamo sempre e comunque per la fraternizzazione tra gli sfruttati di tutte le nazioni. Siano esse dominanti o oppresse, in guerra o in pace. Ma i contenuti della fraternizzazione non possono essere indifferenti alla natura di un conflitto e dei suoi contendenti. Non combattiamo l'imperialismo russo dal versante del nostro imperialismo, non sosteniamo la logica delle sanzioni dell'imperialismo NATO contro la Russia, denunciamo ogni forma di isteria antirussa, sia essa ucraina o occidentale, rivendichiamo la massima fraternizzazione coi proletari russi, vittime anch'essi dello sciovinismo grande-russo e della sua guerra di conquista contro l'Ucraina. Ma per questa stessa ragione non possiamo ignorare le ragioni di solidarietà col proletariato ucraino, prima vittima della guerra di Putin. Nessuna solidarietà e fraternizzazione coi proletari ucraini è oggi possibile se neghiamo loro il diritto a resistere. Non faremo emergere nessun punto di vista alternativo all'egemonia tra di essi del nazionalismo borghese e di Zelensky se volteremo le spalle a quel diritto. Al contrario, contribuiremo in quel caso a rafforzare la presa del nazionalismo nelle loro file, e di conseguenza a danneggiare la stessa causa della fraternizzazione tra proletari ucraini e proletari russi, che è la principale arma di lotta contro la guerra.

Siamo disfattisti verso l'imperialismo di casa nostra, ma senza ignorare l'imperialismo che entra in casa d'altri, e contro cui altri proletari giustamente resistono. Combattiamo l'imperialismo NATO ma senza concessioni all'imperialismo russo. Siamo contro l'escalation militare, contro ogni guerra imperialista, contro l'ingresso in guerra della NATO, contro ogni appello che vada in questa direzione (inclusi gli appelli di Zelensky alla no fly zone o similia). Ma non sulla pelle del diritto elementare di un popolo a lottare contro le truppe d'occupazione di una potenza imperialista. È la coerenza che ci portò a sostenere la resistenza irachena, nonostante Saddam Hussein. Non la tradiremo in Ucraina, nonostante Volodymyr Zelensky.

Partito Comunista dei Lavoratori