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La questione del salario minimo

 


Come i partiti borghesi si contendono il consenso dei salariati in assenza di un'opposizione di classe e di massa

15 Agosto 2023

La questione sociale è al centro dell'agenda politica. Ma l'assenza di una iniziativa di massa, per responsabilità preminente della burocrazia CGIL, consente ai partiti borghesi, e persino al governo Meloni, di farne uno strumento di manovra sul terreno di pure campagne di opinione. Il tema del salario minimo è esemplare

Le opposizioni borghesi liberalprogressiste hanno promosso, com'è noto, la campagna per un salario minimo a 9 euro. Il loro scopo è evidente: cercano di far dimenticare le proprie politiche antioperaie nei lunghi anni delle proprie partecipazioni di governo e di recuperare consenso nel lavoro dipendente. È il senso del nuovo corso politico di Elly Schlein e della nuova stagione del M5S, in concorrenza spietata col PD, sotto la gestione di Conte.

La proposta di merito sul salario è minimale. I 9 euro sono al di sotto del salario minimo vigente in altri paesi imperialisti, non sono indicizzati al costo della vita, prevedono sussidi pubblici (a carico dei salariati) per i padroni che accampano difficoltà nel rispettare la soglia. Sono le ragioni per cui persino Calenda, già uomo di Monti, si intesta in prima persona l'iniziativa.
Una parte della stampa borghese plaude apertamente alla proposta nel nome del principio di mercato: i 9 euro garantirebbero i capitalisti “onesti” dalla concorrenza spuria di padroni pirata. Un'altra parte arriccia il naso, ma riconosce la nobiltà dell'intento. Il capitalismo liberalprogressista vuole mostrarsi attento alle ragioni della povertà, anche perché è preoccupato dal rischio di un'esplosione sociale. D'altro canto l'assenza di una iniziativa di massa del movimento operaio attorno a una propria piattaforma di lotta consente ai buoni sentimenti liberali uno spazio di recita senza pagare dazio. Lo spazio delle opposizioni borghesi è quello che regala loro Maurizio Landini. Il suo rifiuto per anni (oggi fortunatamente rivisto) della richiesta elementare del salario minimo nel nome della difesa della contrattazione ha lasciato la proposta ai liberali. La sua attuale accettazione da parte della CGIL avviene a rimorchio dei liberali. Una prova per paradosso di subalternità, persino nel momento di un passo avanti.

Il governo Meloni, dal canto suo, guardando i sondaggi non intende lasciare a PD e M5S la rappresentanza delle ragioni sociali. Dopo aver distrutto il reddito di cittadinanza per onorare le cambiali presso il proprio blocco padronale di riferimento (ristorazione, alberghiero, turismo), in funzione della compressione dei salari, Meloni vuole riequilibrare la propria immagine pubblica sul versante sociale. Prima con la tassa sugli extraprofitti bancari, ora con l'apertura alle opposizioni sul salario minimo. Da qui l'incontro con le opposizioni sul tema, e l'annuncio di una proposta a settembre, col coinvolgimento del CNEL di Brunetta.

Nel merito l'operazione è falsa. La memoria già depositata da CNEL in Parlamento a luglio vede la soluzione del lavoro povero nel rilancio della contrattazione decentrata, l'intervento sul welfare aziendale, la detassazione degli aumenti contrattuali, la decontribuzione per le imprese che adottano forme di partecipazione dei lavoratori agli utili (Il Sole 24 Ore, 13 agosto). Tutti classici ricorsi padronali per dividere i lavoratori, per di più a loro spese.

Ma il senso politico dell'operazione va ben al di là del merito.
In primo luogo vuole esibire un volto dialogante del governo agli occhi di quei settori dell'establishment, in passato riferimento del centrosinistra, che ora hanno fatto un'apertura di credito a Meloni nel nome del superiore interesse nazionale (il gruppo Cairo e la cordata del Corriere della Sera, su cui non a caso Meloni ha scelto di motivare la propria apertura alle opposizioni con una lettera aperta).
In secondo luogo l'operazione mira a incunearsi nelle contraddizioni interne, reali o virtuali, delle opposizioni borghesi. Il CNEL è una sede istituzionale che formalmente coinvolge le parti sociali. La linea Brunetta si sposa guarda caso con le posizioni della CISL e di Italia Viva di Renzi, che hanno depositato proposte di legge sulla partecipazione dei lavoratori agli utili. Consolidare la sponda della CISL mira a creare problemi nel PD e a complicare lo spazio di smarcamento di CGIL e UIL.
In terzo luogo l'operazione ha una valenza propagandistica generale: mira a utilizzare la parzialità della proposta del salario minimo per contrapporre ad essa la questione generale del lavoro povero, cioè l'interesse più generale dei salariati. Del tipo: “i salari poveri non sono solo quelli sotto i nove euro, che sono minoranza, ma i salari medi dei lavoratori italiani: il governo vuole occuparsi di loro, a differenza delle opposizioni”. La volontà di confermare il taglio del cuneo fiscale nella prossima legge di bilancio copre questa manovra propagandista.

Naturalmente è facile denunciare l'ipocrisia di un governo che parla di salari poveri quando ha concorso a schiacciarli verso il basso sopprimendo il diritto alla sopravvivenza precaria per i senza lavoro, non ha messo un euro sul rinnovo dei contratti pubblici, ha mantenuto le accise sulla benzina dopo aver proclamato ai quattro aventi che l'avrebbe cancellata, dà sponda ai contratti pirata di UGL che sotto la direzione di Claudio Duringon, attuale sottosegretario al lavoro, è diventato braccio armato della Lega. Per non parlare dell'estensione del precariato e del rilancio dei voucher col decreto del primo maggio. Quanto al taglio del cuneo fiscale, è messo a carico dei salariati senza che i padroni e i loro profitti paghino un euro. Si potrebbe continuare a lungo. Ma il punto non sono le obiezioni necessarie e possibili. Il punto è la natura insidiosa dell'operazione del governo dal punto di vista propagandistico, in un quadro di assenza dell'opposizione di classe e di massa.

Rilanciare l'opposizione sociale di classe e di massa è allora la prima necessità. Il salario minimo per legge è una rivendicazione sacrosanta, che andrebbe semmai declinata nella richiesta di 12 euro l'ora (1500 euro mensili) e indicizzata all'inflazione.
Ma il punto centrale è ricondurla a una piattaforma generale di riferimento che parli all'insieme dei lavoratori salariati e sia in grado di mobilitarli. Non si tratta di giocare al “più uno” col PD e M5S in fatto di salario minimo (10 euro anziché 9), come ha fatto e fa Unione Popolare. Si tratta di unire le ragioni degli sfruttati attorno a una vertenza complessiva che li contrapponga al padronato e al governo. La rivendicazione di forti aumenti salariali di almeno 300 euro netti, e di una scala mobile dei salari, è il perno di una piattaforma generale di svolta. Assieme alla cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro (a proposito di lavoro povero), alla riduzione generale dell'orario di lavoro a 30 ore, a una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco per finanziare la ricostruzione della sanità pubblica e il riassetto idrogeologico del territorio.

I partiti borghesi si disputano il consenso passivo dei lavoratori parlando della loro povertà. È ora che i lavoratori e le lavoratrici intraprendano un percorso di lotta attorno a una propria piattaforma, in piena autonomia dai partiti borghesi. È il fronte della battaglia di autunno.

Partito Comunista dei Lavoratori