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L'estate calda degli scioperi negli USA

 


Mentre la nostra burocrazia sindacale dorme, il proletariato si muove nel mondo

Mentre la classe operaia italiana è ridotta alla passività dalle burocrazie sindacali, la lotta di classe si muove nel mondo. L'abbiamo visto negli scorsi mesi con le dinamiche di lotta in Francia, in Gran Bretagna, persino in Germania. Lo vediamo ora nella calda estate americana. Scioperi di massa investono diversi settori. Seicentocinquantamila salariati USA hanno dichiarato o minacciato scioperi nei settori dell'industria alimentare (latticini), del pubblico impiego, della logistica, dell'industria automobilistica. Da gennaio a oggi si sono tenuti 226 scioperi che hanno coinvolto quattrocentomila dipendenti. Negli ultimi due anni erano rispettivamente trentamila e ottantamila. Dunque un incremento nettissimo.

La rivendicazione centrale è quella di un forte aumento salariale, a fronte dell'alta inflazione e del potere d'acquisto perduto. Negli stabilimenti del colosso UPS, settore spedizioni, la sola minaccia di uno sciopero prolungato ha strappato aumenti salariali del 50%, comprendendo nell'aumento anche i lavoratori part time. È il più grande aumento salariale ottenuto negli ultimi decenni. Nell'industria automobilistica (General Motors, Ford, Stellantis) il nuovo leader del sindacato UAW Shawn Fain rivendica aumenti salariali del 40% in quattro anni con piena copertura dei nuovi assunti. Da qui l'annuncio dello sciopero per settembre.

Cresce la domanda di sindacalizzazione, oggi bassa nel settore privato (6%), più alta nel settore pubblico (23%). Recenti sondaggi attestano che il 50% dei lavoratori in imprese non sindacalizzate vorrebbero iscriversi alle unions. Si allarga il sostegno alle ragioni degli scioperi nella società americana. Il sondaggio Gallup attesta che il 71% degli americani appoggia le ragioni dei lavoratori.

Questo sussulto di lotte è sospinto da diversi fattori: l'accresciuta forza contrattuale del lavoro a seguito della ripresa economica post-Covid, il nuovo attivismo di giovani dipendenti gravati dai debiti studenteschi accumulati, l'emersione di direzioni sindacali più combattive di nuova generazione alla testa di diverse unions, ma anche l'effetto scandalo delle sperequazioni salariali negli USA. La confederazione AFL-CIO ha denunciato che lo stipendio medio di un manager USA corrisponde a 272 volte il salario medio dei dipendenti. Mentre il 70% della ricchezza nazionale si concentra nelle mani del 10% più ricco.

Le lotte proletarie in corso nel mondo smentiscono una volta di più le leggende liberali (e qui da noi postoperaiste) attorno al tramonto della classe operaia. Ma soprattutto denunciano l'insopportabile scandalo di una burocrazia CGIL che non muove foglia in presenta di salari in picchiata. E che finisce per di più, con la sua straordinaria passività, col regalare uno spazio d'immagine all'ipocrisia del governo Meloni e/o dei partiti borghesi di “opposizione” attorno a temi sociali. Il vuoto dell'opposizione di classe e di massa genera mostri, o abbellisce quelli esistenti.

È l'ora di voltare pagina in autunno. E di cambiare direzioni sindacali, che hanno fatto ormai bancarotta.

Partito Comunista dei Lavoratori