“Via 4000 leggi nei primi giorni di governo” per favorire le imprese. “Via l'Irap”, già ribassata da Renzi, a favore delle imprese. “Via gli studi di settore”, a favore delle imprese. Nuovo abbattimento della tassa sui profitti (Ires), già ridotta drasticamente da Prodi (e Ferrero) e poi ancora da Renzi, col plauso entusiasta delle imprese.
La campagna elettorale di Di Maio è un'appassionata dichiarazione d'amore per Confindustria e le libere professioni. Mira alla conquista del padronato del Nord, nel nome delle stesse identiche bandiere del berlusconismo e del renzismo, ma con lo slancio tipico degli ultimi arrivati.
Sarebbe Di Maio il candidato... antisistema?
In un paese in cui i padroni hanno ottenuto mani libere su lavoro e territorio (lo Sblocca Italia); in cui i profitti hanno beneficiato di una progressiva detassazione (-10% di Ires negli ultimi dieci anni); in cui il capitale finanziario evade ed elude sistematicamente il fisco, attraverso le banche, per più di cento miliardi ogni anno; in cui i grandi gruppi industriali e bancari patteggiano direttamente con l'Agenzia delle entrate agevolazioni ulteriori ed esenzioni (vedi per ultimo il caso Campari); in cui salariati e pensionati reggono l'80% del carico fiscale (+14% negli ultimi trent'anni)... il candidato Luigi di Maio rivendica una nuova legislazione a favore delle imprese. Del resto non ha forse applaudito la riforma fiscale di Trump e l'«esempio» Macron?
La verità è che il M5S sta dentro la deriva reazionaria che si è abbattuta sui lavoratori salariati. Ne è semplicemente una voce. Certo, è una “rivoluzione”. Ma è la rivoluzione dei padroni.
Partito Comunista dei Lavoratori