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Di Maio, una poltrona per tutti?


Luigi Di Maio, detto Gigi, si dà un gran da fare nelle vesti di futuro capo del governo. Prima ha cercato il riconoscimento di tutti i poteri forti esistenti al mondo, da Trump a Macron a Netanyahu, a sua volta benedicendoli tutti con commosse parole di elogio. Ora pensa a ingraziarsi i salotti buoni di casa nostra. Pressato dalle domande inquiete del grande capitale e della sua stampa su quali garanzie di governabilità è in grado di offrire il M5S, Gigi Di Maio ha rassicurazioni per ogni palato.

L'intervista rilasciata il 28 dicembre al Fatto Quotidiano è esemplare.

«Come farete a governare se non prenderete almeno il 40% dei voti?» Semplice, risponde Gigi: «La sera del voto lanceremo un appello a tutti i partiti, e proporremo un tavolo per un'intesa sui programmi, senza scambi di poltrone... Saranno trattative pubbliche, trasparenti.» Avete capito bene. Dopo aver denunciato per anni a parole tutti i partiti con l'indimenticabile Vaffa, Di Maio ci informa che proporrà “trattative” a... “tutti i partiti”. Tutti. L'intera casta politica borghese viene improvvisamente riabilitata purché voti Di Maio capo del governo. Fascisti, reazionari, liberalprogressisti, ogni maggioranza va bene allo scopo. Del resto, quando mai Gigi potrà accarezzare di nuovo la vetta di un simile traguardo? Ora o mai più, si deve essere detto. Di Battista salta il giro temendo il peggio per potersi riciclare con un secondo mandato, magari in elezioni anticipate. Ma Di Maio non può. Lui ha l'appuntamento con la storia, con un unico biglietto di sola andata. Per questo chiede oggi a tutti il lasciapassare.

«Per governare serve una squadra forte: lei come la comporrà?», chiede curioso il giornalista. La risposta di Di Maio è esemplare: «Io voglio dare stabilità al Paese. E per questo prima delle elezioni presenteremo una squadra di ministri di ampio respiro, aperta a tutte le sensibilità dei cittadini». Proprio così. Ora si capisce il “senza scambi di poltrone”. Significa che tutte le poltrone sono prenotate da Di Maio e da ministri targati (in un modo o nell'altro) 5 Stelle. Ma il cuore della risposta sta in quel “nell'ampio respiro” della composizione ministeriale. “Ministri aperti a tutte le sensibilità dei cittadini” significa non solo ministri buoni per tutti i gusti elettorali, ma perciò stesso ministri votabili da tutti i partiti parlamentari, perché in grado di piacere a “tutti i partiti”. Del resto se Di Maio vuol fare il capo del governo col voto di tutti i partiti, cos'altro può fare? Così il campione della propaganda anti-inciucio rivendica il massimo dell'inciucio: un governo di unità nazionale avvolto nel sipario del M5S. L'unità nazionale di governo raccolta in un solo partito. Purché il capo del partito (e del governo) sia Di Maio.

Ma «La base [del governo] però dovrebbe essere il programma», osserva il giornalista, «perché lei non parla mai dii lotta all'evasione fiscale? Per non turbare gli imprenditori?» La risposta di Gigi non lascia spazio al dubbio: «Bisogna smetterla con questi pregiudizi nei confronti delle imprese, in Italia c'è gente che paga il 70 per cento di tasse ed esporta merci ovunque». Chiaro. Ora si capisce il vero possibile cemento di un governo Di Maio di unità nazionale. L'unità nazionale sta nel sostegno lirico alle imprese eroiche “che esportano ovunque”, tartassate dal fisco (poveracce) e magari dalle pretese dei lavoratori. Dopo trent'anni di abbattimento delle tasse su dividendi e profitti, in un paese in cui salariati e pensionati pagano l'80 per cento delle tasse, Di Maio ha trovato la bandiera del proprio sospirato premierato: nuove regalie fiscali al padronato, a spese dei lavoratori. È il programma da sempre di tutti i borghesi. Perché mai tutti i loro partiti dovrebbero far mancare il voto in Parlamento al proprio stesso programma di governo?

Non sappiamo se le offerte di mercato di Di Maio convinceranno i capitalisti a sostenere il M5S. Sappiamo che è nel nome dei capitalisti che Di Maio ambisce a governare.
Eppure è lo stesso M5S che Liberi ed Eguali corteggia, e che Rifondazione Comunista non attacca (dopo averlo a lungo lusingato).
È una ragione in più per la sinistra rivoluzionaria. Quella che ha sempre chiamato le cose con il loro nome. Quella che dice sempre la verità ai lavoratori contro tutti i loro avversari.
Partito Comunista dei Lavoratori