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Per un antifascismo classista e anticapitalista
Quest'anno il 25 aprile affronta un contesto politico nuovo.
Organizzazioni dichiaratamente fasciste hanno sviluppato nell'ultimo anno il proprio radicamento e la propria forza militante. Lo hanno fatto inzuppando il pane nei sentimenti xenofobi e reazionari cavalcati da tutti i partiti dominanti, dal PD di Minniti “legge e ordine” al M5S, sino alla Lega lepenista, che hanno fatto a gara per intestarsi il blocco dei migranti, i loro respingimenti, la loro segregazione. Le organizzazioni fasciste hanno semplicemente usato questo vento per gonfiare le proprie vele.
Ma se questo vento spira più forte di ieri, anche tra milioni di sfruttati, è perché è stato alimentato dalla resa al capitalismo da parte dei gruppi dirigenti della sinistra politica e sindacale. L'aperta complicità nelle politiche di austerità, il semaforo verde alla Legge Fornero, la smobilitazione della lotta sull'articolo 18, la dispersione dell'opposizione di massa alla “Buona scuola”, non hanno rappresentato solamente una svendita delle ragioni del lavoro agli interessi del profitto, ma hanno anche abbandonato milioni di lavoratori e lavoratrici alla solitudine della propria condizione, alimentando sentimenti di sfiducia, demoralizzazione, disorientamento. Se il crollo del renzismo è avvenuto a destra e non a sinistra è perché la sinistra si era resa da tempo irriconoscibile al suo stesso popolo. Il voto del 4 marzo ha semplicemente registrato la realtà.
DALLA PARTE DEI LAVORATORI, DELLE LAVORATRICI, DI TUTTI GLI SFRUTTATI
Se questo è vero, non c'è possibile rilancio della battaglia contro il fascismo e contro la destra se non a partire dal recupero di una ragione di classe, dalla parte dei lavoratori contro i capitalisti.
Per anni, anche da parte della sinistra cosiddetta radicale si è rimossa la centralità del lavoro. Gli stessi gruppi dirigenti di Rifondazione Comunista che nel governo Prodi avevano votato la più grande detassazione dei profitti hanno finito col nascondere le ragioni del lavoro dietro le insegne del civismo progressista (Ingroia) e di un “popolo” indistinto. Il M5S, e la sua truffa populista nel nome dei "cittadini", hanno beneficiato anche di questo, così come i sovranismi nazionalisti.
Per rimontare la china è necessaria una svolta. Non c'è il popolo dei cittadini, ci sono le classi. Salariati e capitalisti, padroni e operai, sfruttati e sfruttatori. O si sta da una parte o si sta dall'altra.
Ridisegnare questa linea di confine è centrale per lo sviluppo della coscienza, e lo sviluppo della coscienza è inseparabile dalla lotta, a partire dall'opposizione alla classe capitalista e ai suoi governi.
Quale che sia la futura soluzione di governo, nulla di buono è in cantiere per i lavoratori. Il M5S si candida a partito centrale della Terza Repubblica dei padroni, con l'applauso di Confindustria, banche, UE, e NATO. Altro che alleato democratico dei lavoratori, cui chiedere magari qualche ministero (come vorrebbe Liberi e Uguali)! Occorre preparare una opposizione vera, unitaria, radicale, di massa senza alcuno sconto ai nuovi truffatori.
PER UNA PROSPETTIVA ANTICAPITALISTA
Ma non c'è vera opposizione di classe senza prospettiva anticapitalista. Questo è il punto decisivo.
Le stesse sinistre che hanno negli anni abbandonato persino la rappresentanza del lavoro, continuano ad illudere ciò che resta del loro popolo con l'eterna fiaba di una possibile riforma democratica e progressista del capitalismo. Una volta era il governo Prodi, ora il governo Tsipras, ogni volta si inventa un fantomatico governo “riformatore” di cui avere fiducia e a cui donare il sangue. Bene, è ora di dire, come provano i fatti, che quel governo non c'è. Che i tempi delle riforme sociali (per disinnescare i rischi di rivoluzione) erano quelli del boom economico e della presenza dell'URSS. Che nelle attuali condizioni storiche, ormai da quasi trent'anni, all'ordine del giorno del capitalismo - chiunque governi - c'è solo la distruzione di diritti e conquiste, con il trascinamento di xenofobia, guerre, miseria sociale e culturale dilagante.
E viceversa, ogni rivendicazione elementare dei lavoratori, in fatto di giustizia sociale ed emancipazione, cozza frontalmente con le compatibilità del capitalismo e della sua crisi, e chiama la necessità di una rottura anticapitalista.
Si tratta di sviluppare in ogni lotta questo elemento fondamentale di coscienza, e di costruire attorno a questa politica di classe anticapitalista una direzione rivoluzionaria del movimento operaio. Senza la quale ogni ribellione è destinata in un modo o nell'altro alla sconfitta.
PER IL PARTITO DELLA RIVOLUZIONE. QUELLO CHE MANCÒ ALLA RESISTENZA
Questa è anche la lezione della Resistenza, che qui vogliamo ricordare.
Tra il 1943 e il 1945 milioni di lavoratori si ribellarono al fascismo, ma anche alla classe capitalista che si era affidata al fascismo per distruggere il movimento operaio. La rossa primavera di tanta parte del movimento partigiano era nei suoi sentimenti apertamente anticapitalista. Ma il regime staliniano in URSS e il suo PCI in Italia aveva deciso diversamente: l'Italia doveva restare, secondo i patti di Yalta, nel campo del capitalismo. I governi di unità nazionale tra De Gasperi e Togliatti, con la copertura a sinistra di Secchia, servirono a questo. Per questo riportarono i capitalisti al posto di comando, disarmarono i partigiani, ammnistiarono i peggiori sgherri fascisti. Quando il lavoro fu completato, il PCI non era più necessario, e fu sbattuto all'opposizione. E iniziarono i lunghi anni di Scelba. Di certo la mancanza di una alternativa alla sinistra del PCI capace di contendergli la direzione (tra gruppi e organizzazioni centriste che tragicamente invocavano Stalin per criticare il PCI) fu un fattore decisivo nella sconfitta della Resistenza.
Trent'anni dopo, la nuova ascesa del 1968, tradita dal compromesso storico tra DC e PCI, finì per le stesse ragioni con la stessa sconfitta.
Per questo noi oggi, nel ricordare le potenzialità rivoluzionarie della Resistenza partigiana, rivendichiamo la costruzione di ciò che allora mancò: il partito della rivoluzione socialista.
Organizzazioni dichiaratamente fasciste hanno sviluppato nell'ultimo anno il proprio radicamento e la propria forza militante. Lo hanno fatto inzuppando il pane nei sentimenti xenofobi e reazionari cavalcati da tutti i partiti dominanti, dal PD di Minniti “legge e ordine” al M5S, sino alla Lega lepenista, che hanno fatto a gara per intestarsi il blocco dei migranti, i loro respingimenti, la loro segregazione. Le organizzazioni fasciste hanno semplicemente usato questo vento per gonfiare le proprie vele.
Ma se questo vento spira più forte di ieri, anche tra milioni di sfruttati, è perché è stato alimentato dalla resa al capitalismo da parte dei gruppi dirigenti della sinistra politica e sindacale. L'aperta complicità nelle politiche di austerità, il semaforo verde alla Legge Fornero, la smobilitazione della lotta sull'articolo 18, la dispersione dell'opposizione di massa alla “Buona scuola”, non hanno rappresentato solamente una svendita delle ragioni del lavoro agli interessi del profitto, ma hanno anche abbandonato milioni di lavoratori e lavoratrici alla solitudine della propria condizione, alimentando sentimenti di sfiducia, demoralizzazione, disorientamento. Se il crollo del renzismo è avvenuto a destra e non a sinistra è perché la sinistra si era resa da tempo irriconoscibile al suo stesso popolo. Il voto del 4 marzo ha semplicemente registrato la realtà.
DALLA PARTE DEI LAVORATORI, DELLE LAVORATRICI, DI TUTTI GLI SFRUTTATI
Se questo è vero, non c'è possibile rilancio della battaglia contro il fascismo e contro la destra se non a partire dal recupero di una ragione di classe, dalla parte dei lavoratori contro i capitalisti.
Per anni, anche da parte della sinistra cosiddetta radicale si è rimossa la centralità del lavoro. Gli stessi gruppi dirigenti di Rifondazione Comunista che nel governo Prodi avevano votato la più grande detassazione dei profitti hanno finito col nascondere le ragioni del lavoro dietro le insegne del civismo progressista (Ingroia) e di un “popolo” indistinto. Il M5S, e la sua truffa populista nel nome dei "cittadini", hanno beneficiato anche di questo, così come i sovranismi nazionalisti.
Per rimontare la china è necessaria una svolta. Non c'è il popolo dei cittadini, ci sono le classi. Salariati e capitalisti, padroni e operai, sfruttati e sfruttatori. O si sta da una parte o si sta dall'altra.
Ridisegnare questa linea di confine è centrale per lo sviluppo della coscienza, e lo sviluppo della coscienza è inseparabile dalla lotta, a partire dall'opposizione alla classe capitalista e ai suoi governi.
Quale che sia la futura soluzione di governo, nulla di buono è in cantiere per i lavoratori. Il M5S si candida a partito centrale della Terza Repubblica dei padroni, con l'applauso di Confindustria, banche, UE, e NATO. Altro che alleato democratico dei lavoratori, cui chiedere magari qualche ministero (come vorrebbe Liberi e Uguali)! Occorre preparare una opposizione vera, unitaria, radicale, di massa senza alcuno sconto ai nuovi truffatori.
PER UNA PROSPETTIVA ANTICAPITALISTA
Ma non c'è vera opposizione di classe senza prospettiva anticapitalista. Questo è il punto decisivo.
Le stesse sinistre che hanno negli anni abbandonato persino la rappresentanza del lavoro, continuano ad illudere ciò che resta del loro popolo con l'eterna fiaba di una possibile riforma democratica e progressista del capitalismo. Una volta era il governo Prodi, ora il governo Tsipras, ogni volta si inventa un fantomatico governo “riformatore” di cui avere fiducia e a cui donare il sangue. Bene, è ora di dire, come provano i fatti, che quel governo non c'è. Che i tempi delle riforme sociali (per disinnescare i rischi di rivoluzione) erano quelli del boom economico e della presenza dell'URSS. Che nelle attuali condizioni storiche, ormai da quasi trent'anni, all'ordine del giorno del capitalismo - chiunque governi - c'è solo la distruzione di diritti e conquiste, con il trascinamento di xenofobia, guerre, miseria sociale e culturale dilagante.
E viceversa, ogni rivendicazione elementare dei lavoratori, in fatto di giustizia sociale ed emancipazione, cozza frontalmente con le compatibilità del capitalismo e della sua crisi, e chiama la necessità di una rottura anticapitalista.
Si tratta di sviluppare in ogni lotta questo elemento fondamentale di coscienza, e di costruire attorno a questa politica di classe anticapitalista una direzione rivoluzionaria del movimento operaio. Senza la quale ogni ribellione è destinata in un modo o nell'altro alla sconfitta.
PER IL PARTITO DELLA RIVOLUZIONE. QUELLO CHE MANCÒ ALLA RESISTENZA
Questa è anche la lezione della Resistenza, che qui vogliamo ricordare.
Tra il 1943 e il 1945 milioni di lavoratori si ribellarono al fascismo, ma anche alla classe capitalista che si era affidata al fascismo per distruggere il movimento operaio. La rossa primavera di tanta parte del movimento partigiano era nei suoi sentimenti apertamente anticapitalista. Ma il regime staliniano in URSS e il suo PCI in Italia aveva deciso diversamente: l'Italia doveva restare, secondo i patti di Yalta, nel campo del capitalismo. I governi di unità nazionale tra De Gasperi e Togliatti, con la copertura a sinistra di Secchia, servirono a questo. Per questo riportarono i capitalisti al posto di comando, disarmarono i partigiani, ammnistiarono i peggiori sgherri fascisti. Quando il lavoro fu completato, il PCI non era più necessario, e fu sbattuto all'opposizione. E iniziarono i lunghi anni di Scelba. Di certo la mancanza di una alternativa alla sinistra del PCI capace di contendergli la direzione (tra gruppi e organizzazioni centriste che tragicamente invocavano Stalin per criticare il PCI) fu un fattore decisivo nella sconfitta della Resistenza.
Trent'anni dopo, la nuova ascesa del 1968, tradita dal compromesso storico tra DC e PCI, finì per le stesse ragioni con la stessa sconfitta.
Per questo noi oggi, nel ricordare le potenzialità rivoluzionarie della Resistenza partigiana, rivendichiamo la costruzione di ciò che allora mancò: il partito della rivoluzione socialista.