Il fango è una livella. È sempre uguale a se stesso. Stesso colore, stessa consistenza ovunque, in un’intera città. In due città. Tra la campagna e la città. In tutte le province. Il fango non è campanilista. Il fango copre tutto con il suo manto democratico. Non si capisce più se una casa è di un ricco o di un povero. Sono sporche uguali. Copre anche le persone allo stesso modo. Uscito dagli argini del fiume ha sfondato le case, le finestre, le vite. E adesso le strade hanno tutte lo stesso colore, l’asfalto non si vede, accatastate ci sono le barricate di una guerra, per chilometri. A qualche giorno dall’alluvione, grazie alle braccia di centinaia di persone, le case hanno vomitato quello che avevano in pancia. Sembra impossibile che contenessero tutto senza scoppiare. Materassi, lavatrici, giocattoli, vestiti, libri e una quantità di forme grottesche che non si sa neppure cosa siano state nella vita di prima. Ora non è strano trovare un mappamondo del Cinquecento accanto a un flipper. Una sorpresina dell’uovo Kinder su un campanello. Qualche pianta di pomodoro spunta da uno spiazzo, tra l’orto e la strada non c’è differenza. Le macchine sono parcheggiate in modo creativo, anche in verticale. In mezzo alle strade girano un sacco di persone che stanno andando da qualche parte, e indossano tutti gli stessi vestiti, color fango. Si sorridono, sono gentili. Qualcuno scherza, qualcuno canta, qualcuno si chiama. L’atmosfera è così piacevole forse per contrastare l’orrore monocromatico tutto intorno.
Il fango è una livella
Il fango è una livella. È sempre uguale a se stesso. Stesso colore, stessa consistenza ovunque, in un’intera città. In due città. Tra la campagna e la città. In tutte le province. Il fango non è campanilista. Il fango copre tutto con il suo manto democratico. Non si capisce più se una casa è di un ricco o di un povero. Sono sporche uguali. Copre anche le persone allo stesso modo. Uscito dagli argini del fiume ha sfondato le case, le finestre, le vite. E adesso le strade hanno tutte lo stesso colore, l’asfalto non si vede, accatastate ci sono le barricate di una guerra, per chilometri. A qualche giorno dall’alluvione, grazie alle braccia di centinaia di persone, le case hanno vomitato quello che avevano in pancia. Sembra impossibile che contenessero tutto senza scoppiare. Materassi, lavatrici, giocattoli, vestiti, libri e una quantità di forme grottesche che non si sa neppure cosa siano state nella vita di prima. Ora non è strano trovare un mappamondo del Cinquecento accanto a un flipper. Una sorpresina dell’uovo Kinder su un campanello. Qualche pianta di pomodoro spunta da uno spiazzo, tra l’orto e la strada non c’è differenza. Le macchine sono parcheggiate in modo creativo, anche in verticale. In mezzo alle strade girano un sacco di persone che stanno andando da qualche parte, e indossano tutti gli stessi vestiti, color fango. Si sorridono, sono gentili. Qualcuno scherza, qualcuno canta, qualcuno si chiama. L’atmosfera è così piacevole forse per contrastare l’orrore monocromatico tutto intorno.