Per il ritiro delle truppe russe nei confini del 23 febbraio 2022.
Per una giusta pace con la Crimea nella Federazione Russa e l'autodeterminazione e l'autonomia del Donbass
Fin dall'inizio della guerra in Ucraina noi abbiamo denunciato, come del resto hanno fatto i compagni russi del Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario), l'aggressione imperialista russa finalizzata non a difendere la popolazione pro russa del Donbass e il suo diritto all’autodeterminazione (che noi avevamo sostenuto fin dal golpe reazionario di Piazza Maidan), ma a distruggere l’indipendenza reale dell’Ucraina, denunciata da Putin come un'invenzione antirussa di Lenin e dei “comunisti bolscevichi”, in un'impresa neozarista.
Per questo noi abbiamo sostenuto il diritto dell’Ucraina e del suo popolo a resistere, a procurarsi le armi per tale resistenza ovunque possibile, e a recuperare i territori occupati dall’esercito russo e dai suoi mercenari nazifascisti della Wagner e islamofascisti ceceni di Kadyrov, a partire dall’inizio della guerra il 23 febbraio 2022.
Nel contempo abbiamo precisato che noi eravamo contrari a ogni intervento diretto della NATO nella guerra in corso, al suo riarmo, al suo allargamento; aggiungendo che un tale intervento avrebbe trasformato la natura del conflitto, rendendolo una vera e propria guerra interimperialistica, in cui noi saremmo stati per il disfattismo bilaterale (diventando in quel quadro la questione dell'indipendenza Ucraina, da questione principale, una questione secondaria).
Nel contempo avevamo precisato che la nostra posizione non significava in nessun caso sostegno al governo ucraino e al presidente Zelensky; così come la nostra difesa dell’Iraq nel 2003 non aveva in alcun modo significato sostegno, in quel caso, al dittatore Saddam Hussein. Anzi in questo come in quel caso indicavamo che le forze rivoluzionarie locali dovevano cercare di creare le condizioni per rovesciare il regime esistente e creare, nel quadro stesso della lotta nazionale, un governo operaio e contadino, così come i giacobini-montagnardi nel 1792 avevano rovesciato il governo monarchico-girondino nel quadro della guerra e creato la repubblica democratica.
Questo anche dichiarando la nostra contrarietà alla pura ricostruzione della Ucraina nei confini internazionalmente riconosciuti del 1991, ritendo infatti valida e rispondente ai desideri della maggioranza della popolazione l’annessione alla Federazione Russa della Crimea (“regalata” alla Ucraina da Kruscev solo nel 1954) e impossibile risolvere la questione del Donbass senza un democratico referendum di autodeterminazione. In questo senso non solo prima del 24 febbraio del 2022, ma anche dopo, ci siamo contrapposti al nazionalismo ucraino.
Nell’importante viaggio a Roma del 13 maggio, il presidente ucraino Zelensky, in particolare dopo l’incontro con Francesco Bergoglio, papa dei cristiani cattolici, ha respinto un piano di pace che rispondesse al diritto dei popoli dell'Ucraina e ha rivendicato un progetto nazionalistico di riconquista dei confini del 1991.
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Zelensky era stato eletto nel 2019 come candidato di centro (borghese, ovviamente) con il voto totale degli elettori russi e russofoni e di circa metà degli ucrainofoni, contro il candidato della destra nazionalista Poroshenko, votato dall’altra metà degli ucrainofoni, maggioritariamente nell’Ucraina occidentale. Allora si era presentato come un “uomo nuovo” capace di sconfiggere la corruzione e risolvere la questione della guerra “a bassa intensità” del Donbass. Aveva fallito, nolente o volente, su entrambi i punti. Tanto che, secondo i sondaggi, la sua popolarità era molto scesa.
La popolarità di Zelensky era molto risalita per l’atteggiamento tenuto il 24 febbraio 2022. Mentre il governo americano gli offriva un areo per fuggire, lasciando Kiev alle truppe russe (altro che spinta alla guerra a oltranza!), aveva risposto: “Non ho bisogno di un taxi ma di armi”, e capeggiato la resistenza del popolo ucraino contro l’invasore. Da quel momento la sua posizione sulla questione dei confini del 1991 era stata oscillante e contradditoria: a volte aveva affermato “sarà difficile riconquistare la Crimea”, salvo, sotto pressione dei suoi ministri e consiglieri, rimangiarsi il concetto pochi giorni dopo. Oggi sembra essere definitivamente e graniticamente sulla posizione della riconquista dei confini del 1991.
Non sappiamo se è una sceneggiata dell’attore o una reale posizione immutabile. Ma questo poco importa. Noi condanniamo con fermezza tale posizione e, come abbiamo sempre affermato, se nell’ipotesi che, dopo esser riuscite a liberare il largo corridoio sul Mar Nero tra Donbass e Crimea (ipotesi francamente del tutto improbabile) le forze ucraine cercassero di impadronirsi della Crimea e delle ex repubbliche del Donbass, noi cambieremmo la nostra posizione, non sosterremmo più l’Ucraina e il suo diritto di armarsi come può.
Così noi, da leninisti e trotskisti conseguenti, continueremo a sostenere, come sempre e come sempre indifferenti a insulti e calunnie da ogni parte provengano, solo gli interessi del proletariato e dei popoli oppressi. Fermo restando che i loro veri interessi e la pace potrebbero essere difesi solo dal successo della rivoluzione socialista, in Russia, in Ucraina e nel mondo.