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Lotta di classe e pandemia di Spagnola

Nessun governo della borghesia ha l’interesse a contare i morti delle sue crisi: ogni deceduto è un'accusa al sistema irrazionale basato sul profitto. In tempi normali la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, per i capitalisti, diventano degli orpelli fastidiosi. Ma nelle crisi reali come le pandemie o le guerre, questo diventa ancora più evidente. La conta dei morti è un fattore pericoloso che va ad incidere direttamente sui meccanismi del consenso, e li sgretola come castelli di sabbia. È stato dimostrato che durante la pandemia di Covid-19 in tutto il pianeta i decessi sono stati superiori a quelli ufficiali almeno, in media, del 50%. Nella sola provincia di Bergamo alcuni studi addirittura parlano del 460% in più rispetto alla media, a New York del 200%, a Madrid del 160%.

Tutto questo però ha un precedente storico: la pandemia di influenza "spagnola".
Tra il 1918 e il 1919 scoppia una devastante pandemia. Alcune stime parlano di 50 milioni di vittime provocate dal virus, altre di decine di milioni di morti in più, su una popolazione mondiale complessiva di due miliardi di persone. L'influenza era nata da un ceppo del virus della polmonite atipica H1N1. "Spagnola" fu la definizione coniata, per le false notizie – oggi le definiremmo fake news – sull'origine in Spagna del morbo. La posizione neutrale della Spagna durante la prima guerra mondiale lasciava più aperti i suoi canali di informazione di massa. Viceversa, i paesi coinvolti nel conflitto erano stretti nella censura di guerra. Quando la pandemia scoppiò, tra l’estate e l’autunno del 1918, le informazioni su di essa arrivavano quasi solamente dalla Spagna. La realtà fu ben diversa.
Il primo conflitto mondiale aggravò la diffusione della pandemia, la cui origine resta ancora oggi indefinita.

Anche in Italia i comportamenti di massa seguirono l’informazione di regime, che aveva tutto l’interesse a minimizzare o addirittura a nascondere la realtà. La difesa del consenso alla fine del conflitto mondiale era la priorità assoluta.
Anche la mancanza di una stima reale della situazione portò il governo della borghesia a non adottare la necessaria strategia sanitaria per contenere la pandemia, e a nascondere la gravità della situazione. L’informazione nazionale intrisa di spirito nazionalistico e patriottico, e l'azione della Chiesa cattolica, furono un valido appoggio alla mistificazione di regime. Addirittura si diffusero diverse notizie complottistiche contro la Germania, vista come responsabile dell'origine di un’arma virale creata in laboratorio. A livello popolare si innescarono voci di ogni genere contro la scienza, e la medicina in particolare. Vennero pubblicizzate anche tramite i giornali dell’epoca cure fantasiose, come il consumo smodato di tabacco o l’alcol.

Della pandemia del 1918-'19 non ci sono molti riscontri approfonditi nei libri di storia, né giorni della memoria. Ma i ricordi trasmessi, anche solo orali, tra le generazioni successive descrivono una vera catastrofe umanitaria.
Il rapporto con la morte in una popolazione già fortemente provata dalla guerra cambiò anche culturalmente i modi vivere, le usanze e i rapporti interpersonali.

I decessi erano brutali; colpivano i più giovani, che morivano per soffocamento polmonare. Molti soldati reduci dal conflitto mondiale descrivevano quello che vedevano come ben peggiore di quello che avevano provato in prima linea in guerra. I pellegrinaggi funebri verso i cimiteri vennero paragonati ai percorsi delle formiche. Il governo Orlando dovette dare una stretta all’informazione dei giornali e vietare il libero accesso ai cimiteri e i cortei funebri. I funerali furono concessi solo in forma strettamente privata e in orari particolari.

Il giornale socialista La Squilla, di Bologna, scrive nel gennaio 1919: «Censura / Morti in guerra: 462.740 / Feriti: 987.340 / Invalidi e mutilati: 500.000 / Non c’è la statistica dei morti di spagnola, perché la “maledetta” continua ad ammazzare! / Dopo il cannone, lei ci voleva! / Ma da che mondo è mondo la peste andò sempre dietro la guerra / È storia; è anche nella Bibbia!».

Non esiste una statistica ufficiale sulle morti di Spagnola in Italia. Le stime parlano di diverse centinaia di migliaia di vittime. Nelle fabbriche tutto sembra continuare come sempre, tra censura e tentativi di lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra. Ma le testimonianze verbali corrono comunque in tutto il paese, e la pandemia si inserisce dentro la lotta di classe alla vigilia del biennio rosso, costellato di conflitti sociali e politici.

Anna Kuliscioff scrive a Filippo Turati, il 12 ottobre 1918:
«Qui l’epidemia è in aumento continuo, a Desio infierisce non meno che a Milano; basta vedere le tre colonne dei morti della gente per bene nel Corriere per persuadersi qual è la mortalità nei quartieri popolari. Non si sa più dove mettere i bambini orfani di madri ed i cui padri sono al fronte. È un problema trovare ora dei medici. Tutti sono sopraffatti dal lavoro e in fondo nessuno è curato a dovere. Forse anche la grande mortalità è dovuta alla scarsa assistenza sanitaria».

Le immagini dell’epoca riportano il diverso approccio tra la classe borghese e piccolo-borghese e quella lavoratrice: famiglie borghesi ben vestite e molto attente all’uso delle mascherine, operai in lotta nei cortei o nelle fabbriche senza alcuna protezione sanitaria.

Malgrado la feroce pandemia, la lotta di classe non si ferma.

In tutto il pianeta il dramma del primo conflitto mondiale e lo stretto rapporto umano con la morte causata dalla guerra vennero messi sullo stesso livello della malattia e delle sue conseguenze, contribuendo a sbiadirne la memoria storica ufficiale. Ma il rapporto tra le classi e il loro conflitto, la crisi del capitalismo, le fasi ricorrenti di strappi della storia hanno lasciato comunque la testimonianza indelebile che la causa di fondo della delle stragi provocate dalla pandemia e dalle guerre è unicamente da attribuire alla barbarie del capitalismo.
I rivoluzionari di un secolo fa non ebbero però alcun timore reverenziale verso la pandemia, che restò all’interno di una dimensione personale. Per loro lottare contro il capitalismo significava rovesciare tutto e cancellare gli orrori provocati dalla classe dominante. La pandemia era all’interno di questo concetto.


SE OTTO ORE VI SEMBRAN POCHE, PROVATE VOI A LAVORAR...

All’inizio del 1919 il paese si trova ad affrontare una crisi senza precedenti, provocata dalle conseguenze del conflitto mondiale in un clima di trasformazione della produzione industriale, in riconversione da economia di guerra nella ripresa del tempo di pace. Ma la spinta delle lotte operaie mette in discussione perfino l’organizzazione del lavoro, con la rivendicazione di un nuovo orario di lavoro settimanale.
L'accordo per le 48 ore viene stipulato il 20 febbraio 1919, in piena pandemia, fra la Federazione degli industriali metallurgici e la FIOM. Venne accolta la storica rivendicazione del movimento operaio della giornata lavorativa di otto ore in tre turni.
Ma le lotte, in piena esplosione di massa del contagio, non ebbero freni e sfociarono in continui scioperi generali tra le città e le campagne, per evolversi nelle occupazioni delle fabbriche nel 1920.
In tutta Europa la dinamica fu identica. Basterebbe ricordare quello che stava avvenendo in Russia e l’impegno dell’Armata rossa nel respingere i tentativi controrivoluzionari dei bianchi, nello stesso 1919, in una situazione difficile per la popolazione, colpita dalla pandemia.
Non solo. I rivoluzionari riuscirono ad organizzare quello che nel marzo del 1919 fu il primo congresso dell’Internazionale Comunista. Disgraziatamente, nello stesso mese dello stesso anno la pandemia uccise Jakov Sverdlov, uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista bolscevico. Ma il sistema sanitario sovietico fu il primo modello al mondo di copertura sanitaria universale e gratuita.

La Germania, uscita sconfitta dalla guerra, fu colpita pesantemente dalla pandemia tra il 1918 e il 1919. Ma l'ondata rivoluzionaria non si fermò nemmeno lì. Fra il 4 ed il 6 gennaio 1919 diverse organizzazioni, tra le quali la Lega Spartaco di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, lanciarono a Berlino l’insurrezione dei consigli operai nella Ruhr e ad Essen, dove vennero deliberate le socializzazioni delle industrie carbonifere. Il tentativo venne represso duramente e terminò con l’arresto e l’uccisione di Rosa e Karl.

Non solo in Europa, ma anche dall’altra parte dell’oceano la spinta della lotta di classe non venne scalfita minimamente dalla pandemia. Negli Stati Uniti, a cavallo del 1918 e il 1919, morirono circa settecentomila persone. Ma nel 1919 scioperarono quattro milioni di operai, cioè un quinto della forza lavoro, una proporzione mai eguagliata. Perfino i cantieri navali di Seattle furono bloccati da uno sciopero generale che coinvolse tutta la città, e che durò settimane. Trecentomila lavoratori si mobilitarono nel primo sciopero nazionale dell’acciaio, fermando le più grandi aziende del paese. Scioperarono circa quattrocentomila lavoratori delle miniere di carbone, sfidando persino le disposizioni del presidente Woodrow Wilson e le ingiunzioni del tribunale federale.

La pandemia, con le sue decine di milioni di morti, colpì alla fine del conflitto gli strati più poveri della popolazione mondiale. Accentuò in modo indelebile le differenze tra le classi ma non fermò il conflitto tra di esse, anzi forse dette ancora più ossigeno al fuoco rivoluzionario e alla coscienza di classe.
La vita e la morte assumevano coscientemente un valore diverso. Un valore di classe, il motivo valido della stessa lotta di classe. Ne era ben consapevole Antonio Gramsci, che in un polemico articolo su l’Avanti contro la propaganda borghese, il 4 aprile 1919 si esprime così:
«Cosa sono i venti milioni di morti per grippe o febbre spagnola, o peste polmonare, ossia peste di guerra, determinata e propagata e coltivata dalle condizioni create e lasciate dalla guerra? Cosa sono le migliaia e migliaia di creature umane che muoiono quotidianamente di fame, di scorbuto, di assideramento in Romania, in Boemia, in Armenia, in India, per accennare solo a paesi amici dell'Intesa? Cosa sono gli ottanta miliardi di deficit del bilancio Italiano, i centoventi miliardi del bilancio francese, i duemila miliardi di danni determinati dalla guerra? Cosa sono stati i cinquecentomila russi sterminati dal governo zarista nella repressione dei Soviet del 1905? Cosa farebbero i venti milioni di russi che verrebbero sterminati se trionfasse la controrivoluzione dei generali Krasnof, Denikin e Kolciak, gli amici dell'Intesa che fanno impiccare ed esporre per tre giorni un operaio su dieci dei paesi che riescono a riconquistare, gli amici dell'Intesa che spediscono a Pietrogrado vagoni piombati di soldati soviettisti tagliati a pezzettini?».

Anche oggi, in un’altra fase storica, la pandemia di Covid-19 mostra chiaramente la differenza tra le classi e il differente valore morale attribuito alla vita e della morte. Li mostra attraverso le lotte in difesa del diritto alla salute dei lavoratori contro il profitto ad ogni costo, attraverso le lotte per l’accesso alle cure mediche per tutti come diritto inalienabile.
Solo un progetto rivoluzionario per il socialismo può dare valore alla vita contro gli orrori del capitalismo. La barbarie delle sofferenze dei più deboli e delle morti per pandemia ha come unico responsabile il capitalismo. Torneremo nelle strade, nelle fabbriche e nei quartieri a gridarlo con forza. La lotta di classe non si ferma.
Ruggero Rognoni

Anche il PCL sostiene l'appello lanciato da Esteban Volkov e dal CEIP

La produzione appare come un ritratto degenerato e calunnioso non solo della figura di Lev Trotsky, ma anche dell'intera cultura rivoluzionaria comunista derivata. Questa è l'ennesima prova che la borghesia tenta di tacitare l'ideale rivoluzionario servendosi di ogni strumento possibile, compreso, in questo caso, una delle maggiori società di intrattenimento on line al mondo, il colosso Netflix, che nel 2018 ha superato i 125 milioni di iscritti. Una meschina forma di propaganda controrivoluzionaria che poco ha a che fare con la tradizione trotskista che tutt'oggi noi rivendichiamo. 

Per questo motivo sottoscriviamo la dichiarazione di Esteban Volkov e del CEIP (Centro de Estudios, Investigaciones y Publicaciones "León Trotsky"), e ne riportiamo di seguito il testo in italiano.

26 febbraio 2019

Recentemente, l’azienda statunitense Netflix ha reso disponibile la miniserie “Trotsky” diretta da Alexander Kott e Konstantin Statsky e apparsa per la prima volta sul popolare “Primo Canale” della tv di Stato russa nel novembre 2017. A 100 anni dalla rivoluzione russa, Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, e indirettamente dello stesso canale televisivo, ha scelto Trotsky come protagonista per questa mega produzione di 8 episodi. 
Se teniamo conto del passato stalinista di Putin come direttore del KGB e della sua nostalgia evidente per la “grande” Russia zarista, non potevamo certo aspettarci una serie che riflettesse onestamente e obiettivamente la figura storica e l’opera di chi fu, insieme a Lenin, il più importante dirigente della Rivoluzione d’Ottobre. Qual è l’obiettivo di Putin nel riproporre queste falsificazioni? Perché denigrare i rivoluzionari quando in Russia ha già affrontato la restaurazione capitalista e nulla sembra opporsi alla nuova borghesia russa né a Putin, che governa da 18 anni? Perché Netflix, che entra nelle case di milioni di persone nel mondo, riproduce questa serie? 
Evidenziamo alcune delle principali falsificazioni della serie: 
1. Secondo gli autori stessi, non si tratta di un documentario, ma si dice che la serie è basata su fatti reali. Tuttavia, sono le stesse falsificazioni che utilizzarono gli imperialisti, lo zarismo e lo stalinismo per reprimere Trotsky e i suoi quando avanzava la burocratizzazione dell’URSS. Tutte queste falsificazioni furono respinte dalla Commissione Dewey formata da illustri personalità apartitiche nel 1937 in Messico. 
2. Contro qualsiasi evidenza storica e contraddicendo le testimonianze di amici, congiunti e nemici, la personalità di Trotsky appare egocentrica, messianica, autoritaria, disumana, criminale, competitiva – il tutto sempre legato alle sue origini ebraiche. Nella sua vecchiaia soffre di allucinazioni, tormentato dal rimorso dei suoi crimini durante la rivoluzione. 
3. Jackson (Ramón Mercader) è un giornalista stalinista onesto, critico e sensibile che instaura una lunga relazione con Trotsky per scrivere la sua biografia, cosa che Trotsky sembra accettare. Ma in realtà Trotsky non conosceva l’adesione di Mercader allo stalinismo e il loro rapporto si limitò a brevi incontri sempre su iniziativa di Mercader che, come membro del NKVD, era stato incaricato da Stalin di assassinare Trotsky. 
4. Nella ricostruzione delle rivoluzioni russe, si mostrano gli operai, i contadini, i soldati e il popolo russo manipolati da leader ambiziosi come Lenin e Trotsky che decidono al posto loro. Nel 1905, si denigrano i soviet come meri pubblici per i loro discorsi. Non c’è lotta di classe, tutto è confronto e vendetta tra individui. La rivoluzione del 1917 non fu solo uno dei più grandi e radicali movimenti di massa nella storia contro lo zarismo, ma anche contro il provvisorio governo borghese e la controrivoluzione di Kornilov tramite l’instaurazione del potere dei soviet, con la partecipazione come protagonisti degli sfruttati e degli oppressi, guidati dal partito bolscevico. La serie, d’altra parte, punta a presentare la rivoluzione come una lotta meschina per il potere, e i rivoluzionari come psicopatici manipolatori. 
5. Distorce qualsiasi relazione di Trotsky con le donne. Una grande bolscevica come la sua prima moglie Aleksandra diventa una casalinga che Trotsky abbandona con le sue due figlie. Natalia, la sua seconda moglie, conquista Trotsky per la sua bellezza e, da sposata, diventa una casalinga dedita al lavoro di cura e ai figli (ignorati da Trotsky, che è in grado di usarli come scudi umani in un presunto tentativo di assassinio durante la rivoluzione) e fare da segretaria personale al marito. La morte dei quattro figli (sulla quale nulla si dice sull’intervento dello stalinismo) è una delle colpe che lo perseguita fino alla morte. Larisa Rejsner è una femme fatale, compagna (soprattutto sessuale) e segretaria di Trotsky nel treno blindato. Ma la verità è che Aleksandra Sokolovskaia fu la leader del primo circolo marxista a cui Trotsky si unì all’età di 16 anni. I due furono deportati in Siberia con le loro due figlie e fu lei ad aiutare Trotsky a fuggire dalla Siberia, decidendo di rimanere in Russia. Natalia Sedova apparteneva al commissariato sovietico all’educazione dalla rivoluzione. Le quattro figlie e i figli di Trotsky hanno sostenuto la militanza dei loro genitori, in particolare Leon Sedov, il più intimo collaboratore di Trotsky, e promotore e principale organizzatore dell’opposizione di sinistra russa in clandestinità. Larisa Rejsner ha scritto sulla guerra civile ma non sul treno blindato. Aveva una posizione importante nella quinta armata come nella rivoluzione in generale. Si imbarcò nella flotta del Volga, prese parte ai combattimenti e partecipò alla rivoluzione tedesca: fu uno dei più eminenti militanti bolscevichi fino alla sua morte nel 1926. 
6. Il rapporto con Lenin prima e durante la rivoluzione è presentato come una lotta fra eghi e accordi per convenienza, al punto che Lenin vuole gettare da un balcone Trotsky. Stalin è il segretario di Lenin. Al momento dell’insurrezione di ottobre, Lenin comparirà solo di fronte a Trotsky che lo incalza quando la rivoluzione ha già trionfato. La serie omette che Lenin già dal settembre 1917 aveva combattendo contro il Comitato Centrale del partito bolscevico sull’immediata necessità dell’insurrezione che, d’accordo con Trotsky, sarebbe stata per lui l’inizio della dittatura del proletariato. Dopo la presa del potere e aspettando la sessione del Congresso dei Soviet, i due andarono insieme a riposare su alcune coperte sul pavimento, dove parlarono degli ultimi dettagli della conquista del potere. Riguardo alla vera visione di Lenin di Stalin, si può leggere il suo testamento e le sue critiche sui metodi del “grande sciovinista russo” nella questione georgiana. 
7. Durante i negoziati di Brest-Litovsk con l’impero tedesco, Trotsky ordinò di distribuire opuscoli “sovversivi” per provocare una ribellione contro il Kaiser: tentativo non riuscito che provocò la nuova offensiva tedesca. I grandi oppositori alla firma del trattato sono i generali ex-zaristi e non i socialisti rivoluzionari, come fu nella realtà. Nella serie, Jackson incolpa Trotsky per non aver difeso la Russia con i cosacchi. Qui si riflette la visione filo-zarista di Putin. La serie non mostra che il Congresso dei Soviet aveva approvato il decreto di pace per la Russia nella prima guerra mondiale (una delle grandi rivendicazioni delle masse russe) e che, in assenza di risposta da parte degli alleati, la Russia doveva iniziare i negoziati con la Germania, dove la socialdemocrazia sosteneva la guerra del proprio imperialismo. Sia Lenin che Trotsky videro i negoziati di Brest come una piattaforma per promuovere la rivoluzione mondiale, specialmente quella tedesca. 
8. Quando Trotsky è incaricato di formare l’esercito rosso, lo si rappresenta dirigere il treno blindato allo stesso tempo come una rock star, come un sex symbol e un assassino, che approva anche una strage di persone in un corteo funebre. Nel 1918 si prepara un presunto ammutinamento di Kronstadt (in realtà avvenuto nel 1921) al quale Trotsky risponde inventando accuse e testimoni per applicare la pena di morte al leader dell’insubordinazione. La serie nomina solo l’offensiva ceca e non quella di 14 eserciti imperialisti e dell’armata bianca zarista che l’Armata Rossa ha dovuto affrontare nella vastità del territorio sovietico. Tantomeno si ricordano gli anni del blocco economico imperialista che strozzava il paese. Per quanto riguarda Kronstadt, dobbiamo considerare che la composizione della sua guarnigione era totalmente diversa da quella del 1917, quando era stata l’avanguardia della rivoluzione. Una conferma della natura controrivoluzionaria dell’ammutinamento è stata l’apparizione della notizia, sia nella stampa internazionale che tra gli esuli russi, due settimane prima degli eventi. Trotsky indicherà anche la reazione al rialzo del mercato dopo aver ascoltato la notizia dell’ammutinamento di Kronstadt. 
9. La fondazione della Terza Internazionale nel 1919 non viene nominata, sebbene Trotsky dichiari la sua ambizione di conquistare il mondo. Per la serie, la storia della rivoluzione si conclude con la morte di Lenin. Vale a dire, non compaiono né l’opposizione di sinistra fondata da Trotsky né l’era controrivoluzionaria di Stalin, i processi di Mosca, gli arresti, le torture, la reclusione in campi di concentramento e le fucilazioni inflitte a quasi tutti i leader bolscevichi della rivoluzione e a chiunque fosse sospettato di essere un oppositore del regime di potere burocratico. Mettendo sottosopra la storia, tutti questi crimini sono attribuiti a Trotsky, compreso l’omicidio dei Romanov: un’altra bugia, poiché né Lenin né Trotsky diedero personalmente quell’ordine. 
10. Proprio nell’ultimo capitolo, il vero nome di Jackson appare su una targa e qualcuno gli chiede di compiere la sua missione quel giorno. Trotsky malato chiede a Jackson di venire a casa sua. Nel frattempo arriva un telegramma dall’ambasciata canadese che avverte Trotsky della falsa identità di Jackson. Trotsky colpisce Mercader, che gli risponde colpendolo con un piccone appeso al muro della stanza di Trotsky; la serie suggerisce che il rivoluzionario russo abbia cercato di farsi attaccare dal falso giornalista provocandolo. La ricostruzione della lotta si tratta di un nuovo falso: nasconde che Stalin voleva far eseguire la condanna a morte di Trotsky prima prima dell’inizio della seconda guerra mondiale [sul fronte orientale], dal momento che sapeva che le condizioni imposte dalla guerra avrebbero potuto portare alla rivoluzione politica che Trotsky aveva previsto per l’URSS. Per quel motivo e per la prospettiva della rivoluzione sociale nei paesi capitalisti, Trotsky e i suoi seguaci fondarono la IV Internazionale. In un’intervista tra Hitler e l’ambasciatore francese Coulondre nell’agosto del 1939, il secondo dice “Stalin ha abusato del doppio gioco”, e che in caso di guerra “il vero vincitore sarà Trotsky”. Le borghesie imperialiste diedero allo spettro della rivoluzione un nome proprio. Ma la serie è una giustificazione per l’omicidio di questo presunto “mostro” di nome Trotsky. 
I sottoscritti ripudiano questa falsificazione che cerca di seppellire l’evento più importante dal punto di vista della lotta per l’emancipazione delle classi lavoratrici dello sfruttamento capitalista e dell’oppressione, insieme con l’opera dei suoi leader migliori. 

Esteban Volkov (nipote di Trotsky) e CEIP (Centro de Estudios, Investigaciones y Publicaciones) “León Trotsky” (Argentina, Mexico)" 


Aderiscono: 

Fredric Jameson, professore, Duke University (USA). 
Nancy Fraser, sociologa, professoressa, The New School – New York, socialista (USA). 
Slavoj Žižek, filósofo e sociologo. 
Robert Brenner, storico, UCLA, direttore del Centro di Storia Sociale e Storia Comparata (USA). 
Mike Davis, scrittore (California, USA). 
Michael Löwy, direttore emerito, CNRS, Pargi (Francia). 
Michel Husson, economista (Francia). 
Stathis Kouvélakis, filosofo, King’s College (Gran Bretagna). 
Franck Gaudichaud, politologo, Università di Grenoble-Alpi (Francia). 
Ricardo Antunes, docente titolare di Sociología dell’Università Statale Campinas, Unicamp (Brasile). 
Eric Toussaint, dottore in scienze politiche e storico, Università di Liegi (Belgio). 
Alex Callinicos, professore di studi europei, dipartimento di studi europei ed internazionali, King’s College (Gran Bretagna). 
Suzi Weissman, professoressa di politica, Saint Mary’s College della California, Radio Jacobin, co-produttrice del documentario di prossima pubblicazione “Trotsky: l’uomo più pericoloso del mondo” (USA). 
Sebastian Budgen, editore, Verso (Londra – New York). 
Catherine Samary, economista, Università di Parigi Dauphiné (Francia). 
Isabelle Garo, filosofa (Francia). 
Bhaskar Sunkara, editore di Jacobin (New York, Usa). 
Eduardo Grüner, sociologo e saggista (Argentina). 
Christian Castillo, sociologo e professore, UBA e UNLP (Argentina). 
Horacio González, sociologo e saggista, ex-direttore della Biblioteca Nacional (Argentina). 
Gabriel García Higueras, storico, Università de Lima (Perú). 
Pierre Rousset, Europe Solidaire et sans Frontières (Francia). 
Valerio Arcary, professore titolare, Instituto Federal de San Pablo – IFSP (Brasile). 
Jorge Alemán, psicanalista e scrittore (Argentina/Spagna). 
Paul Le Blanc, professore di Storia, La Roche College Pittsburgh, Pennsylvania (USA). 
Alejandro Horowicz, professore di Mutamenti nel sistema politico mondiale, Sociologia, UBA (Argentina). 
Elsa Drucaroff, saggista, scrittrice e docente (Argentina). 
Tithi Bhattacharya, professoressa di Storia, Università Purdue (USA). 
Andrea D’Atri, dott.ssa in Psicologia (UBA), fondatrice della corrente Pan y Rosas (Argentina). 
Cinzia Arruzza, professoressa associata di filosofía alla The New School for Social Research, New York (USA). 
Warren Montag, Occidental College (Los Angeles, USA). 
Gilbert Pago, professore di Storia, ex-direttore della IUFM Martinica, specialista in Storia del Caribe e delle Antille francesi, e y in Storia delle Donne in questi paesi. 
Claudio Katz, economista, docente della UBA, ricercatore presso il CONICET, membro di Economistas De Izquierda (Argentina). 
Jaime Pastor, politologo, Universidad Nacional de Enseñanza a Distancia (Spagna). 
Massimo Modonesi, storico, sociologo y politologo, professore della Universidad Nacional Autónoma (Messico). 
Charles-André Udry, direttore di Editions Page 2 e del sito A l’encontre (alencontre.org) (Svizzera). 
Charles Post, sociologo, The City University of New York (USA). 
Jean-Jacques Marie, storico (Francia). 
Olga Fernández Ordoñez, figlia di Carlos Fernández, guardia di Trotsky nel suo esilio in Messico (Messico). 
Emmanuel Barot, filosofo, Università di Tolosa “Jean Jaurès” (Francia). 
Srecko Horvat, filosofo (Croazia). 
Mihai Varga, sociologo, Libera Università di Berlino (Germania/Romania). 
Pablo Bonavena, sociologo, docente alla Universidad Nacional de La Plata y Universidad de Buenos Aires (Argentina).
Jorge Gonzalorena Döll, sociologo e storico (Cile). 
Paolo Casciola, storico e direttore del sito www.aptresso.org (Italia) 
Ted Stolze, dipartimento di filosofia, Cerritos College, Norwalk (USA). 
Guillermo Almeyra, storico, (UNAM y UAM-X/Messico, UBA/Argentina). 
Alejandro Schneider, storico, UBA/UNLP (Argentina). 
Osvaldo Coggiola, Università di San Paolo USP (Brasile). 
Juan Fajardo, direttore della sezione spagnola del Marxist Internet Archive. 
Pablo Pozzi, storico, Università di Buenos Aires (Argentina). 
Hernán Camarero,ricercatore e storico, Università di Buenos Aires (Argentina). 
Miguel Vedda, Facoltà di Filosofia e Lettere, UBA (Argentina). 
Darren Roso, ricercatore indipendente, Melbourne (Australia). 
Daniel Gaido, storico, Universidad Nacional de Córdoba (Argentina). 
Alicia Rojo, storica, Università di Buenos Aires (Argentina). 
Edwy Plenel, giornalista, direttore di Mediapart (Francia). 
Helmut Dahme, sociologo, professore, Vienna (Austria). 
Eric Aunoble, storico, Ginevra (Svizzera). 
Samuel Farber, storico, The City University of New York (USA). 
G. M. Tamás, filosofo, Università dell’Europa Centrale (Budapest, Ungheria). 
Checchino Antonini, giornalista, direttore de L’Anticapitalista (Italia). 
Fernando Rosso, giornalista, La Izquierda Diario (Argentina). 
Iuri Tonelo, editore del portale Esquerda Diário e dottorando in Sociologia presso l’Università Statale di Campinas (Brasile). 
Paula Varela, politologa e docente, Università di Buenos Aires (Argentina). 
David Walters, amministratore della Enciclopedia del Trotskysmo online / Marxists Internet Archive. 
Jean Batou, professore di Storia Internazionale, Università di Lausanne (Svizzera). 
Ugo Palheta, sociologo, Università di Lille, direttore de Contretemps web (Francia). 
Francesca Gargallo Celentani, scrittrice e femminista (Messico). 
Esteban Mercatante, economista, staff di Ideas de Izquierda e La Izquierda Diario (Argentina). 
Ariane Díaz, dottoressa di Lettere, Università di Buenos Aires (Argentina). 
Mathieu Bonzom, professore di Studi Nordamericani, Università di Parigi 1, Panthéon-Sorbonne (Francia). 
Eduardo Lucita, membro di Economistas de Izquierda (Argentina). 
Carlos Rodríguez, giornalista, Página 12 (Argentina). 
Juan Dal Maso, Casa Marx Neuquén (Argentina). 
Leonidas “Noni” Ceruti, storico (Rosario, Argentina). 
Alma Bolón, professoressa titolare di Letteratura Francese presso l’Instituto de Letras de FHCE, Universidad de la República. (Uruguay). 
Manuel Garí, economista, (Spagna). 
Bernhard H. Bayerlein, storico e studioso del Romanzo, Università della Ruhr (Bochum, Germania). 
Paula Bach, economista, Universidad de Buenos Aires (Argentina). 
Edison Urbano, direttore della Revista Ideas De Esquerda (Brasile). 
Gabriela Liszt, ricercatrice del CEIP León Trotsky (Argentina). 
Gastón Gutiérrez, rivista Ideas de Izquierda (Argentina). 
Andrea Robles, redattrice, Ediciones IPS- CEIP (Argentina). 
Matías Maiello, sociologo, Universidad de Buenos Aires (Argentina). 
Brais Fernández, rivista Viento Sur (Spagna). 
Omar Vazquez Heredia, dottore in Scienze Sociali presso la Universidad de Buenos Aires (Venezuela) 
Jean Baptiste Thomas, professore di studi ispanici, Scuola Politecnica (Parigi, Francia). 
Ariel Petruccelli, Historia UNCo (Neuquén, Argentina). 
Wladek Flakin, storico, Berlín (Germania). 
Jamila M.H. Mascat, filosofa, Università di Utrecht (Olanda). 
Vera Aguiar Cotrim, post-dottoranda in Filosofia, USP e docente di Filosofia presso la Facoltà Paulista di Servizio Sociale di San Caetano del Sud (FAPSS-SCS) (Brasile). 
Anthony Arnove, editore, Haymarket Books (Chicago, USA). 
Pablo Oprinari, sociologo e coordinatore di Ideas de Izquierda (Messico). 
Nick Brauns, storico e giornalista (Berlino, Germania). 
Filippo Del Lucchese, Università di Brunel, Londra (Gran Bretagna). 
Antonio Moscato, storico, Università del Salento-Lecce (Italia). 
Silvia Aguilera, redattrice LOM ediciones (Cile). 
Paulo Slachevsky, redattore LOM ediciones (Cile). 
Beatriz Abramides, professoressa della PUCSP e dirigente di APROPUCSP (Brasile). 
Renato Lemos, professore e ricercatore, Istituto di Storia dell’Università Federale di Rio de Janeiro (Brasile). 
Bill V. Mullen, professore di Studi Americani e Globali, Università Purdue (Indiana/USA). 
Susan Ferguson, professoressa associata in Media digitali e Giornalismo, Università Wilfrid Laurier (Canada). 
Elaine Behring, docente associata di Servizio Sociale UERJ, Università Statale Rio de Janeiro (Brasile). 
Pedro Campos, storico e docente della UFRRJ, Università Federale Rurale di Rio de Janeiro (Brasile). 
Antonio Liz, storico (Spagna). 
Jorge Luiz Souto Maior, professore di Diritto, USP (Brasil). 
Josefina L. Martínez, giornalista e storica (Spagna). 
Cynthia Lub, dottoressa di Storia, Universidad de Barcelona (Spagna). 
Sean Purdy, docente di Storia, Università di San Paolo (Brasile). 
Felipe Demier, storico e professore di Servizio Nazionale presso la UERJ, Università Statale di Rio de Janeiro (Brasile).
Lívia Cotrim, sociologa e ricercatrice del Nehtipo della Pontificia Università Cattolica-SP (Brasile). 
Stéfanie Prezioso, professoressa di Storia Internazionale, Università di Lausanne (Svizzera). 
Florian Wilde, storico, Berlino (Germania). 
Jean-Numa Ducange, storico, Università di Rouen (Francia). 
Pelai Pagès, dottore in Storia e professore della Universidad de Barcelona (Spagna). 
Gonzalo Adrian Rojas, docente di Scienze Politiche presso l’Unviersità Federale di Campina Grande (Brasile). 
Martín Cortés, Facoltà di Scienze Sociali, Universidad de Buenos Aires (Argentina). 
Pepe Gutiérrez-Álvarez, vicepresidente della Fundación Andreu Nin (Barcellona/Spagna). 
Francisco Cantamutto, economista, Sociedad de Economía Crítica (Argentina). 
Diego Lotito, giornalista, IzquierdaDiario.es (Spagna). 
Tatiana Cozzarelli, comitato editoriale di LeftVoice, componente del Gruppo Femminista Socialista dei Democratic Socialists of America di New York (USA). 
Juan Duarte, docente, Universidad de Buenos Aires (Argentina). 
Lucía Nistal, ricercatrice, Universidad Autónoma de Madrid (Spagna). 
Pablo Anino, economista, Universidad de Buenos Aires (Argentina). 
Mercedes D’Alessandro, dottoressa in Economia, co-fondatrice di Economía feminista (Argentina). 
Gastón Remy, economista e docente FCE, Universidad Nacional de Jujuy (Argentina). 
Alfredo Fonticelli, giornalista culturale (Uruguay). 
Demian Melo, professore di Storia presso l’Università Federale Fluminense UFF (Brasile). 
Simon Bousquet, presidente sindacale Centro Cultural Gabriela Mistral (Cile). 
Alfonso Claverías, biografo di Joaquín Maurín, deputato di Podemos, Huesca (Spagna). 
Andy Durgan, storico, dottore di Storia presso l’Università di Londra (Gran Bretagna). 
Javier Maestro, storico y professore di Storia presso laUniversidad Complutense de Madrid (Spagna). 
Aldo Casas, antropologo, saggista, consiglio di redazione di Herramienta (Argentina). 
Nora Ciapponi, militante socialista (Argentina). 
Mike Goldfield, professoree emerito di Relazioni Industriali e Risorse Umane, Università Statale Wayne (Detroit, USA). 
Hebert Benítez Pezzolano, professore e ricercatore in Lettere, Universidad de la República (Uruguay). 
Leonardo Flamia, giornalista culturale (Uruguay). 
Rolf Wörsdörfer, docente, Universidad Tecnica diDarmstadt (Germania). 
Joel Ortega Juárez, attivista del 68, insegnante di giornalismo e professore in pensione della UNAM (Messico). 
Claudio Albertani, professore della Universidad Autónoma de la Ciudad de México (Messico). 
Héctor Sotomayor, professore e ricercatore presso la Benemérita Universidad Autónoma de Puebla (Messico). 
David Pavón Cuéllar, psicologo y filosofo, professore della Universidad Michoacana de San Nicolás de Hidalgo (Messico). 
António Louçã, storico e giornalista nella televisione pubblica portoghese RTP. 
Claudia Mazzei Nogueira, docente, Unifesp-BS (Brasile). 
Livia Vargas González, filosofa, professoressa universitaria e dottoranda in Storia UCV-UFOP (Venezuela/Brasile). 
Raquel Barbieri Vidal, direttore di scena del Teatro Colón de Buenos Aires (Argentina). 
John Barzman, professore di Storia presso l’Università di Le Havre (Francia). 
Patrick Silberstein, medico, redattore di Éditions Syllepse (Francia). 
Alejandro Gálvez Cancino, professore dell’Universidad Autónoma Metropolitana, (Messico). 
Sandy McBurney, membro del Labour Party, Glasgow, (Scozia). 
Romero Venancio, docente di Filosofia dell’Università Federale di Sergipe (Brasile). 
Fabiane Tejada, docente di Arti dell’Università Federale di Pelotas (Brasile). 
Luciano Mendonça, docente di Storia presso la UFGC (Brasile). 
Gabriel Eduardo Vitullo, docente di Scienze Sociali presso l’Università Federale di Rio Grande del Nord (Brasile). 
Max Delupi, giornalista e attore (Córdoba, Argentina). 
Joseph Serrano, dottorando, UC Berkeley (USA). 
Diego Giacchetti, storico (Torino, Italia). 
Gloria Rodríguez, direttrice NET (Núcleo de Estudios del Trabajo y la Conflictividad Social), docente della Facultad de Humanidades y Artes UNR (Rosario, Argentina). 
Laura Sotelo, docente della Facultad de Psicología della UNR. Direttrice del Centro de Estudios de Teoría Crítica (Rosario, Argentina). 
Jean Georges Almendras, giornalista (Uruguay). 
Esteban Fernández, professore di filosofia della UCR e dirigente di Organización Socialista (Messico). 
Virgínia Fontes, storica, Università Federale Fluminense (UFF) (Brasile). 
Eurelino Coelho, storico dell’Università Statale di Feira de Santana, Bahia (Brasile). 
Gustavo Seferian, professore di diritto dell’Università Federale di Lavras (Brasile). 
Antonio Oliva, docente della Facultad de Humanidades UNR (Rosario, Argentina). 
Ángel Oliva, docente della Facultad de Psicología UNR (Rosario, Argentina). 
Hugo Cavalcanti Melo Filho, professore di diritto dell’Università Federale di Pernambuco (Brasile). 
Rosana Núbia Sorbile, professoressa di Storia presso l’IFSP (Brasile). 
Maria Silvia Betti, professoressa di Lettere presso l’USP (Brasile). 
Miguel Candioti, dottore in studi umanistici, docente e ricercatore della Universidad Nacional de Jujuy (Argentina). 
Sara Granemann, docente dell’Università Federale di Rio de Janeiro (Brasile). 
Isabella de Faria Bretas, dottoranda, UFG, Universidade Nova de Lisboa (Portogallo). 
Franklin Jones Santos do Amarante, articolatore culturale (Brasile). 
Fábio Resende, attore e direttore teatrale (Brasile). 
Maxwell Santos Raimundo, attore e musicista (Brasile). 
Ademir de Almeida, attore e direttore (Brasile). 
Juliana Teixeira Esteves, professoressa di Diritto dell’Università Federale di Pernambuco (Brasile). 
Reginaldo Melhado, professore di Diritto dell’Università Statale di Londrina (Brasile). 
Dr. Raúl Salas Espindola, Universidad Nacional Autónoma de México (Messico). 
David Pavón Cuéllar, Psicologo y filosofo, professore della Universidad Michoacana de San Nicolás de Hidalgo (Messico). 
Claudio Albertani, professore della Universidad Autónoma de la Ciudad de México (Messico). 
Grijalbo Fernandes Coutinho, giudice del lavoro e dottorando in Diritto per l’Università Federale Minas Gerais (Brasile).
Luís Carlos Moro, avvocato del lavoro (Brasile). 
Rosa Maria Marques, economista, professoressa titolare della PUC-SP (Brasile). 
Luiz Antonio Dias, vicecoordinatore del PEPG in Storia della PUC/SP (Brasile). 
David McNally, professore di Storia, University of Houston (USA) 
Iside Gjergji, Centre for Social Studies, Coimbra University (Portogallo) 
Corrado Basile, storico, casa editrice Altergraf (Italia) 
Rodrigo Quesada Monge, storico, professore in pensione (Costa Messico). 
Yurij Castelfranchi, professore, Dipartimento di Sociologia, Università Federale di Minas Gerais (Brasile). 
Savana Diniz Gomes Melo, professoressa del PPGE FAE, Università Federale di Minas Gerais (Brasile) 
Dr. Raymundo Mier Garza, professore della Universidad Autónoma Metropolitana (Messico) 
Telésforo Nava, professore della Universidad Autónoma Metropolitana y de la Universidad Nacional Autónoma de México (Messico) 
Msc. David Morera Herrera, sociologo, Universidad Nacional di Costa Messico. 
Hugo Cedeño, sociologo, professore alla Universidad Autónoma de Santo Domingo (Repubblica Dominicana) 

Seguono le firme… 

Organizzazioni politiche 
Nicolás del Caño, Myriam Bregman, Emilio Albamonte per il Partido de Trabajadores por el Socialismo (Argentina); Santiago Lupe prr la Corriente Revolucionaria de Trabajadores y Trabajadoras (Spagna); Sulem Estrada, Miriam Hernandez e Messico Caballero prr il Movimiento de los Trabajadores Socialistas (Messico); Ángel Arias, prr la Liga de Trabajadores por el Socialismo (Venezuela); Javo Ferreira, Violeta Tamayo e Elio Aduviri per la Liga Obrera Revolucionaria por la Cuarta Internacional (Bolivia); Juan Cruz Ferre, per LeftVoice (USA); Simone Ishibashi, Diana Assunção e Maíra Machado per il Movimento Revolucionário de Trabalhadores (Brasile); Stefan Schneider, per la Revolutionären Internationalistischen Organisation (Germania); Damien Bernard, Daniela Cobet e Juan Chingo per Révolution Permanente (Francia); Sebastián Artigas per la Corriente de Trabajadores Socialistas (Uruguay): Dauno Tótoro per il Partido de Trabajadores Revolucionarios (Chile) [Frazione Internazionale – Quarta Internazionale (FT-CI) / Animano la Red Internacional di giornali online La Izquierda Diario in francese, inglese, tedesco, portoghese, spagnolo e catalano]. 
Giacomo Turci, Scilla Di Pietro – Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) / La Voce delle Lotte; Massimo Civitani – SI Cobas, coordinamento di Roma (Italia). 
Romina del Plá, Néstor Pitrola, Jorge Altamira, Marcelo Ramal, Gabriel Solano dirigenti del Partido Obrero (Argentina).
Rafael Fernández, Natalia Leiva, Lucía Siola e Nicolás Marrero, dirigenti del Partido de los Trabajadores (Uruguay). 
Philippe Poutou, Olivier Besancenot, Alain Krivine y Christine Poupin per la direzione del Nouveau Parti Anticapitaliste (Francia). 
Gaël Quirante, Sud Poste 92 (Francia), Anasse Kazib, Sud Rail (Francia) e Vincent Duse, CGT PSA Mulhouse (Francia). Nouveau Parti Anticapitaliste (Francia). 
Nathalie Arthaud, portavoce nazionale; Arlette Laguiller ex-eurodeputata; Armonia Bordes ex-eurodeputata; Chantal Cauquil ex-eurodeputata per Lutte Ouvrière (Francia). 
Guilherme Boulos, ex-candidato a presidente per il PSOL e coordinatore del Movimento dos Trabalhadores Sem Terra (Brasile). 
Marcelo Freixo, diputado federal del PSOL, Rio de Janeiro (Brasile). 
Tarcisio Motta, consigliere del PSOL, Rio de Janeiro (Brasile). 
Per il Movimento Esquerda Socialista: Juliano Messico, presidente nazionale del PSOL; Luciana Genro, ex-candidata a presidente, deputata statale (PSOL); Roberto Robaina, direzione nazionale del PSOL; Israel Dutra, segretario del RI del PSOL; Pedro Fuentes, redattore del Portale di Esquerda em Movimento, direzione del MES (Movimento Esquerda Socialista). Fernanda Melchionna, David Miranda, Sâmia Bomfim, deputati federali (PSOL) (Brasile). 
Per la Corrente Socialista dos Trabalhadores/ PSOL: Babá, consigliere di Rio de Janeiro (PSOL); Pedir Rosa, dirigente del SINTUFF e della CST/PSOL; Rosi Messias, esecutivo nazionale del PSOL e della direzione nazionale della CST/PSOL (Brasile). 
Alan Woods, Tendenza Marxista Internazionale, redattore di In Defence of Marxism. Rob Sewell, Tendenza Marxista Internazionale, redattore di Socialist Appeal (Gran Bretagna). 
Juan Carlos Giordano, Mercedes Petit, dirigenti di Izquierda Socialista, (Argentina); Orlando Chirino, Partido, Socialismo y Libertad (Venezuela); Enrique Fernández Chacón, UNIOS (Perú); Enrique Gómez Delgado, Movimiento al Socialismo (Messico). [Unidad Internacional de los Trabajadores-Cuarta Internacional (UIT-CI)] 
Alejandro Bodart, Sergio García, Celeste Fierro, Vilma Ripoll, Guillermo Pacagnini, Mariano Rosa per il Movimiento Socialista de los Trabajadores (Argentina) e Anticapitalistas en Red-IV Internacional. 
Paula Quinteiro (deputata nel parlamento galiziano); Raul Carmago (deputato, Asamblea de Madrid); Jesús Rodríguez (economista); Ángela Aguilera (deputata nel parlamento andaluso); Ana Villaverde (deputata nel parlamento andaluso); Messico García (deputata nel parlamento andaluso); Sonia Farré ( deputata nel parlamento spagnolo). [Anticapitalistas (Spagna)] 
Franco Turigliatto, ex-senatore del Partito della Rifondazione Comunista, direzione nazionale di Sinistra Anticapitalista (Italia). 
Marco Ferrando e Franco Grisolia per il Partito Comunista dei Lavoratori (Italia) 
Thiess Gleiss, membro della direzione nazionale del partito Die Linke (Germania); Lucy Redler, membro della direzione nazionale del partito Die Linke y portavoce del SAV (Germania). 
Manuel Aguilar Mora, storico, Universidad Autónoma de Messico, dirigente della Liga por la Unidad Socialista (Messico). Roman Munguia Huato, Ismael Contreras Plata, Liga por la Unidad Socialista e Movimiento de Reconstrucción Sindical del magisterio (Messico). 
Edgard Sanchez, dirigente Partido Revolucionario de los Trabajadores (Messico). 
José Luis Hernández Ayala, Pedro Gellert, Heather Dashner Monk, Marcos Fuentes, Emilio Téllez Contreras e Héctor Valadez George, componenti della Coordinadora Socialista Revolucionaria (Messico). 
Cuauhtémoc Ruiz Ortiz, per il Partido Obrero Socialista de Messico. 
Collettivo Comunismo e Liberdade (Rio de Janeiro, Brasile). 
Comuna (Rio de Janeiro, Brasile).