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Né riformismo né sovranismo. Per un cartello elettorale della sinistra classista

Le elezioni politiche si avvicinano. L'intero scenario politico è segnato da questa scadenza. Sullo sfondo, un negoziato infinito sulla legge elettorale dall'esito incerto, con ripetuti colpi di scena negli ultimi mesi. Ma soprattutto un clima segnato dalla concorrenza scoperta tra renzismo, salvinismo, grillismo, nel corteggiamento degli umori più reazionari, contro i migranti, contro il lavoro, contro i diritti democratici. I referendum autonomisti di Lombardia e Veneto si pongono nella scia di questa ventata reazionaria e le offrono ulteriore alimento. È il clima generale che oggi consente un rigurgito di organizzazioni fasciste e delle loro iniziative militanti.
L'elemento più preoccupante di questo scenario è l'assenza di una risposta di classe e di massa, per responsabilità preminenti delle direzioni del movimento operaio e della sinistra politica.
Sul terreno sindacale, le burocrazie dirigenti hanno rimosso dal campo ogni iniziativa di mobilitazione, persino di fronte alla totale chiusura del governo Gentiloni alle loro timide richieste sulle pensioni. Parallelamente un settore centrale della classe lavoratrice dell'industria è sotto attacco frontale (duecentomila posti di lavoro a rischio nelle 166 vertenze aperte al tavolo nazionale col governo), nel momento stesso del taglio degli ammortizzatori, senza che l'accoppiata Camusso-Landini avanzi una sola indicazione di lotta unificante, e un qualsivoglia contrasto reale.
Ma il punto non è solo l'assenza di mobilitazione. È l'assenza di un punto di vista di classe indipendente sulla politica italiana, e di una chiara prospettiva anticapitalista.


I CONTORCIMENTI DELLE SINISTRE RIFORMISTE

I gruppi dirigenti della sinistra riformista di provenienza Rifondazione - già responsabili del proprio tracollo a partire dalle proprie compromissioni di governo - hanno da tempo dissolto il (formale) riferimento di classe in una cultura civico-progressista. Tutta la loro politica ignora il tema stesso della ricomposizione del fronte di classe, dell'unificazione delle lotte, della risposta alla crisi capitalistica. Ruota invece attorno a un altro problema: come salvare o recuperare la presenza istituzionale del proprio ceto politico in disarmo. In altri termini, come sopravvivere al proprio fallimento. I loro infiniti contorcimenti su come presentarsi alle prossime elezioni riguardano esclusivamente questo aspetto.

Dal punto di vista programmatico generale non vi sono divergenze sostanziali nel campo riformista: il Partito della Rifondazione Comunista resta fedele a Tsipras (e al mito dell'”Europa sociale e democratica”), anche dopo la sua capitolazione alla troika, come tutti i partiti del Partito della Sinistra Europea, confermando la vocazione strategica al governo del capitalismo; Sinistra Italiana, che ha chiesto e ottenuto lo status di osservatore nel Partito della Sinistra Europea, non ha oggi un programma diverso da quello del PRC, ma solo una collaborazione più estesa col PD nelle amministrazioni locali, dove continua a cogestire tagli sociali e disastri ambientali. Entrambi, a fini elettorali, coltivano una relazione stretta col giro civico di Falcone e Montanari, nel nome della cittadinanza progressista.
Il vero contenzioso sta nelle relazioni con MDP e Pisapia. Ma anche qui non c'entrano questioni di principio - che i riformisti non conoscono - ma solo di calcolo. Con una soglia di sbarramento ipotizzata al 5% (come nell'intesa elettorale di luglio tra PD, Forza Italia, Lega e M5S, poi naufragata), tutta la sinistra riformista aveva siglato l'appello di Montanari e Falcone che rivendicava un'unica lista a sinistra, da Pisapia al PRC, passando per Bersani e D'Alema, con la benedizione del Manifesto. Con la soglia di sbarramento al 3% si riaprono i giochi: Sinistra Italiana preme su Bersani e D'Alema per fare lista insieme, come in Sicilia (anche perché Pisapia ha posto un veto nei confronti di SI); il PRC preme a sua volta su Sinistra Italiana perché rompa con Bersani e D'Alema e addivenga a una intesa “antiliberista”, salvo in Sicilia abbandonare in fretta la pregiudiziale anti-MDP e allinearsi a D'Alema in cerca di un seggio.

Mettiamola così: le soluzioni elettorali della sinistra riformista saranno la risulta del rapporto tra Pisapia e Bersani. Se il loro asse tiene, è probabile un accordo tra SI e PRC. Se il loro asse salta, è possibile una soluzione "siciliana", col PRC a rimorchio di un partito che sostiene Gentiloni.
Non è qui importante prevedere l'esito di questa partita contrattuale multipla. L'essenziale è il punto politico di fondo: ogni soluzione elettorale ipotizzata dai gruppi dirigenti delle sinistre riformiste, quale che sia la sua geometria finale, muove dalla assenza di una prospettiva anticapitalista e dalla rimozione del confine di classe elementare. Oltre il quale tutto diviene possibile, come sempre è accaduto, nell'eterno gioco della democrazia borghese. Di certo non è da quel versante che può emergere un punto di riferimento nuovo per l'avanguardia di classe, né in termini di programmi né in termini di indicazioni di lotta. Il fatto che SI e PRC coprano le burocrazie sindacali di Camusso e Landini è già di per sé indicativo.


LE RESPONSABILITÀ DELLE SINISTRE SOVRANISTE

Ma la sinistra riformista non è l'unica presenza a sinistra.
Con un ruolo minore è emerso in questi anni un polo “sovranista di sinistra”, come peraltro in forme diverse in diversi paesi europei. Questo polo gravita oggi in Italia attorno alla Rete dei Comunisti, al gruppo dirigente di USB, e a Giorgio Cremaschi, assieme a una galassia di soggetti minori (tutti aggregati nella Piattaforma Eurostop).
Il polo sovranista - di prevalente estrazione ideologica stalinista - ha cercato di capitalizzare a proprio vantaggio il fallimento annunciato del riformismo europeista (Tsipras), facendo dell'uscita dell'Italia dall'euro e dalla UE il proprio obiettivo centrale.
Al di là della sua presa in settori della classe lavoratrice, questa impostazione politica e programmatica dirotta su un falso obiettivo la ricerca dell'alternativa, e finisce con contribuire, in modo grave, al disorientamento dell'avanguardia di classe. Di più: finisce col subordinarla, al di là delle intenzioni, a pulsioni reazionarie di altre classi.

Dal punto di vista programmatico, l'impostazione sovranista ripropone, in forma diversa, l'utopia di un possibile compromesso “sociale e democratico” tra capitale e lavoro su scala nazionale. Dal socialismo in un solo paese al keynesismo in un solo paese. L'idea centrale è infatti quella per cui l'uscita dall'euro consentirebbe il recupero della "sovranità nazionale" e dei principi progressivi della Costituzione (borghese), una sorta di ritorno alla presunta età dell'oro della Prima Repubblica, dove “c'erano i diritti sociali” del lavoro. Questa visione riesce a sommare ingredienti ideologici diversi: la sostituzione della centralità di classe con la centralità della moneta, e dunque l'attribuzione della sovranità alla moneta e non alla classe sociale che la stampa; l'idealizzazione retrospettiva della Prima Repubblica borghese e del suo interclassismo "democratico e progressivo"; l'illusione che nel quadro della crisi capitalistica mondiale e degli attuali rapporti internazionali possa tornare l'epoca delle riforme sociali e democratiche... grazie all'uscita dalla UE e dall'euro. Come se l'aggressione del capitale non colpisse i lavoratori britannici o americani. Questa impostazione è nei fatti, al di là delle chiacchiere, l'accettazione del quadro capitalista.

Dal punto di vista politico è, se possibile, peggio. Il sovranismo nazionalista è da sempre un veleno per la classe lavoratrice. Lo è persino all'interno delle nazioni oppresse, dove al di là del pieno sostegno al diritto di autodeterminazione e alle rivendicazioni nazionali progressive, i comunisti sono chiamati a difendere l'autonomia della classe operaia dalla borghesia nazionalista. Ma tanto più lo è nei paesi imperialisti, e dunque in un paese imperialista come l'Italia, dove il sovranismo assume una valenza reazionaria. La presentazione dell'Italia come semicolonia della Germania, dalla quale difendere “la nostra sovranità”, è un falso grottesco. L'Italia è la seconda potenza industriale d'Europa, partecipa allo strozzinaggio della Grecia, contende alla Francia l'egemonia sul Nord Africa, condivide con la concorrente Germania la rapina imperialista nei Balcani. Il rapporto dell'Italia con la Germania è un rapporto negoziale tra paesi imperialisti. Promuovere manifestazioni sotto l'ambasciata tedesca per difendere la “sovranità dell'Italia” dalla Germania, come è accaduto a dicembre, è, di fatto, sciovinismo. E tanto più questa posizione è grave in un contesto internazionale segnato dal prepotente ritorno dei protezionismi e nazionalismi imperialisti, sullo sfondo di populismi xenofobi con base di massa. Non è un caso che i sovranisti di sinistra abbiano a lungo corteggiato il M5S, coprendo di fatto la sua natura reazionaria.

Il sovranismo a sinistra non solo è per noi inaccettabile, ma è una posizione da combattere apertamente, senza sconti o ammiccamenti. La scelta eventuale del campo sovranista di presentarsi in qualche forma alle elezioni è questione che non può riguardarci. Ci riguarda invece la nettezza di una demarcazione chiara anche su questo fronte, contro ogni equivoco e pasticcio.


PER UN CARTELLO ELETTORALE DELLA SINISTRA CLASSISTA, FUORI DA OGNI EQUIVOCO

L'esigenza che riteniamo centrale è marcare a sinistra la presenza di un punto di vista classista, anticapitalista, internazionalista. Chiaramente alternativo all'europeismo borghese della sinistra riformista così come al sovranismo nazionalista.

È essenziale assumere come riferimento la classe lavoratrice come unico possibile baricentro di un blocco sociale alternativo.
È essenziale avanzare una prospettiva anticapitalista, contro ogni riproposizione di illusioni riformiste, quale unica vera risposta alle esigenze di emancipazione e liberazione della classe lavoratrice e di tutti i settori oppressi.
È essenziale ricondurre a quella prospettiva tutte le indicazioni di lotta e di ricomposizione di una opposizione sociale e di massa, nella logica di costruzione di un ampio fronte unico di classe contro il padronato e le tre destre dominanti.
È essenziale promuovere una campagna internazionalista, che porti tra i lavoratori e nelle loro lotte l'interesse internazionale del movimento operaio, contro ogni forma di sciovinismo. A partire dalla contrapposizione all'imperialismo italiano, per la prospettiva di una Europa socialista.
L'insieme di questi elementi risponde alle necessità di riorganizzare una risposta di classe e sviluppare la coscienza degli sfruttati. Nessuno di essi è archiviabile o negoziabile con impostazioni riformiste e/o sovraniste.
Pensiamo che questo punto di vista possa e debba trovare una propria presenza nella prossima campagna elettorale.
Data la natura delle leggi elettorali esistenti, ed in particolare del numero ingente di firme richieste per la presentazione delle liste, questa presenza richiede la convergenza unitaria di forze diverse. Per questo abbiamo proposto a Sinistra Anticapitalista e a Sinistra Classe Rivoluzione - che si richiamano entrambe a una prospettiva rivoluzionaria - un cartello elettorale comune. Restiamo convinti dell'importanza di questo sbocco.

Tra il PCL, SA e SCR esistono certo differenze importanti che attengono a diversi aspetti politici, strategici e di progetto, aspetti che spiegano l'esistenza di formazioni diverse, di diversi percorsi, di diverse collocazioni internazionali. Aspetti su cui il PCL mantiene, com'è naturale, la propria autonomia di proposta, come la centralità della lotta per un governo dei lavoratori e della costruzione del partito rivoluzionario leninista.
Ma tra PCL, SA e SCR esiste anche un nucleo centrale di posizioni comuni sul riferimento di classe, la critica del riformismo, la critica del sovranismo. Un nucleo di posizioni - classiste, anticapitaliste, internazionaliste - la cui importanza è fortemente avvalorata dal contesto politico attuale, e che fonda non casualmente un comune fronte di lotta tra le tre organizzazioni sul terreno sindacale, nella contrapposizione alle burocrazie, e in altri ambiti di movimento. Sono le stesse posizioni che ci demarcano, insieme, da altri campi politici. Si tratta allora di valorizzarle in una campagna elettorale comune.

Un cartello elettorale delle tre formazioni, rispettoso della riconoscibilità di ciascuna, consentirebbe una campagna elettorale controcorrente a sinistra, capace di rappresentare un punto di riferimento importante per settori di avanguardia, anche al di là del bacino di riferimento delle tre organizzazioni, e in ogni caso un fattore prezioso per lo sviluppo della coscienza politica di settori di classe.
Una campagna elettorale comune delle tre organizzazioni sarebbe inoltre un'esperienza assai utile per consolidare e allargare il campo di lavoro comune sui diversi terreni di lotta e di movimento.

Per tutte queste ragioni vogliamo confidare che in tempi (necessariamente) brevi si possa concludere positivamente, nella chiarezza, la verifica in corso.

Partito Comunista dei Lavoratori