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Sui referendum per l'autonomia in Lombardia e Veneto

Contro le consultazioni reazionarie di Maroni e Zaia

 

 I referendum del 22 ottobre in Lombardia e Veneto hanno carattere consultivo: chiedono un mandato negoziale verso il governo nazionale a favore di “una maggiore autonomia” regionale.

Il referendum del Veneto intendeva sottoporre a referendum cinque quesiti (tra cui il trattenimento in Veneto dell'80% delle tasse localmente riscosse) e in aggiunta uno specifico quesito sull'”indipendenza del Veneto”. Nel 2015 la Corte Costituzionale ha depennato quattro dei cinque quesiti, oltre a quello indipendentista, ammettendo esclusivamente il quesito più generico («vuoi che al Veneto siano attribuite ulteriori forme di autonomia?»). Zaia ha tuttavia dichiarato che, nel caso di una maggioranza di votanti sugli aventi diritto, lo Statuto regionale consente alla regione Veneto la definizione di un disegno di legge per l'autonomia.
Maroni ha un taglio più interno alla logica istituzionale di coalizione del centrodestra in vista delle imminenti elezioni regionali (non senza un elemento di contrappeso regionalista alla linea nazionalista di Salvini).
L'elemento comune è la volontà di rafforzare il potere dei "governatorati".


LA RINEGOZIAZIONE DELL'EQUILIBRIO DEI POTERI DOPO IL 4 DICEMBRE

Non siamo in presenza di una scelta secessionista. È indubbio che la frattura tra Nord e Sud si è ulteriormente approfondita negli anni della crisi, e che un settore di media borghesia del Nord-Est, molto integrato nel mercato tedesco, può essere attratto da una suggestione separatista. Ma questa è oggi un'opzione molto minoritaria nello stesso Veneto. Non ha sponde in Confindustria, impegnata sulla linea europeista, e difficilmente può aprirsi un varco nelle rappresentanze politiche del centrodestra, a fronte di una Lega che cerca lo sbarco al Sud, e di un Berlusconi che si fa garante della stabilità istituzionale presso la Merkel.

Al tempo stesso però non siamo in presenza di una pura operazione elettoralistica. Dopo il 4 dicembre, con la sconfitta del disegno centralistico-bonapartista del renzismo, si è aperta una fase di crisi istituzionale che investe anche l'equilibrio dei poteri. La riapertura di una questione federalistica è il contraccolpo del 4 dicembre. Il negoziato tra Lombardia/Veneto e governo nazionale si pone su questo sfondo.


CATALOGNA E “PADANIA”, REALTÀ E FINZIONE


Il contenuto politico e sociale dei due referendum è reazionario. Il tentativo di Maroni e Zaia di assimilarli al referendum della Catalogna è semplicemente patetico.

La Catalogna è una nazionalità reale, segnata da una riconoscibilità linguistica e culturale, storicamente oppressa dalla Spagna, al pari della nazione basca.
Il movimento indipendentista che la Catalogna esprime è un movimento democratico repubblicano contrapposto alla monarchia di Madrid, ha una radice profonda nella storia di Spagna, si intreccia con la grande rivoluzione spagnola del 1936, con l'opposizione democratica alla dittatura franchista, e oggi con tutte le principali battaglie di opposizione alle politiche dominanti. Si pensi all'enorme manifestazione di massa a Barcellona per i diritti dei migranti contro le politiche xenofobe, la più grande manifestazione sul tema in Europa.

La Lega di Salvini, Maroni e Zaia si colloca dalla parte opposta della barricata. È la rappresentanza di un settore centrale di piccola e media borghesia rapace del Nord d'Italia che, in blocco col grande capitale industriale e bancario, domina storicamente sul Meridione e sulla classe operaia. La trovata della inesistente Padania è la maschera farlocca di questa rapina.
In realtà la rivendicazione autonomista consiste nella pretesa del blocco dominante lombardo-veneto di accaparrarsi una buona fetta degli attuali residui fiscali (54 miliardi la Lombardia, 9 miliardi il Veneto) sottraendoli alle regioni più povere. Sono queste le risorse su cui Maroni e Zaia vorrebbero allungare le mani. Per favorire i cosiddetti cittadini lombardo-veneti, come recita la propaganda referendaria? No, per difendere gli interessi dei poteri forti del territorio: ridurre ulteriormente le tasse al proprio padronato, continuare a ingrassare le cliniche private, allargare i trasferimenti pubblici alle imprese locali, incrementare i propri pacchetti azionari nelle banche territoriali (truffaldine), ampliare il volume degli appalti per le grandi operazioni speculative, nutrire più in generale le proprie clientele. Il tutto continuando a colpire i servizi pubblici locali (si pensi ai tagli regionali sui trasporti) e a incrementare le imposte locali indirette.

Chi pagherebbe concretamente il conto di questa operazione “autonomista”? La classe lavoratrice, inclusi naturalmente i lavoratori lombardi e veneti. Attraverso nuovi carichi fiscali sui salari, nuovo taglio centrale dei trasferimenti ai comuni (compresi quelli lombardo-veneti), nuovi colpi a istruzione pubblica e sanità, difesa ancor più rigida della legge Fornero sulle pensioni... È questa la grande truffa del federalismo padano, già pagata dalla classe operaia negli anni 2000, e che oggi le viene rivenduta come nuova.


LA LEGA ARCHITRAVE DEL CAPITALISMO DEL NORD

Non solo. I referendum rivendicano maggiori poteri per le giunte regionali in fatto di politiche d'ordine. Cosa significa concretamente? Significa poter gestire con mano (ancor più) libera le politiche discriminatorie verso i migranti in fatto di rastrellamenti, segregazioni, respingimenti, per dirottare contro di loro la rabbia sociale. Significa poter approntare corpi regionali d'intervento per rendere immediatamente esecutivi sfratti e sgomberi di stabili occupati, a tutto vantaggio degli speculatori immobiliari e del valore di mercato delle loro proprietà. Significa garantire la... “sicurezza”: quella di chi ha tutto a spese di chi non ha nulla. Quando Salvini a Pontida ha rivendicato “mano libera per la polizia” ha alluso a questo.

Altro che forza di opposizione al sistema! La Lega è un architrave del sistema dominante della cosiddetta seconda Repubblica. È ininterrottamente, da un quarto di secolo ormai, il principale partito di governo delle due regioni del Nord che fanno da cuore pulsante del capitalismo italiano. È la forza politica egemone di un blocco sociale reazionario che subordina settori consistenti di proletariato (in particolare industriale) agli interessi dei suoi sfruttatori. I referendum di Zaia e Maroni vogliono rafforzare ricchezza e potere di questo blocco dominante, alimentando anche per via referendaria la ventata reazionaria più generale. Per di più con una sfrontata ipocrisia: la stessa Lega Nord che rispolvera la Padania contro “il ladrocinio” del Sud, nel Sud sventola oggi la bandiera nazionalista (e se serve persino neoborbonica) contro “i politici del Nord”. Il cinismo acchiappavoti di Matteo Salvini non conosce davvero alcun limite.


LA COMPLICITÀ DI PD E M5S. L'EVANESCENZA DELLE SINISTRE

Significativa è la collocazione verso i referendum delle diverse forze politiche.

Il PD nazionale tace, mentre decine di sindaci PD (Sala in testa) si schierano a favore dei referendum, e il presidente della regione Emilia Romagna (fedelissimo di Renzi) si posiziona in termini concorrenziali con un proprio progetto autonomistico.
Il M5S cavalca i referendum dentro la linea di competizione con la Lega, con la speranza di irrobustire le proprie radici nel Nord.
Le sinistre riformiste, polemiche coi referendum ma impacciate dalla propria cultura aclassista, sostengono per lo più una posizione astensionista, che però copre le più diverse politiche: o il disimpegno (“Il referendum è inutile e costoso, abbiamo altre cose a cui pensare”), o fumosi progetti alternativi (“Siamo per un vero federalismo democratico...”), oppure addirittura suggestioni nazionaliste di stampo sciovinista (“Le regioni del Nord vogliono andare con la Germania, contro la Germania difendiamo l'Italia”). Ci sono offerte, insomma, per tutti i palati, tranne che posizioni di classe.


CONTRO I REFERENDUM LEGHISTI, DALLA PARTE DEI LAVORATORI


È invece essenziale che contro il contenuto reazionario dei referendum lombardo-veneti si esprima una chiara opposizione del movimento operaio, con forme di mobilitazione attiva di tutta la sinistra politica, sindacale, associativa, di movimento. Con assemblee nei luoghi di lavoro, manifestazioni pubbliche, una campagna attiva controcorrente che chiarisca innanzitutto il punto essenziale: i referendum di Lombardia e Veneto sono contro l'intera classe operaia italiana e la popolazione povera. Mirano ad approfondire le divisioni tra gli sfruttati a esclusivo beneficio degli sfruttatori. Per questo vedono la larga convergenza, formale o informale, delle tre destre che oggi si contendono il governo del capitalismo italiano: salvinismo, grillismo, renzismo.

Contro le tre destre, anche sul terreno referendario, è necessario costruire il fronte unico della classe lavoratrice a partire dalla sua avanguardia e dalle sue organizzazioni. Per il rilancio di una vera opposizione di massa. Per un programma di lotta generale che unifichi i lavoratori del Nord e del Sud, privati e pubblici, italiani e immigrati, e attorno ad essi il blocco sociale di tutti gli oppressi, a partire dalla larga maggioranza dei giovani e delle donne.

Diciassette milioni di lavoratori salariati sono in Italia una forza enorme, la direzione naturale di una possibile maggioranza alternativa della società. Questa forza deve solo prender coscienza di sé, unire le proprie fila, organizzarsi. Le direzioni sindacali e politiche della sinistra, che hanno tradito la rappresentanza di questa classe, hanno perciò stesso consentito che essa divenisse terreno di pascolo per avventurieri e demagoghi di tutte le risme. Costruire un'altra direzione della classe lavoratrice è allora parte inseparabile, tanto più oggi, della battaglia contro la reazione.

Partito Comunista dei Lavoratori