Basta regalare la pace sociale a Meloni. È l'ora di una lotta vera. È l'ora di uno sciopero generale vero
Per un anno intero Giorgia Meloni ha macinato politiche contro il lavoro. Eppure, ha goduto di una pace sociale senza pari in Europa. Francia, Gran Bretagna, Germania, ora anche gli Stati Uniti, sono stati attraversati da mobilitazioni di massa dei salariati. Il governo italiano a guida postfascista, e il padronato di casa nostra, sono stati invece risparmiati. Nonostante la massima precipitazione dei salari italiani, l’ulteriore ampliamento della precarietà del lavoro, la cancellazione del reddito di cittadinanza, la liberalizzazione criminogena degli appalti, il rifiuto di ogni forma di salario minimo, etc. La verità è che la burocrazia sindacale, con la sua straordinaria passività, ha contribuito alla stabilizzazione del governo. A Meloni si è addirittura offerta la passerella del congresso nazionale della CGIL in funzione della “correttezza delle relazioni”. Incredibile.
La nuova legge di stabilità che Meloni annuncia è una truffa per i salariati. Il taglio del cuneo fiscale (purtroppo esaltato per anni dalla burocrazia sindacale) è messo a carico dei lavoratori attraverso il ricorso al debito senza che i padroni debbano scucire un euro. In cambio si offre ai padroni un “concordato preventivo biennale”: se i loro profitti salgono le tasse per loro resteranno le stesse. E questo proprio mentre salgono ovunque i profitti che spingono a loro volta l’aumento dei prezzi falcidiando i salari... Infine si annunciano per i prossimi anni altri 20 miliardi di privatizzazioni!
È allora necessaria una svolta di fondo. Non basta la manifestazione del 7 ottobre e neppure un eventuale “sciopero generale” pro forma e una tantum, che, come in passato, servirebbe solo a testimoniare la presenza senza incidere realmente sui rapporti di forza e senza ottenere lo straccio di un risultato. È l’ora finalmente di una lotta vera. Di una piattaforma generale di lotta che milioni di lavoratrici e di lavoratori possano sentire come propria. Di una mobilitazione prolungata che punti a vincere.
Per un aumento salariale di almeno 300 euro netti per tutte le lavoratrici e i lavoratori
Per il ritorno della scala mobile dei salari
Per un salario minimo intercategoriale di 12 euro l’ora (1500 euro mensili).
Per un salario dignitoso ai disoccupati di almeno 1200 euro
Per la cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro varate dai governi di ogni colore negli ultimi vent’anni
Per il controllo operaio sulle condizioni del lavoro, a partire dalla sicurezza
Per una riduzione generale dell’orario di lavoro a 30/32 ore a parità di paga
Per una patrimoniale straordinaria di almeno 10% sul 10% più ricco, al fine di raddoppiare l’investimento nella sanità, nell’istruzione, nel risanamento ambientale del territorio, nelle energie rinnovabili
Per l’abbattimento delle spese militari e la cancellazione del debito pubblico verso le banche (ormai 100 miliardi di soli interessi ogni anno!)
È necessaria una assemblea nazionale di delegati eletti che possa definire una piattaforma di svolta e decidere un serio piano di lotta a suo sostegno. È necessario accompagnare la mobilitazione con una svolta radicale delle forme di lotta, attraverso l’occupazione di tutte le aziende che licenziano (come hanno fatto in GKN) e la richiesta della loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio. Tutti i sindacati di classe dovrebbero unire le proprie forze nell’azione comune.
Il principio è semplice: occorre unire 18 milioni di salariati contro il fronte padronale e governativo; occorre contrapporre alla radicalità dei padroni una radicalità uguale e contraria dei lavoratori. È l’unica via per strappare risultati.
Una mobilitazione radicale ha bisogno di una prospettiva politica generale. Il sistema capitalistico è fallito. Ovunque compressione dei diritti sociali. Ovunque saccheggio dell’ambiente naturale. Ovunque sviluppo delle spese militari. Vecchi e nuovi imperialismi si contendono la spartizione del mondo. La barbara guerra d’invasione dell’imperialismo russo in Ucraina si combina coi piani di allargamento degli imperialismi NATO e lo sviluppo di tutti i bilanci militari: non solo in Russia e Cina ma anche negli USA, in Europa, in Giappone. Mentre si propagano vecchie e nuove ondate xenofobe contro chi fugge dalla fame e dalle guerre.
Non c’è futuro per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, non c’è futuro per la salvezza ecologica del pianeta, non c’è futuro per la pace senza mettere in discussione il capitalismo e l’imperialismo. Senza una prospettiva di rivoluzione che in ogni paese e su scala mondiale punti a riorganizzare alla radice la società umana, liberandola dalla dittatura del profitto. Questa verità profonda è confermata, giorno dopo giorno, dall’esperienza dei fatti.
Occorre elevare la coscienza della classe lavoratrice all’altezza di questa verità. Per questo è necessario un partito che sviluppi contro corrente tale consapevolezza.
La classe operaia italiana è priva di un proprio partito. Nessuna sinistra italiana si pone il compito di costruirlo. Il fronte liberalprogressista (PD, M5S, Calenda), che ha governato a lungo contro il lavoro, si offre come carta di ricambio della borghesia italiana. Sinistra Italiana e Verdi si aggregano alla carovana del centrosinistra liberale. Ciò che resta di Rifondazione Comunista si subordina ciclicamente a personaggi in cerca d’autore, prima Ingroia, poi De Magistris, ora Santoro, rimuovendo la centralità della rappresentanza autonoma del lavoro.
Il PCL si batte per un partito indipendente della classe lavoratrice, basato su un programma anticapitalista, per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori. E vuole unire nella stessa organizzazione tutte e tutti coloro che condividono questo programma. Sul piano nazionale e internazionale.