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La rivolta sociale di Landini e la nostra

 


La differenza tra gli obbiettivi transitori e gli scioperi senza altro obbiettivo che la testimonianza

«È arrivato il momento di una vera rivolta sociale, avanti così non si può più andare». Così si è espresso Landini in vista dello sciopero rituale del 29 novembre di CGIL-UIL contro la manovra del governo.

Tuona, tra il comico e il patetico, la politica benpensante borghese: come si permette, il principale capo degli schiavi salariati d’Italia, a parlare di rivolta sociale? Lo stato dei padroni ha tutto il diritto di spremerli fino all’osso, togliendogli salario, sanità e pensioni, ma gli schiavi salariati devono stare buoni e subire in silenzio.

Sullo sfondo di tale scontro ci sta la preoccupazione del governo per lo sciopero nei trasporti. Nonostante le leggi antisciopero firmate da CGIL-CISL-UIL, con quello generale si rischia lo stesso di infastidire il Paese del profitto e dello sfruttamento. Richiamare Landini all’ordine capitalistico diventa quindi missione prioritaria per padroni, governo e i loro stupidissimi giornali.

La rivolta sociale è il numero della bestia proletaria per la borghesia. Solo evocarla, per gli alti papaveri neofascisti a libro paga del capitale, è indice di «irresponsabilità», si configura come «reato», è degna dei «dei cattivi maestri degli anni ‘70» (parole, tra le tante, di emerite cime quali Salvatore Sallemi, Tommaso Foti e Maurizio Lupi...), quelli che il popolo delle scimmie fasciste non han mai seguito, preferendo di gran lunga le scuole per vermi dello zoo di Predappio.

Pensate: lo stato italiano borghese, la dittatura spietata del capitale, dal 1861 trasuda ininterrottamente sangue di piazze, di guerre imperialiste e colonialiste, di rastrellamenti, di olocausti, di stragi e di strategie della tensione, ma appena qualcuno, due o tre gradini più in basso del sangue, lascia intravedere uno spiraglio di violenza, diventa uno stato di educande e di figli dei fiori.

Tajani è preoccupato e, quando si preoccupano, i borghesi si trasformano nei sindacalisti più temibili: «Sono rimasto molto dispiaciuto e molto, molto perplesso di un atteggiamento fondamentalista di alcuni sindacati», perché il sindacato «deve fare la sua parte e non ostacolare la tutela dei lavoratori». Naturalmente, a parer suo di zerbino del capitale, i sindacati che tutelano i lavoratori sono CISL, autonomi e UGL, insomma i sindacati dei padroni e dei fascisti: Tajani è il rappresentante perfetto delle loro vecchie corporazioni!

Come fai Landini, si domanda invece Salvini «a invitare alla rivolta sociale e allo sciopero generale quando aumentano gli stipendi dei tuoi rappresentati?». Aumentano così tanto che aumentano solo apparentemente tagliando le tasse ai padroni sul costo indiretto della forza-lavoro, cioè facendo aumentare i profitti, altrimenti il 29 in piazza scendeva Confindustria.

Completa il circo destrorso il numero della Premier che piange perché, non avendo il diritto alla mutua, è costretta a continuare a fare la spola tra Roma e Budapest cantando la solita solfa: «avanti fascisti de Buda, avanti fascisti de Pest, io sono fascista de Roma, chi c’è più fascista de me?». Non avendo mai mosso un dito in vita sua, crumira per vocazione naturale, non sa che i diritti si conquistano scioperando, non certo vantandosi di essere la miglior e improbabile discendente di Stachanov. Verrebbe da dirle, se non si scendesse nel ridicolo, che anche fosse può sempre scioperare con la CGIL per conquistarlo, oppure semplicemente può darselo da sola con una legge visto che è al governo. Non doveva, infatti, anche lei rivoluzionare l’Italia?

Attenzione: entrano in scena ora gli acrobati cosiddetti di sinistra. Schlein sta al fianco dei lavoratori, ma non proprio tutti, solo quei «tre milioni e mezzo di lavoratori e lavoratrici che non ce la fanno più e non arrivano a fine mese» perché non hanno quel «salario minimo» che Meloni nega ma che il PD non ha mai elargito quando era al governo, quindi praticamente quasi sempre. Poveri sì, sembra dire Schlein, purché non miserabili, altrimenti il suo cuore ricolmo di pietà borghese potrebbe soffrirne.

Fratoianni è apparentemente più serio: «La destra attacca i sindacati, ma non ascolta i lavoratori. Un capolavoro firmato Salvini e Meloni: oggi lavoratrici, lavoratori e sindacati del trasporto pubblico sono ancora una volta in sciopero. È la decima volta dall’inizio dell’anno. Da mesi tentano disperatamente di farsi ascoltare dal governo sul tema dei salari e dell’insicurezza. Non danno risposte, sviliscono ogni richiesta dei cittadini, attaccano tutte le forme di protesta e poi si sorprendono se cresce la rabbia». Se la destra non dà risposte, si potrebbe però domandare quale precisa rivendicazione dei lavoratori appoggi una maschera come Fratoianni, ma soprattutto perché la demandi al governo, visto che con le privatizzazioni selvagge della sinistra, andrebbero comunque richieste ai padroni. In ogni caso, siccome Fratoianni non lo dice, diciamo noi per lui che la sua unica preoccupazione è che ai lavoratori scorticati, sia dato almeno il diritto di protesta. Il programma della sinistra del capitale è tutto qua: salario minimo e diritto alla protesta! Dovremmo proprio essere dei lavoratori felici e cretini per marciare il 29 novembre al fianco di questa sedicente sinistra.

Di fronte a tali attacchi e a simili improbabili difese, come ha reagito Landini? «Non ho proprio nulla da rettificare, anzi voglio rilanciare con forza. Loro (il governo, nda) cosa stanno facendo? Stanno aumentando i soldi per comprare le armi, stanno aumentando la precarietà, stanno tagliando e stanno favorendo quelli che evadono il fisco. E questo sarebbe possibile mentre non è possibile dire che c’è bisogno di una rivolta sociale? Aggiungo che ci siamo rotti le scatole, perché non è più accettabile che quelli che tengono in piedi questo Paese siano quelli che non sono ascoltati e che non vengono rappresentati»Se non del tutto giusto, direbbe la ben nota canzone di rivolta, quasi niente sbagliato. Non si dimentichi però che mancano ancora due settimane allo sciopero generale. Già l’anno scorso, di fronte al Garante dello sfruttamento, CGIL e UIL avevano ridotto lo sciopero nei trasporti, quindi non v’inganni la voce grossa del Segretario CGIL, tra quindici giorni sarà come minimo più bassa di due o tre toni.

Infatti accanto a questa presa di posizione apparentemente perentoria, stanno altre ben più significative esternazioni che illustrano meglio il contenuto reale della rivolta sociale alla Landini. Ospite a Radio 1, a chi gli domandava se la sua rivolta sociale fosse violenta, Landini ha risposto: «violento è il governo che sta investendo nelle armi. Quando mai i sindacati non hanno operato in modo pacifico?». La rivolta sociale di Landini, insomma, è qualcosa a metà strada tra la rivolta programmata a tavolino e la protesta vagamente gandhiana, non violenta per il semplice fatto che Gandhi non era un emulo di Gesù Cristo ma dei borghesi inglesi, terrorizzato come tutti i borghesi che i lavoratori scavalcassero le sue rivendicazioni nient’affatto proletarie. E siccome Landini non è Gesù Cristo e nemmeno quel finto non violento di Gandhi, la sua rivolta sociale è solo un’esternazione da riformista che, come tutte le cose dei riformisti, non ha niente di reale.

Questo aspetto lo si vede ancora meglio nella sua concezione dello sciopero. Secondo Landini gli scioperi si potrebbero evitare: «Per impedire gli scioperi bisogna dare le risposte ai lavoratori, ai cittadini. Se il governo vuole evitarli, deve rinnovare i contratti, mettere le risorse necessarie e accettare il confronto con i sindacati, cosa che non sta facendo». Un po’ come dire: date una crocchetta ai cagnolini e i cagnolini smetteranno di abbaiare.

Sarebbe ingeneroso e assolutamente falso dire che Landini pensi i suoi tesserati come cani, ma è indubbio che pensi allo sciopero come qualcosa di avulso dalla dinamica viva della lotta di classe. La nostra concezione, quella marxista, perfettamente aderente alla lotta di classe così com’è, è l’esatto opposto: una rivendicazione conquistata, a noi serve da leva per accelerare la conquista della rivendicazione successiva. È il metodo degli obbiettivi transitori, concetto che non è semplicemente un’idea di Trotsky, ma la trascrizione su carta marxista della reale lotta di classe rivoluzionaria che è tale anche quando apparentemente sembra assopita. Nel riformista Landini, lo sciopero è chiamato, nella migliore delle ipotesi, in vista di stopparla, non per accompagnarla e tirarla. È in questo freno a monte che i Landini di tutti i tempi e le latitudini, non avendo altro orizzonte al di là di un capitalismo ideale, finiscono per transitarci, di manifestazione all’acqua di rose in manifestazione all’acqua di rose, nell’unico capitalismo reale che conosciamo: quello che peggiora le nostre condizioni di anno in anno anche grazie alle loro mobilitazioni testimoniali, a ricordo dell’ennesima sconfitta che stanno preparando.



Nota – Non vorremmo essere fraintesi - perché c'è sempre qualcuno che non vede l'ora di fraintedere! - nel 1956 ungherese noi sì che stavamo coi ragazzi ungheresi, non come i Pingitore che stavano comunque contro.

Lorenzo Mortara