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Il prode Turigliatto e il governo Prodi


A proposito del "trotskista" che non silurò il centrosinistra

Sul Corriere del 26 gennaio è uscito un pezzo dedicato a Franco Turigliatto, il principale dirigente di Sinistra Anticapitalista. Come i nostri lettori sanno bene, Sinistra Anticapitalista, dopo mesi di avanti e indietro, a volte ridicoli, rispetto alla prospettiva di blocco elettorale di organizzazioni di estrema sinistra che ha poi dato vita a "Per una sinistra rivoluzionaria", ha subìto immediatamente il "richiamo della foresta" riformista, mascherato da movimentista, aderendo dalla sera alla mattina a Potere al Popolo.
Questo dimostra che l'evoluzione parziale di Sinistra Anticapitalista, in conseguenza della rottura della vecchia Sinistra Critica, se mai è esistita non si è consolidata, e SA è rimasta in pieno un'organizzazione opportunista che col trotskismo reale, cioè col suo metodo e programma, non ha niente a che fare.
Franco Turigliatto viene presentato nell'articolo come «il trotskista che silurò Prodi». Si tratta di una fantasia sostanziale, da cui, del resto, lo stesso Turigliatto cerca - molto cautamente - di smarcarsi un poco.
E tuttavia tale caratterizzazione, o analoga, è stata ripetuta molte volte dal 2008 ad oggi. Poiché la verità è rivoluzionaria ed ha una grande importanza politica, noi abbiamo alcune (poche) volte deciso di mettere i puntini sulle i. Ci sembra questo il caso, oggi. Per questo ripubblichiamo un testo di alcuni anni fa riferito ad un'intervista del nostro a La Repubblica. Naturalmente, non essendoci stata ancora la scissione di Sinistra Critica, si fa riferimento al nome di quella organizzazione. Come detto, materializzata nella persona di Turigliatto, la continuita di SA con SC è totale.
Buona lettura.



Il “rivoluzionario Turigliatto” e le 23 fiducie a Prodi
a proposito di disinformazione “democratica” de La Repubblica

La Repubblica di giovedì 9 agosto ha pubblicato una breve intervista col compagno Franco Turigliatto, dirigente di Sinistra Critica ed ex senatore all'epoca del governo Prodi, dal titolo «Torna il rivoluzionario Turigliatto: “Monti il peggiore, va fermato”».
Nel soprattitolo lo presenta come “l'uomo che fece cadere Prodi”.
A dire il vero il buon Turigliatto nega questa falsità, accusando politicamente della caduta di Prodi le manovre di Veltroni.
L'intervistatore, per replicare a questo diniego, afferma: «lei ha votato per anno contro tutte le fiducie a Prodi», e qui la risposta è ambigua.
Rimettiamo in ordine le cose.
Turigliatto non fece assolutamente cadere il governo Prodi. Fu Mastella a ritirargli la fiducia, anche in riferimento alle sue vicende personali-familiari-giudiziarie. Che dietro questo ci possano essere state anche le manovre di un Veltroni, desideroso di primeggiare, è del tutto plausibile.
Quanto alla fiducie, Turigliatto (e il suo compagno Cannavò che sedeva alla Camera) ne ha votate 23, fino alla vigilia della caduta del governo, con le elezioni anticipate.
Turigliatto non ha votato la fiducia del febbraio 2007 rispetto al rifinanziamento della missione in Afghanistan, cosa per cui aveva precedentemente votato. Lo fece solo dopo che il relatore D'Alema aveva respinto la sua richiesta di adoperarsi per una futura e generica “conferenza di pace”, cui Turigliatto condizionava il voto al proseguimento della guerra imperialista. Ma anche in quel caso il governo non andò in minoranza a causa di Turigliatto, il quale non votò contro, ma proprio per non mettere in questione l'esecutivo si limitò a non partecipare al voto. Furono due senatori a vita, che fino ad allora avevano sostenuto il governo, a votare contro: il padrone Pininfarina (che si sbagliò) e Belzebù Andreotti (che votò contro per dare un segnale al governo, per conto del Vaticano, rispetto alle aperture sulle unioni civili).
Da quel momento in poi il buon “rivoluzionario” riprese a votare tutte le fiducie a Prodi, a partire da quella di reinsediamento del suo governo, nell'aprile 2007, su basi dichiaratamente ancora più reazionarie di prima. Turigliatto era già stato espulso da Rifondazione Comunista per la reazione isterica dei poltronieri del partito, che temevano ogni possibile disturbo alla loro collaborazione di classe col centrosinistra. Ed infatti presentò nella dichiarazione parlamentare il suo voto favorevole al governo come espressione dell'“appoggio critico” non del PRC, ma di Sinistra Critica.
L'atteggiamento di collaborazione di classe di Turigliatto - e di Cannavò alla Camera dei deputati: non c'è una responsabilità individuale, ma quella di Sinistra Critica - arrivo fino al punto di votare, giusto alla fine del 2007 e quindi alla vigilia della caduta di Prodi, per una riduzione di imposte a banche ed assicurazioni di tre miliardi di euro annui (che si aggiunsero ai 7 miliardi di riduzione, sempre annua, ai capitalisti dell'industria che i due “anticapitalisti” di SC avevano votato in precedenza).
Altro che non votare fiducie per un anno.
Diciamo però che non riteniamo responsabile di questa totale falsità il moderatissimo ma onesto Turigliatto.
Come detto, la sua risposta a La Repubblica è ambigua, ma non sembra proprio confermare il suo presunto voto contrario alle fiducie «per un anno». Ecco le parole di Turigliatto: «Sulla guerra, sul precariato, sulle pensioni proponevano progetti di destra. Soffrivo. Prodi mi diceva di portare pazienza, prometteva, ma poi non succedeva mai niente».
Benché non ci sia il no chiaro all'ipotesi di un passaggio al voto negativo, pare evidente che Turigliatto si riferisca alla sua costante sofferenza nel votare le schifezze di destra del governo, che però, evidentemente uso ad obbedir tacendo, il nostro accettava, sperando nel conforto di... Romano Prodi (eccezionale!).
In realtà è probabile che, come spesso capita - anche a noi - il giornalista di Repubblica abbia fatto una chiacchierata telefonica con Turigliatto e poi l'abbia ricostruita come una vera intervista a domande e risposte, con una costruzione funzionale al suo argomento: Prodi è caduto per responsabilità della "sinistra radicale”.
In realtà questo è lo schema che tutta la stampa e gli altri organi di informazione e dibattito politico accreditano costantemente. Il messaggio che tutti questi veicolano alle masse è che il centrosinistra è stato vittima delle sue contraddizioni, in particolare delle costanti resistenze della “sinistra radicale”. Ora, chiunque si ricordi o ricostruisca con esattezza e onestà quel periodo sa che la verità è esattamente opposta. Il PRC e il PdCI accettarono tutto senza fiatare, cercando solo, agli occhi delle masse, di stravolgere la realtà (il famoso “Anche i ricchi piangono” in un manifesto di Rifondazione, riferendosi ad una finanziaria assolutamente a vantaggio di capitalisti e ricchi).
L'elenco fatto nella frase riportata dal sofferente Turigliatto, con l'aggiunta della già ricordata riduzione delle tasse a capitalisti e banchieri, è indicativo dei temi principali del controriformismo del centrosinistra “organico”.
Ma allora, perché il ricordato schema falsificatorio di tutti i media e le forze politiche? Perché, come dicevano sia Gramsci che Trotsky, la verità è rivoluzionaria. Presentare i fatti come sono andati significherebbe mettere in questione il teatrino della politica borghese. La destra può contare sul voto di piccolo-borghesi e anche lavoratori sciocchi e reazionari perché presenta il PD e il centrosinistra come postcomunisti innamorati delle tassazioni alla proprietà. Il PD e amici devono presentarsi come amici dei lavoratori, che cercano di creare una situazione di sacrifici “equi”, di fronte ad una realtà oggettiva immodificabile. Il PRC, SEL e PdCI devono far credere di aver tentato di difendere gli interessi dei lavoratori e dei movimenti (magari riconoscendo a parole che il governo Prodi è stato un errore, come ha detto recentemente l'ex ministro Ferrero, che sarebbe come se Al Capone avesse detto - e forse lo ha fatto - che c'era troppa violenza nella Chicago fine anni '20). Sinistra Critica (che cerca costantemente di nascondere di aver sostenuto il Prodi) deve presentarsi come “anticapitalista”.
Questo scenario fittizio, introiettato dalle masse e anche da molti dei suoi presentatori, serve al dominio del capitale. Se no apparirebbe ai lavoratori che la destra non ha ragione di esistere, il PD è un partito organicamente borghese, la sinistra “radicale”, al momento della prova (perché quando le condizioni non ci sono è facile fare demagogia e presentarsi come anticapitalisti) si subordina al capitale; moltissimi di loro cercherebbero, quindi, un'alternativa realmente anticapitalistica. Potendo trovarla, nel caso concreto, nel partito che giustamente unico può rivendicare di non aver mai tradito, cioè il nostro PCL (non pensiamo, ovviamente, che ad oggi ci sia un complotto specificamente contro il nostro piccolo partito, ma lo scopo della falsificazione della realtà è preventivo contro ogni sviluppo realmente antisistema).
Smascherare il teatrino dell'informazione borghese e dell'autorappresentazione bugiarda della sinistra opportunista è un compito fondamentale nella battaglia per la prospettiva rivoluzionaria.
Per cui, per tornare all'oggetto principale di questa nota, quando saremo chiamati, come militanti, aderenti o sostenitori del PCL, a chiarire ciò che ci differenzia da Sinistra Critica, dovremo ricordare che non si tratta delle pur importantissime e profondissime divergenze teoriche con il revisionismo di SC, e neppure le pur fondamentali differenze di prospettive e di metodo (obbiettivi minimi contro obbiettivi transitori, utopiche 'Europe sociali' contro l'Europa socialista dei lavoratori), ma in primo luogo del fatto che, in un momento topico come quello del governo Prodi, SC si è schierata contro gli interessi dei lavoratori, appoggiando (con un'ottica tutta politicista, alla faccia del movimentismo) le schifezze del centrosinistra, in particolare con 23 voti di fiducia.
Dimenticavamo. Mentre i Bertinotti, Ferrero e Vendola appoggiavano quanto sopra godendo per le poltrone ottenute, il buon Turigliatto (e anche il duro Cannavò? attendiamo lumi) lo faceva soffrendo. Poverino, e povera anche Sinistra "Critica".

FG
Partito Comunista dei Lavoratori

Lettera aperta ai compagni e alle compagne di Rifondazione Comunista


Car@ compagn@,
non abbandonare la lotta anticapitalista e il comunismo.
Se vuoi contattarci puoi rispondere a questo messaggio, andare su www.facebook.com/pclbologna
o venirci a trovare ogni lundì sera dale 21,15 in via Marini 1/b (traversa di via Repubblica a Bologna)

PER MANTENERE UNO SPAZIO POLITICO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, PER RILANCIARE UN PROGETTO COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO 

Cari compagni e care compagne,
il Comitato Nazionale del vostro partito (7/8 novembre 2015) ha di fatto avviato lo scioglimento del PRC nella cosiddetta costituente della “sinistra italiana” che partirà a gennaio.
Il referendum interno serve a dare convalida formale ad una scelta pubblica già compiuta e già annunciata da parte della Segreteria nazionale del PRC.
Che questa sia la scelta, quale che sia il giudizio di merito, non può essere motivo di dubbio. Il richiamo formale al PRC e al suo “rafforzamento” che la mozione della Segreteria contiene serve a indorare (e a nascondere) con parole auliche una scelta reale esattamente opposta: quella di dissolvere il vostro partito in un contenitore più ampio, diretto dai gruppi dirigenti di SEL e di ex bersaniani del PD.


IL PRC SI SCIOGLIE IN UNA GRANDE SEL (... UN PO' PIÙ “A DESTRA”) 

La vostra Segreteria afferma che il processo costituente della sinistra italiana si fonda sulla comune accettazione del “superamento del centrosinistra”. È falso. Com'è del tutto evidente, i gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani muovono in una direzione dichiaratamente opposta: quella di “ricostruire il centrosinistra”, oggi precluso dal renzismo. Per questo preservano centinaia di assessori in tutta Italia nelle giunte di centrosinistra, nonostante Renzi. Se alle prossime elezioni amministrative, nella maggioranza dei casi, sceglieranno di presentarsi autonomamente e in alternativa al PD è perché il renzismo ha rotto i vecchi equilibri del “caro centrosinistra”: per ricomporre il centrosinistra occorre dunque contrapporsi a Renzi, ricostruire un proprio pacchetto di consenso, e poi ribussare alle porte del PD. Sperando che ad aprire la porta torni, prima o poi, il caro vecchio Bersani. Non solo: proprio per rafforzare nella stessa composizione del nuovo soggetto la vocazione programmatica del centrosinistra, i gruppi dirigenti di Sinistra Italiana vogliono aprirlo a settori cattolico-ulivisti del tutto estranei ad ogni tradizione politica e culturale della sinistra. Il respingimento pubblico e sdegnato dell'appellativo giornalistico di “cosa rossa” cos'è se non il riflesso di tutto questo?

L'argomento consolatorio secondo cui il “processo costituente sarà dal basso” e “conteranno le nostre idee” capovolge la realtà dei fatti. Tutto il processo è decollato dall'“alto”. Prima dall'accordo tra i gruppi dirigenti delle diverse formazioni e soggetti, inclusa la vostra Segreteria. Poi dall'iniziativa pubblica e pubblicizzata dei gruppi dirigenti e parlamentari di SEL e degli ex bersaniani, che hanno attivato la presentazione in tutta Italia del nuovo soggetto, ben prima dell'assemblea di gennaio. Gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani che già godono in partenza della rendita di posizione di unica rappresentanza parlamentare della nuova formazione (assieme a Civati) da qui alle prossime elezioni politiche: con l'enorme peso condizionante che questo fatto esercita sulla costituzione materiale del nuovo soggetto, la sua presenza mediatica, la sua immagine pubblica, la selezione materiale delle sue rappresentanze sul territorio. La presenza diffusa all'atto di presentazione a Roma di Sinistra Italiana di settori di burocrazia CGIL, ARCI, vecchio associazionismo di estrazione PD, reso orfano del renzismo, prefigura gli equilibri interni reali alla nuova formazione, e la dinamica annunciata della sua evoluzione, più di mille rassicurazioni formali. La conclusione è semplice: la vostra Segreteria nazionale avvia lo scioglimento del PRC in un contenitore diretto (politicamente, culturalmente, organizzativamente) da un personale politico del tutto organico alla tradizione di governo del centrosinistra. Dunque alla gestione capitalistica della crisi. La difesa platonica e formale della “ragione comunista” da parte di Paolo Ferrero potrà forse valere sul terreno negoziale con gli altri soggetti della Costituente in ordine alla salvaguardia di singoli ruoli dirigenti. Ma nessuna riserva indiana per dirigenti nazionali del PRC potrà mascherare lo scioglimento e la liquidazione del partito entro un nuovo soggetto politico cui spetterà, non a caso, la piena sovranità delle scelte elettorali, politiche, istituzionali.


UN EPILOGO ANNUNCIATO

Non siamo meravigliati dal triste epilogo della parabola di Rifondazione. Quando rompemmo col PRC nel momento del suo ingresso nel governo Prodi, con tanto di ministri (Ferrero) e cariche istituzionali (Bertinotti), dicemmo apertamente che la compromissione di governo con la borghesia italiana, contro i lavoratori, avrebbe avviato la liquidazione del PRC. Perché ne minava alla radice le ragioni di classe, e al tempo stesso confermava nella forma più clamorosa l'assenza, nei suoi gruppi dirigenti, di ogni programma comunista.
Fummo facili profeti. Quanto è avvenuto nei dieci anni trascorsi ha confermato la previsione. Il ministro che entrò in quel governo, votando missioni di guerra, leggi di precarizzazione del lavoro, abbassamento delle tasse sui profitti (l'Ires dal 34% al 27%!), è oggi il segretario che scioglie il partito. Dopo averlo imboscato negli ultimi anni in tutte le possibili combinazioni di liste e soggetti “civici” (da Ingroia a Spinelli), privi di ogni riferimento di classe.
Negli ultimi mesi, in particolare, la linea della Segreteria del PRC sulla Grecia è stata davvero emblematica. Prima la giustificazione della capitolazione di Tsipras alla troika; poi il pubblico sostegno a Tsipras alle elezioni anticipate di settembre, quando chiedeva il mandato sul programma di austerità concordato; poi il plauso alla “vittoria” di Tsipras in compagnia delle Borse e dei governi capitalistici europei; infine la continuità dell'appoggio a Tsipras nel momento stesso in cui vara le politiche di lacrime e sangue contro i lavoratori subendo il primo sciopero generale di massa (12 novembre), hanno scandito di fatto, nel loro insieme, una confessione pubblica: il gruppo dirigente del PRC non ha altro orizzonte strategico reale che il governo “progressista” del capitalismo, in Italia e nel mondo. Per di più in un contesto storico in cui il riformismo ha esaurito il proprio spazio storico e dunque maschera la continuità delle controriforme (come proprio la Grecia insegna). Perché allora meravigliarsi dello scioglimento del partito in una costituente di sinistra dichiaratamente governista? Ogni confine reale, politico e programmatico, tra PRC e SEL si dissolve nell'adattamento comune al capitale.


UN PROGETTO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO 

Detto questo, non consideriamo lo scioglimento del PRC un fatto “che non ci riguarda”. Non solo perché i promotori del PCL militarono in Rifondazione Comunista per quindici anni, dando battaglia coerente su un programma anticapitalista in contrasto con i suoi gruppi dirigenti maggioritari (Bertinotti, Cossutta, Diliberto, Rizzo, Ferrero, Vendola). Ma anche e soprattutto perché sappiamo che nel vostro partito, al di là dei suoi gruppi dirigenti, hanno continuato a militare tanti compagni e compagne sinceramente comunisti, che hanno cercato nel PRC uno strumento non di resa ma di lotta, non di governo ma di rivoluzione. Compagni e compagne che abbiamo trovato e troviamo in tante battaglie comuni, nel movimento operaio, nei movimenti giovanili, nelle lotte ambientaliste, sul territorio, sempre contro il comune avversario di classe. E quindi anche contro le coalizioni di centrosinistra sposate da SEL (e anche in tanti casi dal PRC) o i governi di unità nazionale in cui stava Fassina.

Perché questo sbandamento e questa ulteriore dissoluzione si inserisce in un contesto di profonda involuzione della coscienza di classe. Le sconfitte dello scorso ventennio, i processi di scomposizione e ricomposizione determinati dalla crisi e dalle ristrutturazioni in corso, la compartecipazione alle tante giunte e governi di centrosinistra da parte delle principali organizzazioni del movimento operaio, hanno logorato in larghi settori di massa la capacità di riconoscere le differenze di classe, la consapevolezza dei propri interessi, la propria identità e forza collettiva. Hanno creato confusione, consumato immaginari e scomposto relazioni sociali.
Questa scelta di sfumare il proprio colore e il proprio anticapitalismo, seppur simbolico e retorico più che reale, all’interno di un indistinta sinistra italiana, pensiamo quindi che rilanci e rinforzi questo processo generale di involuzione della coscienza di classe.

A questi compagni e a queste compagne chiediamo allora di non ripiegare le bandiere. Di non piegarsi ad una scelta di liquidazione tra le braccia di Vendola e Fassina. Ma anche di non arrendersi allo sconforto e alla tentazione di abbandono come è avvenuto per decine di migliaia di compagni e compagne in tanti anni. 

Noi non siamo più un “gruppo”, ma un piccolo partito, l'unico oggi esistente in una dimensione realmente nazionale a sinistra del PRC. Un partito impegnato nella lotta di classe e nei movimenti di massa, che lavora per la più larga unità d'azione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, e che vuole introdurre in ogni lotta la prospettiva di un governo dei lavoratori: l'unica vera alternativa, quella rivoluzionaria.
Un partito che si presenta come tale alle elezioni, in contrapposizione ad ogni forma e logica di centrosinistra, e contro ogni camuffamento “civico”, per presentare il programma comunista alle più larghe masse, fuori da ogni logica minoritaria o rinunciataria.
Un partito schierato internazionalmente al fianco dei lavoratori, dei popoli oppressi dall'imperialismo, delle loro lotte di emancipazione e liberazione, a partire da una logica classista, estranea al campismo e allo stalinismo.
Un partito impegnato per la ricostruzione dell'Internazionale comunista e rivoluzionaria, al fianco delle nostre organizzazioni sorelle di Grecia, di Turchia, di Argentina, e di altri Stati e nazioni: per unire in ogni paese e sul piano mondiale tutti i sinceri comunisti che vogliono battersi per il potere dei lavoratori. Contro ogni illusione di “riforma sociale e democratica” dell'Unione Europea o della NATO.

Certo, la costruzione di un partito rivoluzionario è terribilmente complessa. Tanto più in un paese come il nostro segnato da un profondo arretramento del movimento operaio e della sua coscienza. È una costruzione controcorrente, in un campo di rovine prodotte da chi ha disperso grandi potenzialità e grandi occasioni. Ma rinunciare alla costruzione di questo partito, per accontentarsi della sola esperienza dei movimenti, renderebbe un pessimo servizio ai movimenti stessi, che tanto più in un quadro di frammentazione hanno bisogno di incrociare una prospettiva unificante. Come non ci si può semplicemente organizzare in una rete o un coordinamento diffuso di soggetti ed esperienze diverse, che si ritrovano su un minimo comun denominatore di resistenza o opposizione. Serve un partito. Tanto più oggi, di fronte ad una crisi profonda ed epocale del modo di produzione capitalista, che scuote il consenso e l’egemonia delle classi dominanti, che divarica condizioni sociali e disuguaglianza, che precipita le contraddizioni intercapitaliste e lo scontro di classe. Serve una direzione alternativa. Un soggetto organizzato e radicato che porti in ogni lotta il senso di un progetto generale, che sviluppi la coscienza, che contrasti la demoralizzazione o le illusioni. Per l'appunto, un vero partito comunista.

Questo è il nostro progetto ed il nostro tentativo. Vi proponiamo quindi di confrontarci con noi, sul passato e soprattutto sul presente della lotta di classe e del ruolo indispensabile del partito, per mantenere ed allargare nel nostro paese uno spazio politico classista e anticapitalista, per provare a costruire insieme il partito comunista e rivoluzionario.
Partito Comunista dei Lavoratori
Sez. di Bologna

Vaticano S.p.A.: populismo papalino e capitalismo ecclesiastico

L'arresto dell'”economo del Papa” Vallejo Balda da parte della Gendarmeria vaticana con l'accusa di “divulgazione di notizie riservate” rivela la lotta interna ai sacri palazzi di Oltretevere. L'intero commentario della stampa borghese parla dell'eroica lotta di “Santo Padre Francesco” per “ripulire il Vaticano” e della sorda resistenza degli ambienti vaticani a questa operazione di pulizia. Ma i conti non tornano, e anche la logica ha i suoi diritti.

Balda viene arrestato, su diretto mandato del Papa, per aver reso pubbliche informazioni riservate sulle sterminate proprietà vaticane, sulla continuità dei traffici IOR, sulla amministrazione truffaldina dei fondi pubblici e degli oboli privati da parte della macchina statale pontificia. L'arresto è scattato solo dopo la notizia della uscita imminente di due libri dedicati alle rivelazioni. Domanda: perché il Vaticano pretende che le informazioni sul suo stato patrimoniale e sulla sua gestione debbano restare “riservate”? Non era stata annunciata l'operazione trasparenza? Perché si ricorre addirittura all'arresto (con la minaccia di 8 anni di carcere) del responsabile, reale o presunto, delle rivelazioni? Perché si minaccia, come già in passato, di chiedere il blocco delle pubblicazioni editoriali annunciate?

La stampa borghese tace su questi interrogativi elementari. Ha paura anche solo a formularli. Si diffonde in pagine e pagine di retroscena, più o meno scandalistici, sulla figura di Balda e della sua collaboratrice, e sulle motivazioni interessate delle rivelazioni fatte (vendetta per una nomina mancata). Ma sul contenuto delle rivelazioni, e soprattutto sulla ragione delle pretese censorie del Vaticano, nessun commento. Anzi, là dove si balbetta qualcosa, si ripete a pappagallo, per paura di sbagliare, la velina ufficiale vaticana: «Un tentativo di infangare l'azione di rinnovamento condotta da Papa», ecc ecc. Amen. Ma come? Un'azione di “pulizia” e “rinnovamento morale” non dovrebbe denunciare i mercimoni affaristici della macchina vaticana anziché arrestare chi li rivela?


UN PAPA PERONISTA A CACCIA DI CONSENSO. IL POPULISMO ECCLESIASTICO COME LEVA DI POTERE 

La verità è più semplice, in una cornice più complicata e generale.

Papa Francesco, come ogni Papa, è il monarca assoluto di uno Stato teocratico che in tutto il mondo è parte organica del capitalismo, con possedimenti finanziari e immobiliari giganteschi. Come ogni stato capitalista, ma con una presenza mondiale ineguagliabile, lo Stato Vaticano è attraversato da guerre per bande e cordate in lotta per il potere. La novità dell'attuale Papa Bergoglio - non a caso di estrazione peronista - è che egli tenta di coprire la realtà dello Stato Vaticano con la promozione di un'immagine pubblica misericordiosa, attenta alla condizione dei poveri, meno dottrinaria, più comunicativa nei confronti del senso comune popolare. Siamo in presenza di un Papa “populista”, mirato alla conquista del consenso pubblico, che fa leva sul consenso pubblico per accrescere il proprio potere assoluto nella Chiesa: modificando a proprio vantaggio i rapporti di forza con la Curia romana, con la Conferenza Episcopale, con la Segreteria di Stato vaticana, e più in generale con l'insieme delle strutture tradizionali dirette e indirette dell'istituzione ecclesiastica. Il braccio di ferro sotterraneo nel recente Sinodo è la cartina di tornasole della lotta in corso.

Un Papa dunque più “democratico”, più rispettoso della laicità dello Stato? Al contrario. Il Papa populista usa la propria ritrovata credibilità pubblica per allargare oltre misura il raggio d'intervento della propria Chiesa.
Ricerca e ottiene pubblica udienza presso le camere congiunte del Parlamento italiano, presso il Parlamento europeo, presso lo stesso Congresso americano, per avere su di sé i riflettori del mondo, carpire nuovi consensi e dunque maggiore forza politica.
Si fa diretto protagonista sulla scena internazionale intervenendo come intermediario del negoziato tra USA e Cuba per la restaurazione del capitalismo a Cuba; e persino del negoziato tra Stato colombiano e FARC per la loro integrazione nel capitalismo colombiano.
Promuove una politica di “pacificazione” ecumenica con le altre chiese e autorità religiose (ebraiche, greche ortodosse, islamiche...) per allargare la propria influenza presso le basi di massa delle altre fedi, e dunque estendere il proprio peso politico internazionale.
Infine invade Roma con un Giubileo di venti milioni annunciati di fedeli, pretendendo dallo Stato e dal Comune di Roma una rapida funzione di servizio, pagata con risorse pubbliche: anche per questo scarica il sindaco delle nozze gay, a favore di un commissario prefettizio in grado di amministrare la grande torta del nuovo business capitolino e di lustrare a dovere l'immagine pubblica del Papa nell'anno della Misericordia. Nel frattempo attiva tutti i canali di interlocuzione possibili col mondo laico, dalle telefonate con Scalfari sino all'incredibile lettera di riconoscimento... al consigliere romano Alzetta (detto Tarzan): cercando dal primo lo sdoganamento della cultura laica, e dal secondo forse un'attenzione di riguardo alle proprietà vaticane nella gestione dell'occupazione delle case a Roma.
Un Papa, dunque, “totale”, pervasivo di ogni campo a 360 gradi, proiettato quotidianamente nella sfera temporale come mai in precedenza, determinato a risollevare la forza della Chiesa ad ogni latitudine istituzionale, dopo anni di crisi e decadenza della sua pubblica credibilità (corruzione, pedofilia, crimini dello IOR...).


LA REALTÀ DEL CAPITALISMO ECCLESIASTICO CHE BERGOGLIO VORREBBE COPRIRE 

Ecco allora il perché della reazione poliziesca del Pontefice “misericordioso” alle rivelazioni di un prelato infedele. Perché proprio quelle rivelazioni mostrano lo scarto abnorme tra l'immagine pauperistica della Chiesa che il Papa populista vuole accreditare, e la intatta miseria morale della Chiesa reale, quale parte inseparabile del capitalismo italiano e mondiale. La Chiesa che detiene quasi 5 miliardi in sole proprietà immobiliari, spesso facendosele valutare “un euro” per evadere il fisco. Che fa 60 milioni ogni anno vendendo benzina, sigarette, vestiti pregiati a basso costo, attraverso 41.000 tessere a raccomandati vip e amici degli amici nella sola città di Roma. Che imbosca i 380 milioni annui dell'Obolo di San Pietro, destinandoli a ben altri usi dalla “carità evangelica”. Che truffa sull'8 per mille con la complicità dello Stato italiano, come confessa la stessa Corte dei Conti. Che, contro la sbandierata moralizzazione, continua a proteggere attraverso lo IOR i conti bancari di grandi costruttori coinvolti nella ristrutturazione a prezzi stracciati di proprietà vaticane. Per citare solamente alcune anticipazioni pubbliche delle rivelazioni annunciate.
Qualcuno si può stupire, se il populista Papa Francesco si sente minacciato dalla verità e preferisce arrestarla? Il solo aspetto comico è che gli autori dei libri incriminati invece di rivendicare le proprie rivelazioni come demistificazione del nuovo corso papalino e denunciare le minacce ricevute, si affrettano a presentare il proprio lavoro “come un aiuto fornito al Santo Padre” (Nuzzi). La potenza del nuovo Pontefice strappa reverenze insospettabili.

La sinistra riformista italiana, anch'essa succube del nuovo Pontificato (perché succube dell'ordine capitalista) si chiude non a caso in un ermetico silenzio di fronte alle nuove rivelazioni. Vendola e Ferrero non si sono forse sperticati per due anni nel lodare Papa Francesco come campione della lotta al “liberismo” e nuova autorità morale di riferimento, coprendo su tutta la linea il nuovo corso populista del papato? La “nuova cosa rossa” in gestazione cerca la benedizione del Papa. Avallando le sue mistificazioni tra i lavoratori.

Il PCL, in quanto partito di classe e anticapitalista, rilancerà una forte campagna pubblica anticlericale ed antipapalina, in occasione del Giubileo e delle elezioni comunali a Roma. E chiama tutte le organizzazioni del movimento operaio e tutte le associazioni coerentemente laiche ad una azione comune di controinformazione e denuncia su questo terreno elementare.
Partito Comunista dei Lavoratori