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La squallida campagna sulla Sea Watch

Sulla vicenda di 42 migranti sequestrati in mare per quindici giorni dal ministro degli Interni che ne vieta lo sbarco si sta consumando una squallida campagna di opinione.
Il ministro Matteo Salvini grida alla violazione della Legge e del Diritto e invoca l'arresto per l'equipaggio della Sea Watch. Il liberale Corriere della Sera, che pur non è di impostazione governativa, preferisce associarsi alla denuncia di una «manifesta illegalità». Persino il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, a lungo venerato dalla sinistra riformista, ha riscoperto per l'occasione la propria vocazione giustizialista e manettara, elencando le violazioni di legge da parte della nave, e fornendo al ministro degli Interni un'insospettabile copertura. Per questo campionario di borghesi reazionari o “democratici” la legge diventa il totem cui subordinare ogni principio di giustizia e umanità.

Una vergogna, se solo si parte da dati di fatto incontestabili. I 42 migranti salvati dalla Sea Watch sono fuggiti dalla tortura delle galere libiche, le stesse galere di fatto finanziate dai governi italiani, prima da Minniti poi da Salvini. Nessuno può smentire questa verità. Il governo al-Sarraj, protetto dall'Italia, amministra una parte dei centri di detenzione libici, le milizie private ne gestiscono un'altra parte. La Guardia Costiera libica è legata alle milizie e cogestisce i suoi affari. Le milizie si fanno pagare dalle famiglie dei migranti esibendo i segni delle torture loro inflitte come arma di ricatto. Dopo il pagamento, i migranti partono e la guardia costiera, in cambio di mazzette, punta a riprenderli e a riportarli in galera, dove ricomincia il giro infernale. Altro giro, altre torture, altri soldi. Per tre, quattro, cinque volte. Alcuni migranti della Sea Watch erano partiti più e più volte ripresi dalle stesse canaglie. I “trafficanti di esseri umani” che Salvini denuncia sono gli stessi che lui finanzia ed equipaggia, con tanto di motovedette.

“La Sea Watch ha violato la legge!”. Vero. Ha violato un Decreto sicurezza bis che punta a intimidire e proibire ogni salvataggio in mare che sia sottratto alla Guardia Costiera Libica. Un Decreto sicurezza bis che assegna di fatto al governo libico e ai trafficanti con cui collabora il potere della vita e della morte su decine di migliaia di migranti. Basta che non arrivino sulle nostre coste e Salvini possa lucrare sulla “fine dei flussi”. Ma la riduzione degli arrivi è solo l'altra faccia dell'aumento dei torturati. E dalla tortura si cerca sempre di fuggire, come a volte riescono a fare quelli che scampano alla guardia costiera e ai suoi ripescaggi. La Sea Watch ha semplicemente salvato alcuni di questi. Ha potuto farlo solo addentrandosi nella zona di spettanza libica e solo violando la legge Salvini. Per questo la capitana e il suo equipaggio vanno difesi dalle grinfie del ministro dell'Interno, dei suoi prefetti, di eventuali magistrati compiacenti. E i migranti della nave vanno sbarcati e assistiti, tutti e subito.

Ma in questa vicenda c'è anche altro. L'Unione Europea ha dimostrato una volta di più il proprio volto. Ogni governo gioca a scaricare sui propri alleati il fardello degli immigrati per non perdere consenso interno, restare in sella e poter continuare a rapinare i propri salariati. Lo spettro degli immigrati è infatti agitato non solo dalla canea reazionaria di Salvini e dei suoi amici di cordata, ma anche dai campioni liberali ed europeisti, Macron in testa. Gli accordi di Dublino da tutti firmati, Italia inclusa, non è scandaloso solo perché “grava l'Italia dell'onere dell'accoglienza”, ma perché nega diritti e libertà di migrare in Europa a chi fugge da guerre, fame, torture. Peraltro la stessa Unione Europea che rifiuta la ripartizione dei rifugiati e canali umanitari legali per l'immigrazione, copre il governo italiano e la sua Legge: la sentenza della Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo che ha respinto il ricorso della Sea Watch ha solo onorato il principio di complicità con Salvini, in una logica di collaborazione tra briganti. I...“diritti dell'Uomo” se ne faranno una ragione.

La vicenda della Sea Watch è solo la punta dell'iceberg.
Sono il capitalismo e l'imperialismo i veri responsabili delle migrazioni. Sono le politiche di guerra delle “democrazie”. Le desertificazioni prodotte da saccheggi ambientali e cambi climatici. La rapina – quella sì assolutamente “legale” – che Stati Uniti, Cina, Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna, Russia stanno promuovendo in tutto il continente africano, sgomitando tra loro, per procurarsi litio e cobalto, le materie prime indispensabili per le batterie elettriche e le tecnologie informatiche, il nuovo affare del secolo. Molti milioni di africani stanno migrando all'interno dell'Africa stessa, di paese in paese, costretti dalla privazione delle terre e dalla fame. Chi arriva nelle galere libiche, e spera di arrivare in Europa, è solo una goccia nel mare di questa enorme migrazione.

Per questo la risposta alla tragedia dell'immigrazione non può fermarsi alla rivendicazione dell'accoglienza. Accoglienza e apertura dei porti dev'essere sostenuta senza riserve e ambiguità, a maggior ragione senza ammiccamenti obliqui e mascherati al sovranismo reazionario. Ma la battaglia democratica va ricondotta ad una prospettiva anticapitalista e antimperialista, una prospettiva di liberazione senza frontiere, l'unica che possa recidere il male alla radice.

Partito Comunista dei Lavoratori

Italia e Francia si scontrano in Libia

Gli avvenimenti in Libia sono a un passaggio cruciale. Lo scontro in atto non è semplicemente tra Haftar e al-Sarraj. È uno scontro indiretto tra imperialismi, la Francia da un lato e l'Italia dall'altro.

Il generale Haftar ha da sempre un rapporto privilegiato con Parigi. L'imperialismo francese ha sfoggiato sulla vicenda libica il massimo dell'ipocrisia. Formalmente ha sostenuto e sostiene il governo di al-Sarraj assieme alla cosiddetta comunità internazionale. Nei fatti ha lavorato al fianco del governo di Tobruk guidato da Haftar, con ogni genere di aiuti sottobanco, aiuti militari inclusi. In primo luogo, la Total francese ha il grosso dei propri interessi in Cirenaica. La vittoria della Cirenaica sulla Tripolitania sarebbe la vittoria della Total su l'ENI. In secondo luogo, la Francia di Macron ambisce a rilanciare la tradizionale grandeur dell'imperialismo francese in Africa. Vuole difendere le proprie posizioni para coloniali nel Sahel, entrare nella partita della spartizione siriana, consolidare un asse con l'Egitto di al-Sisi, evitare di perdere il proprio primato in Algeria, attraversata dalla sollevazione popolare. Il sostegno ad Haftar è parte di un disegno più vasto.

E l'Italia? L'imperialismo di casa nostra sostiene al-Serraj perché l'ENI ha in Tripolitania il cuore dei propri interessi. Il governo Conte ha provato a intestarsi la regia della transizione libica vantando l'investitura dell'imperialismo USA e di Trump in persona, ma ha sbagliato i suoi conti. La Libia non rientra nel perimetro strategico prioritario degli USA, che non sembrano avere intenzione di spalleggiare più di tanto il governo di Tripoli. E i rapporti di forza politico-militari sul terreno volgono da tempo a vantaggio di Haftar. L'unica gara che l'Italia sta vincendo nel braccio di ferro con la Francia è quella dell'ipocrisia. Lo stesso governo Salvini che demonizza l'invasione islamica a difesa della cristianità e del Presepe sostiene in Libia il governo della Fratellanza Musulmana. Perché questo è il governo al-Serraj. Si vede che i profitti dell'ENI non hanno confessione religiosa, e vengono prima di ogni altra considerazione.

Vedremo gli sviluppi. Haftar ha di fatto messo le mani sul grosso dei giacimenti petroliferi della Libia, col plauso della Total. Ma la compagnia petrolifera nazionale (National Oil Corporation) che vende i barili e incassa i proventi ha il suo quartiere generale a Tripoli. Conquistare Tripoli significa conquistare il controllo della rendita petrolifera libica e dunque il comando politico del Paese. Questa è la ragione dell'avanzata di Haftar. Il governo Salvini-Di Maio sembra dunque avere la peggio nella guerra per procura con Macron. Di certo i lavoratori italiani e francesi non hanno nulla da spartire con gli interessi dei propri Stati briganti, con gli interessi dell'ENI o della Total, né hanno qualcosa da spartire le decine di migliaia di immigrati segregati nei lager della Libia da aguzzini finanziati da Italia e UE.
Partito Comunista dei Lavoratori

Nel pantano libico il rimescolamento delle influenze imperialistiche

Il generale Haftar, uomo forte della Libia, sbaraglia equilibri politici e militari e provoca la crisi del governo di Al-Sarraj

18 Agosto 2017
Dal 2014 ad oggi un continuo rimescolamento delle carte tra milizie, tribù e interventi imperialistici. Oggi il generale Haftar, sostenuto da Egitto, EAU, Russia e Francia sbaraglia tutte le forze in campo, costruisce il proprio ruolo di bonaparte libico, e mette in seria crisi la pedina dell'Italia, degli USA e dell'ONU: il Governo di Accordo Nazionale di Al-Sarraj, sempre più isolato, debole e privo di reale sostegno interno. L'Italia, incapace di gestire i propri interessi imperialistici, si lascia sorpassare dal governo francese nel caos libico. Un caos in cui l'unico reale sconfitto risulterà essere il debole proletariato libico
Nel giardino di casa dell'imperialismo d'Italia, in seguito alla caduta di Gheddafi, si è prodotto il più totale caos di milizie, clan e potentati che ora stanno riordinandosi attorno a figure e realtà capaci di polarizzare i diversi interessi. Tutte coinvolte più o meno entro il disegno di ricerca di un nuovo equilibrio di poteri tra soggetti locali e proiezioni imperialistiche internazionali, equilibrio che non esclude la cancellazione o la sopraffazione di alcune parti in conflitto.
Le recenti vicende, legate alla questione migratoria, vedono un profondo rimescolamento degli equilibri, un intervento imperialistico tanto prepotente quanto spiazzante della Francia sotto la guida del nuovo Bonaparte Macron e la crisi della strategia in braghe di tela dell'imperialismo italiano.


La disgregazione del potere politico e la conflittualità tribale in Libia

Gli attori principali delle attuali dinamiche sono vari.
Innanzitutto, il debole e fantasmatico Governo di Accordo Nazionale (GNA) guidato da Fayez Al-Sarraj, insediato a Tripoli dalla prima metà del 2016. Un governo nato senza supporto reale in Libia, vittima costante della guerra settaria di milizie di varia provenienza, immediatamente delegittimato dal parlamento di Tobruk, dal generale Haftar, guida della campagna militare contro gli islamisti e diretta emanazione degli interessi dell'Egitto nella lottizzazione della Libia, e dal parlamento islamista nato sulla campagna di Alba Libica. Tale governo, fin dal principio, ottenne il sostegno dell'ONU e dell'Unione Europea con la benedizione di Obama, Renzi e Hollande, ma nel lungo cammino che porta ad oggi tali sponde si dimostrano non solo non-sufficienti, ma nemmeno così sicure.
È un dato di fatto che il GNA di Sarraj, sostanzialmente, sia il prodotto della necessità delle borghesie libiche legate al petrolio e alla finanza e delle principali aziende petrolifere imperialistiche (Turkish Petroleum Corporation, ENI, Tatneft Company, Total E & P, Statoil, Deutsche Erdoel AG, British Petroleum, Sipex, Medco International), tutte alla ricerca di un minimo di stabilità per riprendere a intessere interessi e commercio. Non per nulla il governo è percepito internamente come tale nonostante la copertura propagandistica dell'unità contro l'ISIS, ma risulta comunque un governo che al momento detiene il controllo sulla NOC (National Oil Corporation), sulla Banca centrale libica e sull'Autorità libica per gli investimenti (LIA, Fondo sovrano libico).
Tale governo si trova subito a fare i conti con i potentati reali libici, prodotti di differenti interessi e di differenti gruppi, clan e famiglie.
Innanzitutto un soggetto che all'attuale si pone sempre più come marginale, ma comunque centrale nei conflitti settari: il governo islamista di Khalifa Ghwell e le milizie a lui fedeli, ciò che rimane del “Nuovo Congresso Nazionale Generale”. Esso fu frutto dell'operazione Alba Libica delle milizie islamiste in opposizione al Congresso Nazionale Generale di Tobruk, nato dalle elezioni del 2014 e sostenitore dell'allora governo Al-Thani, al tempo appoggiato dalle potenze internazionali.
Oggi Ghwell controlla parte della capitale della Libia (Tripoli) e continua a contrapporsi al governo di Al-Sarraj ostinatamente.
Tra i soggetti in campo capaci di sbaragliare completamente le carte in tavola c'è, soprattutto, il generale Khalifa Haftar, il vero uomo forte della Libia, da sempre presente nello scenario delle svariate guerre civili del paese, colpito dalla repressione dell'allora “Decano di tutti i governanti arabi”, il colonnello Mu'ammar Gheddafi. Egli è divenuto il simbolo di un potere militare, tribale e carismatico che ha saputo porsi come ago della bilancia di numerosi eventi cruciali libici.
All'attuale si presenta come nuovo soggetto forte su cui in molti puntano e che fin da principio rapprentava il cavallo dell'Egitto di Al-Sisi - interessato a colpire le emanazioni della Fratellanza Musulmana - e di alcune monarchie saudite.


La seconda guerra civile libica come processo genealogico

Haftar nel 2014 lanciò la campagna “Operazione Dignità” contro i gruppi islamisti che si stavano imponendo nello scenario libico e, in particolare nel contesto di Bengasi, contro il gruppo sunnita-jihadista Ansar-al-Sharia, responsabile di un attacco al consolato USA che provocò la morte dell'ambasciatore americano Stevens. Con questa operazione e l'appoggio delle milizie di Zintan provocò la crisi del governo di Al-Thani, portò a nuove elezioni per il Congresso Generale Nazionale, costringendo entrambi a rifugiarsi a Tobruk, in seguito anche all'attacco a Tripoli da parte delle forze islamiste di Alba Libica (milizie della capitale e di Misurata).
Da Tobruk Al-Thani e il CNG optarono per la protezione e l'appoggio di Haftar e del suo esercito “irregolare”, evidenziando già al tempo come il generale, che rappresentava interessi di potenza di soggetti diversi dal tradizionale imperialismo europeo (Egitto, Emirati Arabi Uniti etc), potesse essere una pedina importante della ricostruzione libica.
La guerra continuò con l'irruzione nella scena delle milizie di Derna, che si affiliarono all'ISIS, inserendosi nella lotta tra gli islamisti di Misurata e Tripoli e le forze raccolte attorno ad Haftar, il parlamento di Tobruk e Al-Thani. Il tutto, come è immaginabile, si giocava nello scontro per il controllo dei porti, dei gangli infrastrutturali principali e , soprattutto, dei pozzi e delle strutture legate al petrolio e al gas.
Qui si inserirono gli interventi delle compagnie petrolifere interessate a cercare un minimo di stabilità e di pace armata che garantisse l'accesso alle enormi riserve petrolifere e di gas della Libia. Infatti la NOC, guidata da Mustafa Sanallah, da quel momento condusse colloqui con tutte le aziende petrolifere imperialistiche – ENI in primis - per cercare il giusto appoggio alla proposta di un Governo di Accordo Nazionale, capitanato dal “burattino” Al-Sarraj. Il principale problema era indirizzare il “Nuovo Congresso Generale Nazionale” (N-CGN) di Tripoli di Alba Libica e il Congresso Generale Nazionale (CGN) di Tobruk a riconoscerlo e unirsi sotto la sua guida. L'immediata mossa della borghesia petrolifera fu garantire il pieno sostegno della Petroleum Facilities Guard, una milizia di 27.000 uomini al servizio della protezione delle strutture petrolifere, dichiarato pubblicamente dal suo presidente non appena Al-Sarraj arrivò a Tripoli. E siamo già nel 2016.
Nonostante questo né il governo islamista di Ghwenn, né il presidente del N-CGN di Tripoli Bushameinn, né il CGN di Tobruk appoggiarono il nuovo governo. Al di là degli interessi delle dirigenze, però, il Congresso di Tobruk sottoscrisse gli accordi di pace che portarono alla proposta di un governo di unità nazionale, ad esclusione della parte inerente la sottomissione delle forze armate e delle milizie ai ministeri del Governo di Accordo Nazionale, a difesa dell'autonomia e del potere del proprio “condottiero” Haftar. Il “Nuovo Congresso Generale Nazionale” (GAN)di Tripoli, invece, si sciolse per sostenere Al-Sarraj mentre le milizie della Libia Occidentale, prima a sostegno del CGN di Tobruk, si schierarono con il nuovo GAN.
Così le parti geografiche si rovesciano. Ora a Tripoli si trova il governo sostenuto dalla maggior parte degli interessi imperialistici, commerciali e politici dell'occidente, sotto la guida di Al Sarraj e con il controllo dell'Occidente della Libia; mentre a Tobruk e nell'Est della Libia Haftar, la Camera dei Rappresentanti (ex CGN) e il governo di Tobruk portano avanti la loro competizione al GAN.
Qui si crea lo scompiglio: il generale Haftar riesce a ottenere l'appoggio militare celato della Francia sfruttando la propria campagna contro ISIS e islamisti; mantiene l'appoggio dell'Egitto e vede l'apertura dei rapporti con la Russia, sempre più interessata alla campagna internazionale contro l'ISIS per emulare, negli strumenti, l'imperialismo USA.
Questa impasse si protrae fino a metà del 2016, quando, vedendo come i poteri internazionali ricreavano determinati rapporti economici e commerciali a favore del governo di Al-Sarraj – tra cui l'ENI, che trovando un giacimento al largo dell'Egitto, comunica la sua aspirazione ad una relazione commerciale che coinvolga Egitto, Israele, Cipro e una Libia pacificata, affidando un 40% del controllo ad una compagnia composta da Edison (Italia), Total (Francia) e British Petroleum (Inghilterra) - anche Emirati Arabi Uniti ed Egitto puntano ad un avvicinamento tra Parlamento di Tripoli e Parlamento di Tobruk con il coinvolgimento della Francia.
In questo scenario l'attacco di Haftar a Bengasi contro gli islamisti qaedisti, scricchiola e rischia l'isolamento a causa dell'esposizione militare degli USA in supporto al GAN di Al-Sarraj nella ripresa di Sirte contro l'ISIS, della non condanna dell'Egitto a quell'atto, del “possibile” ritiro delle truppe francesi da Bengasi con la sola Russia al fianco.
Qui però arriva il colpo di scena di Haftar che nel settembre 2016 si lancia alla presa dei porti petroliferi (Ras Lanuf, Sidra, Brega, Zueitina) contro la Petroleum Facilities Guard fedele al governo di Al-Sarraj, utilizzando l'espediente dell'attacco alle milizie islamiste (Brigate di Difesa di Bengasi, le stesse contro cui sta portando avanti la sua Operazione Dignità) che avevano preso il controllo di una parte di quelle cittadelle strategiche. Questa operazione scompiglia le carte e permette il “ricatto pretrolifero” (come viene definito dall'agenzia di stampa Nena-News) di Haftar al Governo di Accordo Nazionale, che va in escandescenza. I suoi esponenti si susseguono nel condannare l'attacco e nel definirsi unici legittimati a commerciare petrolio e gas libici. Eppure Haftar e il governo di Tobruk pongono immediatamente sotto il controllo della NOC di Sanallah i terminal dei porti, aprendo rapidamente una relazione proficua per la principale compagnia petrolifera nazionale e per gli interessi dei capitali stranieri.
Ma qui Haftar si fa più scaltro. Non punta più alla destituzione di Al-Sarraj tout court e a dominare il Parlamento di Tripoli, ma ad imporre un potere contrattuale e ricattatorio nei confronti del GNA, per affermarsi come uomo forte della Libia, unico in grado di colpire islamisti dell'ISIS e qaedisti, conquistare posizioni del GNA rendendole più sicure, e difendersi dai continui attacchi delle Brigate islamiste, guadagnando un controllo stabile su tutta la Cirenaica.
Al contrario, il governo di Al-Sarraj fatica a difendere la sua sovranità: il Fezzan rimane fuori controllo, parti della capitale sono in mano a milizie contrapposte, gli attentati islamisti continuano a imperversare, le rese di conti tra milizie rendono impossibile la legittimazione del GAN.
Tra la fine del 2016 e l'inizio del 2017, Khalifa Ghwell tenta un colpo di mano a Tripoli occupando militarmente i ministeri e imponendo la fuga al governo di al-Sarraj nella base navale di Abu Seta.


Lo scenario odierno: Haftar, nuovo Napoleone Libico

In questo quadro diviene evidente come Haftar diventi sempre più la pedina vincente degli interessi dell'imperialismo francese in Cirenaica e della proiezione di potenza della Russia nelle risorse energetiche del Mediterraneo. Il generale, infatti, pare abbia siglato un accordo con la Russia: armi in cambio di una base militare in Cirenaica.
Ma, a questo punto, mentre la scommessa di Francia, Egitto e Russia sembra avere la meglio sui qaedisti di Bengasi, mantenere il controllo e la stabilità dei porti di Ras Lanuf e Sidra e rappresentare un elemento di stabilità per tutta la Cirenaica, quella dell'Italia e dell'Unione Europea vacilla e si mostra impotente.
Il governo russo, comunque, non è particolarmente noto per le proprie posizioni “esclusivamente bi-laterali”, per cui di fronte al primo slancio verso Haftar, ridimensiona e relativizza il concreto supporto militare al governo di Tobruk, e apre a confronti anche con Al-Sarraj: lo scopo è arrivare alla riconciliazione, ma ponendo in chiaro il ruolo diretto delle forze armate russe e della scommessa su Haftar.
Nel marzo 2017 Al-Sarraj riceve l'ennesimo colpo. Mentre a Tripoli si susseguivano manifestazioni di piazza contro le milizie islamiste, sparatorie tra milizie rivali e attentati terroristici, le Brigate al-Nawasi, fino ad allora sostenitrici del GNA, occupano la base di Abu Seta, dove si trovava il governo di Al-Sarraj. L'obiettivo è quello di frenare le azioni e le proteste anti-islamiste nei territori controllati dal governo e preservare il monopolio della repressione delle stesse, gestita direttamente dai miliziani di Misurata, per riaffermare il proprio ruolo nel controllo del territorio soprattutto in alcune zone di Tripoli. Tale azione dimostra ulteriormente il ricatto sotto cui è incastrato il governo debole della diplomazia europea ed italiana.
Non per nulla a maggio 2017 si annuncia l'accordo tra Haftar e Al-Sarraj, sponsorizzato da Emirati Arabi Uniti ed Egitto, e con l'avvallo dell'Italia da parte del duo Gentiloni-Eni e degli Stati Uniti di Trump. Tale arrangiamento prevede la costruzione di un unico esercito regolare alle dipendenze del governo di Accordo Nazionale, comandato dall'uomo forte del momento, Haftar. Contemporaneamente, però, Haftar rimette in mostra il proprio peso, impossessandosi di Derna grazie al supporto aereo dell'areonautica egiziana, scatenando, con questa violazione di sovranità, le ire del governo di Al-Sarraj, impotente di fronte alla genialità del rivale.
Unico elemento di riscatto per la pedina dell'imperialismo tricolore disorientato: le milizie fedeli al GAN riescono a far ritirare le truppe di Ghwell a Misurata, provando così a recuperare in parte il controllo della capitale, allontanando la principale minaccia e potere parallelo a Tripoli, capace di fomentare le componenti più islamiste delle tribù a sostegno del GAN.
Tutta l'operazione mostra la sua tela a luglio, lo scorso mese, quando il Generale Khalifa Haftar denuncia, attraverso gli organi del suo Esercito Nazionale Libico, le ingerenze e il supporto fornito agli islamisti jihadisti di Qatar, Sudan e Turchia. Questo viene immediatamente accompagnato dall'interpellanza dell'Egitto in sede ONU in cui si denunciano queste relazioni, legittimando pienamente le operazioni congiunte egiziane e di Tobruk contro gli islamisti in Cirenaica. Il generale con questa comunicazione d'impatto, ribadendo il proprio ruolo egemonico in campo militare, richiama tutte le milizie tribali e i libici a consegnare le armi e unirsi alle forze legittime dell'Esercito Nazionale Libico, per risolvere definitivamente la situazione nel paese. Haftar si pone sempre più come unica personalità detentrice del potere militare e tribale di Libia, il nuovo uomo capace di portare ordine e stabilità contro gli eccessi delle milizie, le aspirazioni di crescita degli islamisti, la minaccia dell'ISIS e le lotte settarie.


Il sorpasso francese sulla strategia dilettante italiana attraverso il Generale Haftar

Qui si consuma l'operazione di rovesciamento degli equilibri attraverso l'intervento del Bonaparte francese, Macròn, e del Napoleone libico, Haftar. Mentre l'Italia era impegnata dalla preparazione di un incontro sull'immigrazione con altri governi europei e africani, il Presidente francese si rende protagonista di un accordo, siglato il 25 luglio sotto l'egida delle Nazioni Unite, tramite il nuovo inviato Salame, tra Haftar stesso e Al-Sarraj. Tale accordo sancisce internazionalmente l'affermazione di Haftar, con l'appoggio aperto di Francia, Egitto, Russia e Cina e in contrappeso alla debolezza di Al-Sarraj. Il tutto con la totale messa in disparte dell'imperialismo italiano, neppure informato dell'incontro anche se ringraziato ufficialmente da Macròn per il lavoro svolto fino a qui, parole che sottintendono un invito a lasciare spazio a chi gioca sul serio e a chi investe sui cavalli vincenti con una strategia di cornice dotata di lungimiranza.
L'armata brancaleone del Partito Democratico e dell'imperialismo italiano prende lo smacco più grande, tagliato fuori dai giochi nel proprio giardino di casa, neppure invitato al consesso internazionale che sanciva il rilancio in pompa magna dell'intervento francese e della affermazione degli interessi capitalistici e militari dell'Eliseo come della Russia.
Dal governo italiano partono così disperati tentativi di riconfermare un ruolo di attore regionale nevralgico, cercando di venire incontro alla necessità di una politica interna in grado di concorrere con destra leghista e Movimento 5 Stelle nel cavalcare il populismo razzista e reazionario, e a quella di recuperare un'immagine internazionale, attraverso un intervento diretto per venire in soccorso dello sgangherato alleato in decadenza Al-Sarraj. In poche parole si cerca di mettersi il fez in testa in Italia e di mettere in mostra un teatrino imperialistico a dir poco farsesco.
Un gioco pericoloso che si consuma sulla pelle di migranti e profughi. Il primo passo del governo, subito dopo il vertice con Macròn, è quello di chiamare a rapporto in Italia al-Sarraj, il quale, cercando nuovo supporto da chiunque possa fornirgli un appiglio, finisce per richiedere il supporto italiano contro i trafficanti. Dopo che già nel 2016 il governo italiano inviò, in termini più propagandistici che di reale supporto militare, 300 uomini (di cui 100 militari) attorno ad un campo medico militare a Misurata per fornire supporto contro l'ISIS; dopo che a giugno 2017 il ministro Alfano ha riconfermato, ad Agrigento, gli accordi economici italo-libici per riaffermare il ruolo dei capitali italiani nella ricostruzione; ora si tenta l'approccio dell'ex membro del PCI, Minniti. Quest'ultimo, in un incontro a Tunisi con il governo di Tripoli, ha cercato di avviare trattative per la costruzione di un area di “Ricerca e Salvataggio” (Search and Rescue, i marines de'noantri) in cui le forze di polizia italiane possano collaborare con la Guardia Costriera libica inviando proprie navi nel contrasto all'immigrazione. Il governo italiano cerca di superare a destra i neofascisti di Generazione Identitaria e dell'operazione Defend Europe, e combina il pasticcio più grande, colpendo definitivamente la credibilità del proprio uomo in Libia.
Al-Sarraj viene immediatamente attaccato da Haftar, che contemporaneamente condanna anche l'ingerenza “coloniale” italiana: la sovranità della Libia non si tocca, soprattutto se mette in discussione il primato ormai consolidato di Haftar, sancito dal nuovo accordo con Egitto, Francia e Russia.
A questo fa seguito la sostanziale ribellione interna dei vice di Al-Sarraj, che rappresentano il sostegno delle principali milizie o componenti dello sgangherato “esercito regolare”. Così il Governo di Accordo Nazionale sancisce la fascia di mare adibita al “Search and Rescue” e immediatamente il generale Ayoub Qassem, della Marina Militare di Tripoli, a nome anche della Guardia Costiera libica, vieta a qualsiasi nave straniera, sia essa ONG o italiana, di entrare senza autorizzazione nelle acque definite in quella zona, ben più ampia delle semplici acque territoriali libiche.
Non a caso è di poche ore fa la notizia di un avvertimento della Marina a suon di scariche di mitraglietta sulla nave Open Arms dell'ONG spagnola Proactiva. Atto a cui consegue la sospensione, da parte di Medici Senza Frontiere, degli interventi di salvataggio, visto lo scenario di denigrazione, attacco e generale diffamazione da parte italiana e l'avvertimento riguardo la disponibilità ad utilizzare le armi della Guardia costiera e della Marina libiche.
In tutto questo si consuma il crollo di appoggio per Al-Sarraj, che rimane sotto lo scacco di tutti gli attori già citati (Fezzan, milizie islamiste, Ghwani, che spesso trascina a sé le potenti milizie di Misurata, alleati interdetti dalla sudditanza al “colonialismo” italiano ed europeo etc) e che ora, si ritrova con una crisi interna, in cui, uno dei suoi quattro vice, Fathi al-Majbari, che rappresenta parte delle milizie della Tripolitania, spinge per una fronda interna contro l'ormai moribondo Al-Sarraj.

Haftar si conferma sempre di più come lo strumento per la ricostruzione della Libia e per la pacificazione delle oltre 220 milizie in campo, alfiere di interessi imperialistici nuovi e disposti a tutto per affermare un proprio ruolo nella regione. Prima fra tutti la Francia con l'intento di ricostruire il proprio canale coloniale che coinvolge Ciad, Mali e Niger, dei quali controlla valuta ed economia; la Russia, che cerca di porre la propria testa di ponte in Cirenaica; e l'Egitto, che vuole cavalcare la battaglia agli islamisti per rafforzare la propria posizione anche nel fronte interno con i Fratelli Musulmani.
Nel quadro degli equilibri tribali interni, inoltre, continua a strappare dimostrazioni di fedeltà e sostegno da un numero sempre maggiore di tribù, soprattutto le più influenti, strappandole all'ambiguo e debole governo di Al-Sarraj. Tra quelle che son passate a sostenere il nuovo generale di ferro, indebolendo Al-Sarraj, ci sono le tribù Mshait, Obeid, Fwakher, Drasa ma soprattutto le potentissime Warfallah e Gharyan.
Haftar ora si pone, da ottimo Bonaparte, anche come risolutore del problema che affligge il fronte interno italiano: i migranti.
Si lancia così nella proposta di una soluzione senza mediazioni fondata su alcuni capisaldi: l'inutilità e la scarsa sostenibilità del tentativo di fermare il flusso migratorio sulle coste, che significherebbe sobbarcare alla Libia il peso di masse di poveri e diseredati; il divieto a qualsiasi nave, in particolare quelle italiane e delle ONG, di entrare nelle acque territoriali libiche e nella fascia di S&R; il rifiuto degli accordi che Al-Sarraj ha stilato su questo tema, etichettandoli come illegali, illegittimi e dannosi per la Libia e la sua sovranità; l'invito a fornire al suo esercito 20 miliardi di dollari con cui costruirà un sistema militare di filtro e blocco dei flussi a sud della Libia, giocando a spostare sempre più giù la frontiera europea.
- “Dobbiamo invece lavorare assieme per bloccare i flussi sui 4.000 chilometri del confine desertico libico nel sud. I miei soldati sono pronti. Io controllo oltre tre quarti del Paese. Possiedo la mano d'opera, ma mi mancano i mezzi. Macron mi ha chiesto cosa ci serve: gli sto mandando una lista. Corsi di addestramento per le guardie di frontiera, munizioni, armi, ma soprattutto autoblindo, jeep per la sabbia, droni, sensori, visori notturni, elicotteri, materiali per costruire campi armati di 150 uomini ciascuno altamente mobile e posizionati ogni minimo 100 chilometri. Stimo il costo in circa 20 miliardi di dollari distribuiti su 20 o 25 anni per i Paesi europei uniti in uno sforzo collettivo”.
Insomma Haftar sembra l'ultima spiaggia per l'imperialismo italiano, se non vuole rimanere fuori dai giochi ed essere definitivamente sorpassato dalla Francia, nonostante debba ammettere al mondo intero di aver fallito completamente strategia e di aver dimostrato una pessima capacità di gestione dei rapporti e delle relazioni diplomatiche. Il nuovo generale macellaio, pronto a porsi alla guida di un governo al servizio degli imperialismi, si mostra internazionalmente come il solo cavallo vincente e capace di districarsi nel caos libico, sintetizzando gli interessi delle borghesie tribali libiche più ricche e delle borghesie europee, che necessitano di stabilità e lottizzazione delle risorse e di risposte vendibili mediaticamente sul tema migratorio.
In tutto questo, trafficanti, generali e politici utilizzano come principale merce di scambio proprio i migranti che, negli oltre 12 centri di detenzione libici (veri e propri lager, e sono solo quelli ufficiali), sono costretti a torture, condizioni di vita e di igiene bestiali, pestaggi, uccisioni sommarie, deportazioni. Di questi 12, alcuni sono sotto il controllo di Haftar (circa 5) e altri sotto la debole giurisdizione di Al-Sarraj (circa 6), mentre almeno uno è in mano agli islamisti legati al Califfato.
Questo è l'effetto dell'imperialismo e della lotta tra borghesie nazionali per accaparrarsi lo sfruttamento e il commercio di determinate risorse, riducendo gli attori locali in semplici pedine del gioco sporco dei vari esecutivi al servizio dei conglomerati di capitali imperialistici casalinghi.
Ad aggravare qualsiasi prospettiva alternativa nello scenario libico è, poi, la particolare composizione sociale di questo paese e della sua popolazione.
Da sempre la Libia e il “popolo” libico non riconoscono un potere statale “nazionale”. I libici, innanzitutto, percepiscono e costruiscono la propria identità sulla base delle divisioni tribali, vere e proprie organizzazioni sociali, economiche ed ideologiche: si stima che le più importanti siano circa 140-150, di cui 30, le più influenti e potenti, hanno determinato gli equilibri politici nel corso della tormentata storia del paese. La Libia, inoltre, è divisa etnicamente e politicamente in tre grandi regioni, grazie alle mire di semplificazione di gestione coloniale fin dal periodo romano, che esprimono raggruppamenti di tribù in competizione tra loro: la Cirenaica, la Tripolitania e il Fezzan. Allo stesso tempo le divisioni etniche più importanti raccolgono le varie tribù in grandi conglomerati etnici: i berberi (nel nord-ovest), gli arabi/berberi (in tripolitania e in genere nel nord), i tuareg (a sud-ovest) e i tobou (nel sud-est).
Completamente assente per tutti i proletari di questo paese è una coscienza di classe, schiacciata da questo tipo di appartenenze e sovrastrutture ideologiche e sociali.
I fenomeni di urbanizzazione che si sono sviluppati sotto l'era del Rais Gheddafi (personificazione dello strapotere della propria tribù, sostenuta dalle tribù della Tripolitania: Warfallah, Magariha e le tribù Zentan. la principale ossatura dell'esercito del Rais e l'attuale principale base militare di Haftar), iniziano a dar vita ad un primo proletariato urbano, mentre l'ossatura principale del mondo operaio ruota attorno al petrolio (estrazione, raffinazione, trasporto e logisitica portuale), essendo la Libia il secondo paese esportatore dopo la Nigeria, mentre gran parte della popolazione vive di pastorizia e, solo in alcuni casi e in zone particolarmente fertili di agricoltura.
Uno scenario difficile per un paese profondamente arretrato, socialmente ed economicamente, eppure così strategico nei giochi economici, finanziari e politici dell'Africa e dell'Europa.
Cristian Briozzo