Dal 2014 ad oggi un continuo
rimescolamento delle carte tra milizie, tribù e interventi
imperialistici. Oggi il generale Haftar, sostenuto da Egitto, EAU,
Russia e Francia sbaraglia tutte le forze in campo, costruisce il
proprio ruolo di bonaparte libico, e mette in seria crisi la pedina
dell'Italia, degli USA e dell'ONU: il Governo di Accordo Nazionale di
Al-Sarraj, sempre più isolato, debole e privo di reale sostegno interno.
L'Italia, incapace di gestire i propri interessi imperialistici, si
lascia sorpassare dal governo francese nel caos libico. Un caos in cui
l'unico reale sconfitto risulterà essere il debole proletariato libico
Nel giardino di casa
dell'imperialismo d'Italia, in seguito alla caduta di Gheddafi, si è
prodotto il più totale caos di milizie, clan e potentati che ora stanno
riordinandosi attorno a figure e realtà capaci di polarizzare i diversi
interessi. Tutte coinvolte più o meno entro il disegno di ricerca di un
nuovo equilibrio di poteri tra soggetti locali e proiezioni
imperialistiche internazionali, equilibrio che non esclude la
cancellazione o la sopraffazione di alcune parti in conflitto.
Le recenti vicende, legate alla questione migratoria, vedono un
profondo rimescolamento degli equilibri, un intervento imperialistico
tanto prepotente quanto spiazzante della Francia sotto la guida del
nuovo Bonaparte Macron e la crisi della strategia in braghe di tela
dell'imperialismo italiano.
La disgregazione del potere politico e la conflittualità tribale in Libia
Gli attori principali delle attuali dinamiche sono vari.
Innanzitutto, il debole e fantasmatico Governo di Accordo Nazionale
(GNA) guidato da Fayez Al-Sarraj, insediato a Tripoli dalla prima metà
del 2016. Un governo nato senza supporto reale in Libia, vittima
costante della guerra settaria di milizie di varia provenienza,
immediatamente delegittimato dal parlamento di Tobruk, dal generale
Haftar, guida della campagna militare contro gli islamisti e diretta
emanazione degli interessi dell'Egitto nella lottizzazione della Libia, e
dal parlamento islamista nato sulla campagna di Alba Libica. Tale
governo, fin dal principio, ottenne il sostegno dell'ONU e dell'Unione
Europea con la benedizione di Obama, Renzi e Hollande, ma nel lungo
cammino che porta ad oggi tali sponde si dimostrano non solo
non-sufficienti, ma nemmeno così sicure.
È un dato di fatto che il GNA di Sarraj, sostanzialmente, sia il
prodotto della necessità delle borghesie libiche legate al petrolio e
alla finanza e delle principali aziende petrolifere imperialistiche
(Turkish Petroleum Corporation, ENI, Tatneft Company, Total E & P,
Statoil, Deutsche Erdoel AG, British Petroleum, Sipex, Medco
International), tutte alla ricerca di un minimo di stabilità per
riprendere a intessere interessi e commercio. Non per nulla il governo è
percepito internamente come tale nonostante la copertura
propagandistica dell'unità contro l'ISIS, ma risulta comunque un governo
che al momento detiene il controllo sulla NOC (National Oil
Corporation), sulla Banca centrale libica e sull'Autorità libica per gli
investimenti (LIA, Fondo sovrano libico).
Tale governo si trova subito a fare i conti con i potentati reali
libici, prodotti di differenti interessi e di differenti gruppi, clan e
famiglie.
Innanzitutto un soggetto che all'attuale si pone sempre più come
marginale, ma comunque centrale nei conflitti settari: il governo
islamista di Khalifa Ghwell e le milizie a lui fedeli, ciò che rimane
del “Nuovo Congresso Nazionale Generale”. Esso fu frutto dell'operazione
Alba Libica delle milizie islamiste in opposizione al Congresso
Nazionale Generale di Tobruk, nato dalle elezioni del 2014 e sostenitore
dell'allora governo Al-Thani, al tempo appoggiato dalle potenze
internazionali.
Oggi Ghwell controlla parte della capitale della Libia (Tripoli) e
continua a contrapporsi al governo di Al-Sarraj ostinatamente.
Tra i soggetti in campo capaci di sbaragliare completamente le carte
in tavola c'è, soprattutto, il generale Khalifa Haftar, il vero uomo
forte della Libia, da sempre presente nello scenario delle svariate
guerre civili del paese, colpito dalla repressione dell'allora “Decano
di tutti i governanti arabi”, il colonnello Mu'ammar Gheddafi. Egli è
divenuto il simbolo di un potere militare, tribale e carismatico che ha
saputo porsi come ago della bilancia di numerosi eventi cruciali libici.
All'attuale si presenta come nuovo soggetto forte su cui in molti
puntano e che fin da principio rapprentava il cavallo dell'Egitto di
Al-Sisi - interessato a colpire le emanazioni della Fratellanza
Musulmana - e di alcune monarchie saudite.
La seconda guerra civile libica come processo genealogico
Haftar nel 2014 lanciò la campagna “Operazione Dignità” contro i
gruppi islamisti che si stavano imponendo nello scenario libico e, in
particolare nel contesto di Bengasi, contro il gruppo sunnita-jihadista
Ansar-al-Sharia, responsabile di un attacco al consolato USA che provocò
la morte dell'ambasciatore americano Stevens. Con questa operazione e
l'appoggio delle milizie di Zintan provocò la crisi del governo di
Al-Thani, portò a nuove elezioni per il Congresso Generale Nazionale,
costringendo entrambi a rifugiarsi a Tobruk, in seguito anche
all'attacco a Tripoli da parte delle forze islamiste di Alba Libica
(milizie della capitale e di Misurata).
Da Tobruk Al-Thani e il CNG optarono per la protezione e l'appoggio
di Haftar e del suo esercito “irregolare”, evidenziando già al tempo
come il generale, che rappresentava interessi di potenza di soggetti
diversi dal tradizionale imperialismo europeo (Egitto, Emirati Arabi
Uniti etc), potesse essere una pedina importante della ricostruzione
libica.
La guerra continuò con l'irruzione nella scena delle milizie di
Derna, che si affiliarono all'ISIS, inserendosi nella lotta tra gli
islamisti di Misurata e Tripoli e le forze raccolte attorno ad Haftar,
il parlamento di Tobruk e Al-Thani. Il tutto, come è immaginabile, si
giocava nello scontro per il controllo dei porti, dei gangli
infrastrutturali principali e , soprattutto, dei pozzi e delle strutture
legate al petrolio e al gas.
Qui si inserirono gli interventi delle compagnie petrolifere
interessate a cercare un minimo di stabilità e di pace armata che
garantisse l'accesso alle enormi riserve petrolifere e di gas della
Libia. Infatti la NOC, guidata da Mustafa Sanallah, da quel momento
condusse colloqui con tutte le aziende petrolifere imperialistiche – ENI
in primis - per cercare il giusto appoggio alla proposta di un Governo
di Accordo Nazionale, capitanato dal “burattino” Al-Sarraj. Il
principale problema era indirizzare il “Nuovo Congresso Generale
Nazionale” (N-CGN) di Tripoli di Alba Libica e il Congresso Generale
Nazionale (CGN) di Tobruk a riconoscerlo e unirsi sotto la sua guida.
L'immediata mossa della borghesia petrolifera fu garantire il pieno
sostegno della Petroleum Facilities Guard, una milizia di 27.000 uomini
al servizio della protezione delle strutture petrolifere, dichiarato
pubblicamente dal suo presidente non appena Al-Sarraj arrivò a Tripoli. E
siamo già nel 2016.
Nonostante questo né il governo islamista di Ghwenn, né il
presidente del N-CGN di Tripoli Bushameinn, né il CGN di Tobruk
appoggiarono il nuovo governo. Al di là degli interessi delle dirigenze,
però, il Congresso di Tobruk sottoscrisse gli accordi di pace che
portarono alla proposta di un governo di unità nazionale, ad esclusione
della parte inerente la sottomissione delle forze armate e delle milizie
ai ministeri del Governo di Accordo Nazionale, a difesa dell'autonomia e
del potere del proprio “condottiero” Haftar. Il “Nuovo Congresso
Generale Nazionale” (GAN)di Tripoli, invece, si sciolse per sostenere
Al-Sarraj mentre le milizie della Libia Occidentale, prima a sostegno
del CGN di Tobruk, si schierarono con il nuovo GAN.
Così le parti geografiche si rovesciano. Ora a Tripoli si trova il
governo sostenuto dalla maggior parte degli interessi imperialistici,
commerciali e politici dell'occidente, sotto la guida di Al Sarraj e con
il controllo dell'Occidente della Libia; mentre a Tobruk e nell'Est
della Libia Haftar, la Camera dei Rappresentanti (ex CGN) e il governo
di Tobruk portano avanti la loro competizione al GAN.
Qui si crea lo scompiglio: il generale Haftar riesce a ottenere
l'appoggio militare celato della Francia sfruttando la propria campagna
contro ISIS e islamisti; mantiene l'appoggio dell'Egitto e vede
l'apertura dei rapporti con la Russia, sempre più interessata alla
campagna internazionale contro l'ISIS per emulare, negli strumenti,
l'imperialismo USA.
Questa impasse si protrae fino a metà del 2016, quando, vedendo come
i poteri internazionali ricreavano determinati rapporti economici e
commerciali a favore del governo di Al-Sarraj – tra cui l'ENI, che
trovando un giacimento al largo dell'Egitto, comunica la sua aspirazione
ad una relazione commerciale che coinvolga Egitto, Israele, Cipro e una
Libia pacificata, affidando un 40% del controllo ad una compagnia
composta da Edison (Italia), Total (Francia) e British Petroleum
(Inghilterra) - anche Emirati Arabi Uniti ed Egitto puntano ad un
avvicinamento tra Parlamento di Tripoli e Parlamento di Tobruk con il
coinvolgimento della Francia.
In questo scenario l'attacco di Haftar a Bengasi contro gli
islamisti qaedisti, scricchiola e rischia l'isolamento a causa
dell'esposizione militare degli USA in supporto al GAN di Al-Sarraj
nella ripresa di Sirte contro l'ISIS, della non condanna dell'Egitto a
quell'atto, del “possibile” ritiro delle truppe francesi da Bengasi con
la sola Russia al fianco.
Qui però arriva il colpo di scena di Haftar che nel settembre 2016
si lancia alla presa dei porti petroliferi (Ras Lanuf, Sidra, Brega,
Zueitina) contro la Petroleum Facilities Guard fedele al governo di
Al-Sarraj, utilizzando l'espediente dell'attacco alle milizie islamiste
(Brigate di Difesa di Bengasi, le stesse contro cui sta portando avanti
la sua Operazione Dignità) che avevano preso il controllo di una parte
di quelle cittadelle strategiche. Questa operazione scompiglia le carte e
permette il “ricatto pretrolifero” (come viene definito dall'agenzia di
stampa Nena-News) di Haftar al Governo di Accordo Nazionale, che va in
escandescenza. I suoi esponenti si susseguono nel condannare l'attacco e
nel definirsi unici legittimati a commerciare petrolio e gas libici.
Eppure Haftar e il governo di Tobruk pongono immediatamente sotto il
controllo della NOC di Sanallah i terminal dei porti, aprendo
rapidamente una relazione proficua per la principale compagnia
petrolifera nazionale e per gli interessi dei capitali stranieri.
Ma qui Haftar si fa più scaltro. Non punta più alla destituzione di
Al-Sarraj tout court e a dominare il Parlamento di Tripoli, ma ad
imporre un potere contrattuale e ricattatorio nei confronti del GNA, per
affermarsi come uomo forte della Libia, unico in grado di colpire
islamisti dell'ISIS e qaedisti, conquistare posizioni del GNA rendendole
più sicure, e difendersi dai continui attacchi delle Brigate islamiste,
guadagnando un controllo stabile su tutta la Cirenaica.
Al contrario, il governo di Al-Sarraj fatica a difendere la sua
sovranità: il Fezzan rimane fuori controllo, parti della capitale sono
in mano a milizie contrapposte, gli attentati islamisti continuano a
imperversare, le rese di conti tra milizie rendono impossibile la
legittimazione del GAN.
Tra la fine del 2016 e l'inizio del 2017, Khalifa Ghwell tenta un
colpo di mano a Tripoli occupando militarmente i ministeri e imponendo
la fuga al governo di al-Sarraj nella base navale di Abu Seta.
Lo scenario odierno: Haftar, nuovo Napoleone Libico
In questo quadro diviene evidente come Haftar diventi sempre più la
pedina vincente degli interessi dell'imperialismo francese in Cirenaica e
della proiezione di potenza della Russia nelle risorse energetiche del
Mediterraneo. Il generale, infatti, pare abbia siglato un accordo con la
Russia: armi in cambio di una base militare in Cirenaica.
Ma, a questo punto, mentre la scommessa di Francia, Egitto e Russia
sembra avere la meglio sui qaedisti di Bengasi, mantenere il controllo e
la stabilità dei porti di Ras Lanuf e Sidra e rappresentare un elemento
di stabilità per tutta la Cirenaica, quella dell'Italia e dell'Unione
Europea vacilla e si mostra impotente.
Il governo russo, comunque, non è particolarmente noto per le
proprie posizioni “esclusivamente bi-laterali”, per cui di fronte al
primo slancio verso Haftar, ridimensiona e relativizza il concreto
supporto militare al governo di Tobruk, e apre a confronti anche con
Al-Sarraj: lo scopo è arrivare alla riconciliazione, ma ponendo in
chiaro il ruolo diretto delle forze armate russe e della scommessa su
Haftar.
Nel marzo 2017 Al-Sarraj riceve l'ennesimo colpo. Mentre a Tripoli
si susseguivano manifestazioni di piazza contro le milizie islamiste,
sparatorie tra milizie rivali e attentati terroristici, le Brigate
al-Nawasi, fino ad allora sostenitrici del GNA, occupano la base di Abu
Seta, dove si trovava il governo di Al-Sarraj. L'obiettivo è quello di
frenare le azioni e le proteste anti-islamiste nei territori controllati
dal governo e preservare il monopolio della repressione delle stesse,
gestita direttamente dai miliziani di Misurata, per riaffermare il
proprio ruolo nel controllo del territorio soprattutto in alcune zone di
Tripoli. Tale azione dimostra ulteriormente il ricatto sotto cui è
incastrato il governo debole della diplomazia europea ed italiana.
Non per nulla a maggio 2017 si annuncia l'accordo tra Haftar e
Al-Sarraj, sponsorizzato da Emirati Arabi Uniti ed Egitto, e con
l'avvallo dell'Italia da parte del duo Gentiloni-Eni e degli Stati Uniti
di Trump. Tale arrangiamento prevede la costruzione di un unico
esercito regolare alle dipendenze del governo di Accordo Nazionale,
comandato dall'uomo forte del momento, Haftar. Contemporaneamente, però,
Haftar rimette in mostra il proprio peso, impossessandosi di Derna
grazie al supporto aereo dell'areonautica egiziana, scatenando, con
questa violazione di sovranità, le ire del governo di Al-Sarraj,
impotente di fronte alla genialità del rivale.
Unico elemento di riscatto per la pedina dell'imperialismo tricolore
disorientato: le milizie fedeli al GAN riescono a far ritirare le
truppe di Ghwell a Misurata, provando così a recuperare in parte il
controllo della capitale, allontanando la principale minaccia e potere
parallelo a Tripoli, capace di fomentare le componenti più islamiste
delle tribù a sostegno del GAN.
Tutta l'operazione mostra la sua tela a luglio, lo scorso mese,
quando il Generale Khalifa Haftar denuncia, attraverso gli organi del
suo Esercito Nazionale Libico, le ingerenze e il supporto fornito agli
islamisti jihadisti di Qatar, Sudan e Turchia. Questo viene
immediatamente accompagnato dall'interpellanza dell'Egitto in sede ONU
in cui si denunciano queste relazioni, legittimando pienamente le
operazioni congiunte egiziane e di Tobruk contro gli islamisti in
Cirenaica. Il generale con questa comunicazione d'impatto, ribadendo il
proprio ruolo egemonico in campo militare, richiama tutte le milizie
tribali e i libici a consegnare le armi e unirsi alle forze legittime
dell'Esercito Nazionale Libico, per risolvere definitivamente la
situazione nel paese. Haftar si pone sempre più come unica personalità
detentrice del potere militare e tribale di Libia, il nuovo uomo capace
di portare ordine e stabilità contro gli eccessi delle milizie, le
aspirazioni di crescita degli islamisti, la minaccia dell'ISIS e le
lotte settarie.
Il sorpasso francese sulla strategia dilettante italiana attraverso il Generale Haftar
Qui si consuma l'operazione di rovesciamento degli equilibri
attraverso l'intervento del Bonaparte francese, Macròn, e del Napoleone
libico, Haftar. Mentre l'Italia era impegnata dalla preparazione di un
incontro sull'immigrazione con altri governi europei e africani, il
Presidente francese si rende protagonista di un accordo, siglato il 25
luglio sotto l'egida delle Nazioni Unite, tramite il nuovo inviato
Salame, tra Haftar stesso e Al-Sarraj. Tale accordo sancisce
internazionalmente l'affermazione di Haftar, con l'appoggio aperto di
Francia, Egitto, Russia e Cina e in contrappeso alla debolezza di
Al-Sarraj. Il tutto con la totale messa in disparte dell'imperialismo
italiano, neppure informato dell'incontro anche se ringraziato
ufficialmente da Macròn per il lavoro svolto fino a qui, parole che
sottintendono un invito a lasciare spazio a chi gioca sul serio e a chi
investe sui cavalli vincenti con una strategia di cornice dotata di
lungimiranza.
L'armata brancaleone del Partito Democratico e dell'imperialismo
italiano prende lo smacco più grande, tagliato fuori dai giochi nel
proprio giardino di casa, neppure invitato al consesso internazionale
che sanciva il rilancio in pompa magna dell'intervento francese e della
affermazione degli interessi capitalistici e militari dell'Eliseo come
della Russia.
Dal governo italiano partono così disperati tentativi di
riconfermare un ruolo di attore regionale nevralgico, cercando di venire
incontro alla necessità di una politica interna in grado di concorrere
con destra leghista e Movimento 5 Stelle nel cavalcare il populismo
razzista e reazionario, e a quella di recuperare un'immagine
internazionale, attraverso un intervento diretto per venire in soccorso
dello sgangherato alleato in decadenza Al-Sarraj. In poche parole si
cerca di mettersi il fez in testa in Italia e di mettere in mostra un
teatrino imperialistico a dir poco farsesco.
Un gioco pericoloso che si consuma sulla pelle di migranti e
profughi. Il primo passo del governo, subito dopo il vertice con Macròn,
è quello di chiamare a rapporto in Italia al-Sarraj, il quale, cercando
nuovo supporto da chiunque possa fornirgli un appiglio, finisce per
richiedere il supporto italiano contro i trafficanti. Dopo che già nel
2016 il governo italiano inviò, in termini più propagandistici che di
reale supporto militare, 300 uomini (di cui 100 militari) attorno ad un
campo medico militare a Misurata per fornire supporto contro l'ISIS;
dopo che a giugno 2017 il ministro Alfano ha riconfermato, ad Agrigento,
gli accordi economici italo-libici per riaffermare il ruolo dei
capitali italiani nella ricostruzione; ora si tenta l'approccio dell'ex
membro del PCI, Minniti. Quest'ultimo, in un incontro a Tunisi con il
governo di Tripoli, ha cercato di avviare trattative per la costruzione
di un area di “Ricerca e Salvataggio” (Search and Rescue, i marines
de'noantri) in cui le forze di polizia italiane possano collaborare con
la Guardia Costriera libica inviando proprie navi nel contrasto
all'immigrazione. Il governo italiano cerca di superare a destra i
neofascisti di Generazione Identitaria e dell'operazione Defend Europe, e
combina il pasticcio più grande, colpendo definitivamente la
credibilità del proprio uomo in Libia.
Al-Sarraj viene immediatamente attaccato da Haftar, che
contemporaneamente condanna anche l'ingerenza “coloniale” italiana: la
sovranità della Libia non si tocca, soprattutto se mette in discussione
il primato ormai consolidato di Haftar, sancito dal nuovo accordo con
Egitto, Francia e Russia.
A questo fa seguito la sostanziale ribellione interna dei vice di
Al-Sarraj, che rappresentano il sostegno delle principali milizie o
componenti dello sgangherato “esercito regolare”. Così il Governo di
Accordo Nazionale sancisce la fascia di mare adibita al “Search and
Rescue” e immediatamente il generale Ayoub Qassem, della Marina Militare
di Tripoli, a nome anche della Guardia Costiera libica, vieta a
qualsiasi nave straniera, sia essa ONG o italiana, di entrare senza
autorizzazione nelle acque definite in quella zona, ben più ampia delle
semplici acque territoriali libiche.
Non a caso è di poche ore fa la notizia di un avvertimento della
Marina a suon di scariche di mitraglietta sulla nave Open Arms dell'ONG
spagnola Proactiva. Atto a cui consegue la sospensione, da parte di
Medici Senza Frontiere, degli interventi di salvataggio, visto lo
scenario di denigrazione, attacco e generale diffamazione da parte
italiana e l'avvertimento riguardo la disponibilità ad utilizzare le
armi della Guardia costiera e della Marina libiche.
In tutto questo si consuma il crollo di appoggio per Al-Sarraj, che
rimane sotto lo scacco di tutti gli attori già citati (Fezzan, milizie
islamiste, Ghwani, che spesso trascina a sé le potenti milizie di
Misurata, alleati interdetti dalla sudditanza al “colonialismo” italiano
ed europeo etc) e che ora, si ritrova con una crisi interna, in cui,
uno dei suoi quattro vice, Fathi al-Majbari, che rappresenta parte delle
milizie della Tripolitania, spinge per una fronda interna contro
l'ormai moribondo Al-Sarraj.
Haftar si conferma sempre di più come lo strumento per la
ricostruzione della Libia e per la pacificazione delle oltre 220 milizie
in campo, alfiere di interessi imperialistici nuovi e disposti a tutto
per affermare un proprio ruolo nella regione. Prima fra tutti la Francia
con l'intento di ricostruire il proprio canale coloniale che coinvolge
Ciad, Mali e Niger, dei quali controlla valuta ed economia; la Russia,
che cerca di porre la propria testa di ponte in Cirenaica; e l'Egitto,
che vuole cavalcare la battaglia agli islamisti per rafforzare la
propria posizione anche nel fronte interno con i Fratelli Musulmani.
Nel quadro degli equilibri tribali interni, inoltre, continua a
strappare dimostrazioni di fedeltà e sostegno da un numero sempre
maggiore di tribù, soprattutto le più influenti, strappandole
all'ambiguo e debole governo di Al-Sarraj. Tra quelle che son passate a
sostenere il nuovo generale di ferro, indebolendo Al-Sarraj, ci sono le
tribù Mshait, Obeid, Fwakher, Drasa ma soprattutto le potentissime
Warfallah e Gharyan.
Haftar ora si pone, da ottimo Bonaparte, anche come risolutore del
problema che affligge il fronte interno italiano: i migranti.
Si lancia così nella proposta di una soluzione senza mediazioni
fondata su alcuni capisaldi: l'inutilità e la scarsa sostenibilità del
tentativo di fermare il flusso migratorio sulle coste, che
significherebbe sobbarcare alla Libia il peso di masse di poveri e
diseredati; il divieto a qualsiasi nave, in particolare quelle italiane e
delle ONG, di entrare nelle acque territoriali libiche e nella fascia
di S&R; il rifiuto degli accordi che Al-Sarraj ha stilato su questo
tema, etichettandoli come illegali, illegittimi e dannosi per la Libia e
la sua sovranità; l'invito a fornire al suo esercito 20 miliardi di
dollari con cui costruirà un sistema militare di filtro e blocco dei
flussi a sud della Libia, giocando a spostare sempre più giù la
frontiera europea.
- “Dobbiamo invece lavorare assieme per bloccare i flussi sui
4.000 chilometri del confine desertico libico nel sud. I miei soldati
sono pronti. Io controllo oltre tre quarti del Paese. Possiedo la mano
d'opera, ma mi mancano i mezzi. Macron mi ha chiesto cosa ci serve: gli
sto mandando una lista. Corsi di addestramento per le guardie di
frontiera, munizioni, armi, ma soprattutto autoblindo, jeep per la
sabbia, droni, sensori, visori notturni, elicotteri, materiali per
costruire campi armati di 150 uomini ciascuno altamente mobile e
posizionati ogni minimo 100 chilometri. Stimo il costo in circa 20
miliardi di dollari distribuiti su 20 o 25 anni per i Paesi europei
uniti in uno sforzo collettivo”.
Insomma Haftar sembra l'ultima spiaggia per l'imperialismo italiano,
se non vuole rimanere fuori dai giochi ed essere definitivamente
sorpassato dalla Francia, nonostante debba ammettere al mondo intero di
aver fallito completamente strategia e di aver dimostrato una pessima
capacità di gestione dei rapporti e delle relazioni diplomatiche. Il
nuovo generale macellaio, pronto a porsi alla guida di un governo al
servizio degli imperialismi, si mostra internazionalmente come il solo
cavallo vincente e capace di districarsi nel caos libico, sintetizzando
gli interessi delle borghesie tribali libiche più ricche e delle
borghesie europee, che necessitano di stabilità e lottizzazione delle
risorse e di risposte vendibili mediaticamente sul tema migratorio.
In tutto questo, trafficanti, generali e politici utilizzano come
principale merce di scambio proprio i migranti che, negli oltre 12
centri di detenzione libici (veri e propri lager, e sono solo quelli
ufficiali), sono costretti a torture, condizioni di vita e di igiene
bestiali, pestaggi, uccisioni sommarie, deportazioni. Di questi 12,
alcuni sono sotto il controllo di Haftar (circa 5) e altri sotto la
debole giurisdizione di Al-Sarraj (circa 6), mentre almeno uno è in mano
agli islamisti legati al Califfato.
Questo è l'effetto dell'imperialismo e della lotta tra borghesie
nazionali per accaparrarsi lo sfruttamento e il commercio di determinate
risorse, riducendo gli attori locali in semplici pedine del gioco
sporco dei vari esecutivi al servizio dei conglomerati di capitali
imperialistici casalinghi.
Ad aggravare qualsiasi prospettiva alternativa nello scenario libico
è, poi, la particolare composizione sociale di questo paese e della sua
popolazione.
Da sempre la Libia e il “popolo” libico non riconoscono un potere
statale “nazionale”. I libici, innanzitutto, percepiscono e costruiscono
la propria identità sulla base delle divisioni tribali, vere e proprie
organizzazioni sociali, economiche ed ideologiche: si stima che le più
importanti siano circa 140-150, di cui 30, le più influenti e potenti,
hanno determinato gli equilibri politici nel corso della tormentata
storia del paese. La Libia, inoltre, è divisa etnicamente e
politicamente in tre grandi regioni, grazie alle mire di semplificazione
di gestione coloniale fin dal periodo romano, che esprimono
raggruppamenti di tribù in competizione tra loro: la Cirenaica, la
Tripolitania e il Fezzan. Allo stesso tempo le divisioni etniche più
importanti raccolgono le varie tribù in grandi conglomerati etnici: i
berberi (nel nord-ovest), gli arabi/berberi (in tripolitania e in genere
nel nord), i tuareg (a sud-ovest) e i tobou (nel sud-est).
Completamente assente per tutti i proletari di questo paese è una
coscienza di classe, schiacciata da questo tipo di appartenenze e
sovrastrutture ideologiche e sociali.
I fenomeni di urbanizzazione che si sono sviluppati sotto l'era del
Rais Gheddafi (personificazione dello strapotere della propria tribù,
sostenuta dalle tribù della Tripolitania: Warfallah, Magariha e le tribù
Zentan. la principale ossatura dell'esercito del Rais e l'attuale
principale base militare di Haftar), iniziano a dar vita ad un primo
proletariato urbano, mentre l'ossatura principale del mondo operaio
ruota attorno al petrolio (estrazione, raffinazione, trasporto e
logisitica portuale), essendo la Libia il secondo paese esportatore dopo
la Nigeria, mentre gran parte della popolazione vive di pastorizia e,
solo in alcuni casi e in zone particolarmente fertili di agricoltura.
Uno scenario difficile per un paese profondamente arretrato,
socialmente ed economicamente, eppure così strategico nei giochi
economici, finanziari e politici dell'Africa e dell'Europa.
Cristian Briozzo