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temponi at 14:58
L'evocazione della “medicina di guerra” è tornata nel corso della prima ondata del Covid, quando la penuria delle terapie intensive a fronte della pressione dei malati gravi costrinse il personale sanitario in non poche occasioni a scegliere chi salvare e chi no. Non è accaduto solo in Italia. In Francia fu redatto un preciso codice di comportamento da parte delle associazioni professionali dei medici, con l'esplosione di una polemica pubblica. A Madrid una scrupolosa inchiesta giornalistica documentò una mole impressionante di “casi” sgradevoli nascosti sotto il tappeto dei dati ufficiali.
Con la seconda ondata della malattia che si è levata in Europa, la medicina di guerra ritorna. Per il momento non tanto sul versante delle terapie intensive, quanto su quello del respingimento di altre patologie.
La situazione italiana è emblematica. Al momento la pressione dei malati gravi, bisognosi di terapia intensiva, è ancora sotto controllo, in particolare nel Nord, anche se la progressione esponenziale del virus allunga un'ombra inquietante sul futuro.
Invece sale a ritmo vertiginoso il numero di possibili positivi da “tamponare”, costretti a file umilianti davanti ai drive in, e talvolta contagiati proprio durante l'attesa. Ma cresce fortemente anche il numero di malati Covid accertati che sono segnati da sintomi importanti, seppur ancora non gravi. Dovrebbe occuparsi di loro innanzitutto la medicina territoriale, ma è stata annientata da decenni di austerità. I medici di base arrancano. Le unità di assistenza domiciliare sono una goccia nel mare, a partire dalle metropoli. Dunque il malato si rivolge al pronto soccorso, quale unico luogo di assistenza. Ma proprio per questo i pronto soccorso straboccano, e i pazienti attendono per ore nelle autoambulanze in coda davanti agli ospedali (vedi Genova). Quando alla fine giunge il soccorso, arriva spesso anche la brutta notizia: mancano i posti letto per ricoveri Covid non gravi, che non possono mischiarsi ad altri malati. Perché mancano i reparti e gli spazi appositi. C'è allora una sola soluzione. Ridurre posti e reparti destinati alle patologie ordinarie, per adibirli ai malati Covid. Cioè respingere di fatto altri malati. È una selezione che si compie sotto la pressione dell'emergenza anche in ospedali prestigiosi, come il Niguarda a Milano, che ieri ha chiuso le chirurgie. A maggior ragione si diffonde in strutture minori e periferiche.
Nulla è dunque più pericoloso in tempo di Covid che prendersi una polmonite ordinaria, o una peritonite, o un infarto. Anche questa è medicina di guerra.
La medicina di guerra in tempo di pace è il fallimento della società borghese.
Che ha smantellato il servizio sanitario per pagare il debito alle banche.
Che ha chiuso duecento ospedali pubblici per ingrassare le cliniche private.
Che destina trenta miliardi l'anno agli armamenti ma è incapace di assumere medici e infermieri.
Che è organizzata per sfruttare il lavoro e non per proteggere la vita.
Partito Comunista dei Lavoratori