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Difesa della salute o salute della difesa?

 


La Difesa fa il pieno mentre la Sanità è allo sfascio

L'Italia intera affronta la seconda ondata della pandemia. Il governo, la stampa borghese, l'intero sistema mediatico si sbracciano nell'evocare il primato dell'emergenza sanitaria. Ipocriti! La legge di bilancio 2021 destina alle spese militari, non alla sanità o alla scuola, la maggioranza relativa dei fondi nazionali per gli investimenti. Non è una fake news, è il dato fornito, nero su bianco, dalla fonte più insospettabile: il quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 Ore (20 ottobre, pagina 2)

Vediamo meglio. I fondi nazionali per gli investimenti ammontano a 50 miliardi. Sono spalmati su quindici anni e divisi in 40 capitoli. Alla sanità si destinano due miliardi, due miliardi e ottocento milioni all'università, un miliardo e cinquecentoquaranta milioni all'istruzione. Alla difesa vanno invece 12 miliardi e 770 milioni. «A sorpresa sarà il Ministero della Difesa a incassare nella legge di bilancio 2021 la somma più alta dei fondi» recita testualmente il quotidiano dei capitalisti, con tanto di tabelle allegate.

L'articolista sente il bisogno di spiegare questa enormità con l'argomento che il Ministero della Difesa non potrà accedere ai fondi del Recovery plan, disponibili invece per altri ministeri. Ma l'argomento è farlocco. In primo luogo perché i fondi europei andranno in varie forme a tutti i ministeri, Difesa inclusa: il settore aerospaziale, strettamente connesso all'industria militare, è uno dei fiori all'occhiello dei programmi di modernizzazione e concentrazione capitalistica della UE, in aperta competizione sul mercato mondiale con USA e Gran Bretagna. In secondo luogo alla Difesa tricolore vanno ogni anno, ordinariamente, dai 25 ai 30 miliardi del bilancio statale. I 12 miliardi e 770 milioni previsti oggi dai fondi per gli investimenti sono dunque elargizioni extra. Elargizioni che si aggiungono al tradizionale bottino. Elargizioni di cui beneficia, direttamente e indirettamente, l'intero complesso industrial-militare, la fitte rete di interessi che passa per i grandi azionisti del gruppo Leonardo, le banche, le gerarchie militari e tutto il loro sottobosco. È il retroterra dell'imperialismo italiano.

Nel nuovo scenario internazionale in cui l'imperialismo USA fa rotta sulla Cina (che vinca Trump o Biden poco cambia), il Mediterraneo resta relativamente scoperto. Grecia e Turchia si contendono il Mediterraneo orientale, a suon di minacce militari. L'egemonia turca si estende in Libia, con sventolio di ambizioni ottomane. L'Egitto si arma contro la Turchia, col contributo recente di tre fregate italiane. La Francia si candida a presidio politico e militare antiturco, in competizione con l'Italia.
E L'Italia? L'imperialismo italiano si arma come fanno tutti, nel nuovo grande gioco del nuovo secolo. L'ENI è la più grande azienda al mondo in terra d'Africa. I suoi azionisti rivendicano apertamente il “mare nostrum”, mentre il Corriere della Sera – proprietà Banca Intesa – invoca una nuova politica estera italiana, finalmente capace di interdizione militare.

Anche a casa nostra l'industria di guerra si arricchisce con soldi sottratti agli ospedali e alle scuole. Salvini e Meloni si mettono in divisa, sull'attenti. Sinistra Italiana vota le spese militari, come Rifondazione negli anni di Prodi. La CGIL è muta. La vera unità nazionale non è a difesa della salute, ma per la salute della Difesa. Solo la classe lavoratrice può rovesciare il tavolo e rovinare il banchetto. Ma ha bisogno di una coscienza e di un'organizzazione.

Partito Comunista dei Lavoratori